
Il 5 di ogni mese, 5 libri per tutti i gusti: BookAdvisor è la rubrica dove vi consigliamo ciò che ci è piaciuto di recente, tra novità e qualche riscoperta.
Borgo Sud, Donatella di Pietrantonio (Einaudi) – recensione di Vittoria Menga

«Adriana era così. Si immergeva nella melma e ne usciva candida». Molte metafore vengono utilizzate per descrivere Adriana, protagonista esplicita del racconto, dalla sorella, voce narrante e attrice silenziosa del romanzo. Borgo Sud, uno dei testi più recenti scritti da Donatella di Pietrantonio, recentemente vincitrice dell’ultima edizione del Premio Strega, è il racconto cauto e nebbioso dell’Abruzzo, della storia di due sorelle complici ma non fino in fondo, della città di Pescara e dei suoi abitanti, del mare d’inverno e di verità non troppo gridate. La storia comincia con una notizia inaspettata dai toni tetri, a causa della quale la protagonista è costretta a tornare in Italia dalla serenità e dall’appagamento del paese di Grenoble, paese della Francia sudorientale. La notizia riguarda proprio la sorella Adriana, e fa riapparire nella mente e nei ricordi di chi scioglie la matassa dei fatti situazioni e persone ormai cambiate del tutto, lontane dagli echi della gioventù e tuttavia vicine, appartenenti a quell’universo statico in cui gravita lo stesso Borgo Sud, quartiere marinaro di Pescara, mondo diffidente nei confronti di chi non lo conosce. Leggere Borgo Sud è come immergersi in una stanza ovattata, dalla quale gli unici suoni udibili appartengono alle crude lacerazioni che il romanzo presenta, frutto del delicato districarsi di alcuni fra i più complicati rapporti umani: quello fra madre e figlia e quello fra sorelle, tra la protagonista e Adriana, “orfana di due famiglie” e perennemente in fuga, spirito irrequieto e indomabile. Donatella di Pietrantonio tratteggia i suoi personaggi con dolorosa vitalità, collocandoli entro situazioni in cui riconoscersi non è facile, ma attraversarle è più comune di quanto sembra. Nonostante la trama sembri intrisa di una quotidianità e di un rimbalzo fra presente e passato molto lineari, quasi piatti, il romanzo si impone con espressività al lettore, lasciando anche un impercettibile senso di vuoto una volta girata l’ultima pagina, quasi come se un frammento di noi galleggiasse ora e per sempre dentro Borgo Sud.
Erotica dei sentimenti, Maura Gancitano (Einaudi) – recensione di Jessica Rodenghi

Per ancora troppe persone l’educazione ricevuta è stata imparare a rivestire un ruolo, un modello, una serie di regole da rispettare, un galateo; Maura Gancitano ci ricorda come educare debba significare permettere alla persona di scoprire chi è a suo modo, unico e diverso dagli altri. Per un genitore non è auspicabile che la prole sia esattamente come loro (a meno che lo vogliano), perché l’importante è che crescano conoscendo le proprie capacità e i propri interessi. In questo senso riconoscere emozioni, pulsioni e sentimenti non è un percorso uguale per tuttə, ma è importante per relazionarsi con lə altrə. Per dirla con le parola del saggio, «non si può tracciare il percorso di un’altra persona, né avere il controllo sulla sua educazione sentimentale, anche quando verso quella persona si hanno potere e responsabilità». A ogni modo l’idea del galateo viene insegnata credendo che in questo modo la persona sarà in grado di comportarsi “a modo”, come se ubbidire a dei precetti possa aiutare a fiorire verso chi siamo davvero, cosa vogliamo e cosa preferiamo. Come possiamo controllare in modo così preciso qualcosa di intimo e personale? È fondamentale riconoscere le proprie emozioni, per sapere cosa si desidera e cosa no, quando dire sì in modo sincero e quando porre dei limiti. Per interagire con il resto del mondo dobbiamo essere consapevoli di ciò che proviamo e dobbiamo riuscire ad esternarlo in modi che non ledano la libertà delle altre persone. Sottolineiamo questo passaggio, in quanto fenomeni come la violenza di genere nascono da persone che non sanno gestire le emozioni legate alla rabbia e sono abituate a sfogarle con modalità che ledono gli altri. L’educazione sentimentale è, quindi, «mettere in discussione l’idea di normalità e offrire strumenti adeguati per la scoperta della propria unicità, la cura di sé e della propria salute mentale, senza censurarsi né nascondere i propri desideri». Maura Gancitano, scrittrice e filosofa, nel saggio pone una serie di domande come punti in un percorso ragionato verso la costruzione di un paradigma dell’educazione sentimentale: Cosa sono le emozioni? Possiamo cambiare? Gli stereotipi servono a qualcosa? Oppure ancora, come avviene lo sviluppo normativo? È tutta colpa dei social? L’educazione sentimentale è una questione politica? L’Italia è uno dei pochi Paesi in cui non esiste l’educazione affettiva o sentimentale, addirittura si creano delle leggi ad hoc per allontanare la spaventosa “teoria gender”. È anche per motivi come questo che il saggio di Gancitano è importante, perché tutto ciò che lei spiega con una chiarezza da manuale lo abbiamo scoperto soltanto andando in terapia e, forse, vogliamo cercare di essere migliori di chi ci ha cresciuto senza gli strumenti adatti a ragionare sull’educazione sentimentale.
Riot. Amore e lotta, Edith Joyce (Magazzini Salani) – recensione di Viviana Genovese

Vivere tra i disordini del Bogside, a Derry, quartiere devastato dalla guerra, significa abituarsi al dolore e alla violenza, ma anche trovare legami indissolubili. Saoirse, Orla, Aidan e Cillian sono cresciuti tra proiettili e barricate, e insieme affrontano un mondo che sembra non lasciare spazio all’innocenza. La loro infanzia è segnata da soldati e molotov, e il percorso verso l’età adulta si fonde inevitabilmente con la lotta per la libertà e la sopravvivenza. La capacità dell’autrice di mescolare abilmente il romanzo di formazione con il dramma storico emerge nell’ambientazione dell’Irlanda del Nord degli anni ’60, uno dei periodi più tumultuosi della sua storia: i Troubles. La ricerca storica e l’attenzione ai dettagli traspaiono in ogni pagina, facendo immergere il lettore non solo nelle vite dei protagonisti, ma anche nel contesto politico e sociale dell’epoca che, seppur amari, sono raccontati con grande cura e rispetto. Nel romanzo si riesce a catturare con grande sensibilità l’intreccio di speranza e perdita, descrivendo un mondo in cui la sofferenza è una costante, ma l’affetto tra i protagonisti concede momenti di respiro e umanità. Ogni capitolo è un salto tra la dolcezza di un legame fraterno e l’orrore della guerra, mantenendo in bilico i lettori con forti emozioni. Le descrizioni della lotta, sia interna che esterna, rendono la lettura intensa e coinvolgente, mentre i temi trattati – dall’amore alla morte, passando per la resistenza – sono affrontati con delicatezza e realismo, rendendo questo romanzo adatto tanto ai giovani lettori quanto agli adulti. Uno dei punti di forza di Riot è senza dubbio l’amore evidente che Edith Joyce nutre per l’Irlanda e la sua storia. La scrittura fluida e i capitoli brevi rendono il romanzo scorrevole e piacevole da leggere, nonostante la complessità delle vicende narrate e le emozioni che suscita siano tutt’altro che superficiali. Il romanzo lascia un’impressione profonda, mettendo in luce l’importanza di non arrendersi mai. Il desiderio di un futuro migliore diventa il motore di questa storia, invitando a riflettere su cosa significhi davvero crescere in tempi di guerra. La chiave di lettura regala uno sguardo intimo su un periodo storico complesso e sulle vite dei giovani protagonisti, ricordando che, nonostante la crudezza del contesto, è possibile trovare slanci di solidarietà che illuminano anche gli angoli più tenebrosi della vita.
La quattordicesima lettera, Claire Evans (Neri Pozza) – recensione di Matilde Elisa Sala

Giugno 1881. A Londra, Phoebe Stanbury è pronta a partecipare alla sua festa di fidanzamento con il promesso sposo Benjamin Raycraft, uomo facoltoso appartente a una delle famiglie più importanti della città. La felicità e il divertimento di questa festa vengono presto interrotti: un uomo nudo e armato si fa strada tra la folla, raggiunge Phoebe e le taglia la gola davanti a tutti. Nessuno, apparentemente, sa chi sia. Il giorno successivo il giovane William Lamb, aspirante socio dello studio dell’avvocato Bridge, decide di recarsi a casa di un loro cliente, Ambrose Habborlain. L’incontro però non va come sperato, Habborlain sembra strano e inizia a dire cose completamente senza senso, come questo messaggio, che chiede a William di riferire «dite a Bridge che il Cercatore sa». Nel momento in cui William riporta il messaggio la reazione non è affatto quella che si aspettava: Bridge è spaventato e gli affida, in fretta e furia, un cofanetto che ha inciso sul coperchio sette cerchi con al centro un ottavo. L’unica raccomandazione che gli lascia è di non farne parola con nessuno.Nel giro di pochi giorni si consuma un giallo avvincente e fuori dagli schemi. Londra e alcuni dei suoi abitanti nascondono grandi segreti, che William, con l’aiuto di qualche persona inaspettata, è determinato a scoprire. Il periodo vittoriano sembra l’ambientazione perfetta per una trama complessa, nella quale si cercano di inserire anche delle tematiche importanti. Tanti, tantissimi intrecci, a volte dispersivi, dominano i capitoli e all’inizio risulta abbastanza faticoso cercare di entrare nella storia. Una volta però superata la prima parte, il romanzo procede, una scoperta dopo l’altra, e sarà impossibile posarlo senza averlo prima concluso.
Bed & breakfast and books. Il club del libro alla fine del mondo, Frida Skybäck (Giunti) – recensione di Michela De Marchi

L’autrice svedese Frida Skybäck torna sulla scena italiana con Bed & breakfast and books. Il club del libro alla fine del mondo. Dopo il successo della Piccola libreria sul Tamigi, i lettori potranno immergersi nuovamente in una storia ricca di emozioni e colpi di scena, seguendo due linee temporali, il passato e il presente. Al centro della vicenda vi sono due sorelle: Patricia, una donna di mezza età che vive nella fattoria di famiglia a Charlottesville, e Madeleine, scomparsa 32 anni prima, mentre si trovava a Ljusskär, località di mare della Svezia, come volontaria in una chiesa locale. La vita di Patricia è caratterizzata da monotonia e amarezza, perché non è mai riuscita a dare una risposta alla sparizione della sorella: non ha lasciato nessuna traccia di sé e durante gli anni le domande sulle circostanze dell’accaduto sono aumentate. Cos’è successo quella sera? Dov’è andata? È ancora viva? Le speranze di Patricia si affievoliscono sempre di più, ma un giorno inaspettatamente riceve una lettera anonima con dentro un collanina d’argento e un ciondolo a forma di nota musicale. L’accessorio riporta a galla pensieri dolorosi perché era un regalo fatto a Madeleine poco prima della partenza. Così Patricia decide di partire per Ljusskär con la speranza di ottenere qualche risposta. Durante la sua permanenza nella cittadina, alloggia al Bed & Breakfast and Books, gestito da Mona, un’anziana signora che si impegna per mantenere in piedi la sua attività. È proprio all’hotel che Patricia entra in contatto con Erika, figlia di Mona, e un gruppo di signore che fanno parte di un club del libro: intrecciando storie personali, discussione letterarie, consigli d’amore e ritorni dal passato, Patricia riuscirà a fare chiarezza sul mistero che aleggia intorno alla scomparsa di Madeleine. Skybäck è in grado di farci appassionare a un romanzo e di farci immedesimare nei personaggi del racconto. Le donne sono al centro della storia, hanno le proprie difficoltà e riescono ad avere una crescita personale con il progredire della narrazione: ci mostrano come ognuno di noi può emergere nel proprio contesto e dare un aiuto per cambiare la società. Una scrittura semplice e avvincente che farà rimanere il lettore incollato alle pagine del libro.