A quanti è capitato di imbattersi, navigando sui social, in fantomatici imprenditori digitali capaci di rivoluzionare la vita delle persone con qualche clic e un “modesto” investimento? Oppure di essere invitati tramite i servizi di Instant Messaging a far parte di una community in grado di “farti guadagnare e crescere anche personalmente”? Non temete, non siete i soli.
Negli ultimi anni, infatti, spopolano sui social i così detti “Fuffa Guru”. Si tratta di sedicenti esperti la cui missione consiste nel divulgare le proprie conoscenze in ambito imprenditoriale e finanziario. Lo scopo? Arricchire le persone disposte a seguire il loro “metodo”.
Questo “metodo” spesso consiste in un corso, ovviamente a pagamento, che una volta portato a termine consentirebbe, a seconda dei casi, di aprire un business online di successo. Oppure, di portare a termine fruttuosi investimenti, di arricchirsi tramite il trading di cryptovalute e altri mirabolanti risultati. Ma com’è possibile che questi soggetti possano operare indisturbati? In effetti, lo scorso 10 luglio l’AGCM (Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato), meglio nota come Antitrust, ha avviato dei procedimenti istruttori contro sei influencer: Luca De Stefani (in arte Big Luca), Luca Marani, Alessandro Berton, Davide Caiazzo, Hamza Mourai e Michele Leka.
I primi quattro avrebbero pubblicato foto e video in cui promuovono metodi a pagamento per ottenere guadagni “facili e sicuri” senza, oltretutto, apporre la dicitura advertisement ai loro contenuti. Mourai e Leka, invece, avrebbero pubblicizzato metodi e indicazioni per lucrare tramite investimenti in cryptovalute. Tutto ciò senza indicare il carattere pubblicitario di questi contenuti e senza comunicare i rischi connessi a tali operazioni finanziarie.
In attesa del risultato delle istruttorie è utile fare luce sulle strategie utilizzate da questi soggetti per promuovere le loro attività. Le varie tattiche utilizzate, infatti, sono molto simili tra loro e vertono quasi sempre a costruire un’aura di credibilità attorno ai promotori tramite il ricorso a recensioni entusiastiche di utenti e autorità del mondo finanziario (purtroppo non verificabili) e vantando collaborazioni con importanti aziende.
Spesso questa credibilità è rafforzata da un uso intelligente e spregiudicato dei media tradizionali, come l’utilizzo di contenuti sponsorizzati su agenzie stampa e giornali nazionali.
Sul sito dell’agenzia stampa Ansa, ad esempio, si può leggere un comunicato in cui il metodo di Luca Marani viene descritto come “rivoluzionario” e in grado di trasformare le passioni in opportunità di guadagno. Una sorta di corso per creare altri corsi per le più disparate attività e discipline, insomma; peccato che l’articolo, redatto da Prima Pagina Italia (un’agenzia che redige articoli sponsorizzati da pubblicare sulle principali testate nazionali), non specifichi come ciò dovrebbe effettivamente avvenire.
Sulla pagina web del Sole 24 ore si trova invece un articolo, redatto da askanews (equivalente di Prima Pagina Italia), in cui viene sponsorizzata la DC Academy di Davide Caiazzo. L’obiettivo sarebbe quello di “fornire strumenti pratici e strategie avanzate per sfruttare al meglio Linkedin”. Anche qui non si fa alcun accenno a quali siano questi strumenti e queste strategie, mentre il focus è posto sui risultati che l’academy avrebbe raggiunto. Con una community in crescita “esponenziale”, i suoi corsi avrebbero aiutato “migliaia di professionisti a migliorare il proprio profilo LinkedIn, a sviluppare una rete di contatti strategici e a cogliere nuove opportunità di lavoro e business, anche e soprattutto al networking”.
Visitando il sito della Big Luca International, invece, si possono ammirare le decine di loghi di testate giornalistiche in continuo scorrimento. Inoltre, si trovano le foto di un sorridente Big Luca, ospite della trasmissione Zona Bianca. Tuttavia, senza la possibilità di scoprire cosa queste testate abbiano da dire sulla società in questione, né avendo idea di cosa De Stefani abbia detto durante la trasmissione di Rete 4.
Scorrendo la pagina lo spot continua: centinaia di loghi di aziende che si sarebbero avvalse delle consulenze di Big Luca, decine di recensioni entusiastiche di utenti soddisfatti (ahimè, anch’esse non verificabili) e la lista dei grandi risultati raggiunti dalla società. Tra questi, spicca l’incredibile fatturato di 10 milioni netti in cinque anni. Ovviamente anche qui nessuna indicazione precisa sui contenuti offerti, ma solo generici riferimenti all’approccio “pragmatico” dei corsi. Viene promesso di formare nei più disparati ambiti, dalle “strategie di marketing e monetizzazione” alla “fiscalità internazionale”, e di far guadagnare in tal modo cifre esorbitanti in poco tempo.
Tutti questi influencer sono inoltre accomunati da una retorica, farcita di termini specialistici come mindset, networking, business, consulting ecc., che esalta la ricchezza e l’eccezionalità delle loro vite. L’intento è fare breccia nella mente di coloro che sono insoddisfatti della propria condizione e che desiderano elevarsi al di sopra della massa.
Vendono il proprio prodotto presentando come garanzia di successo la propria vita fatta di lusso, auto da sogno e appartamenti mozzafiato e spostando, quindi, il focus sul risultato finale, non sull’effettiva qualità del servizio offerto. Sposano perfettamente lo spirito del nostro tempo. L’apparenza diventa sostanza; la ricchezza è un must senza il quale l’individuo non è altro che un’ombra indistinta sullo sfondo e l’insuccesso un peccato da espiare. Esemplificativo di ciò è il testo di De Stefani intitolato “Povero ma dignitoso sta m***ia! La povertà è una malattia mentale”.
In attesa che la legislazione sia aggiornata per far fronte ad un fenomeno sempre più diffuso e di difficile controllo, non basta fare appello al buon senso e ad una buona dose di dubbio. Un aiuto dovrebbe venire da scuole e università che potrebbero mettere in guardia e fornire gli strumenti necessari per riconoscere i raggiri online. Nel frattempo, il mondo dell’informazione potrebbe far fronte comune in modo da dare ai “Fuffa Guru” meno visibilità possibile.
Articolo di Giacomo Pallotta