Del: 12 Ottobre 2024 Di: Nina Fresia Commenti: 0
Da rileggere per la prima volta. Suite francese

«Mio amato, mie piccole adorate, credo che partiamo oggi. Coraggio e speranza. Siete nel mio cuore, miei diletti. Che Dio ci aiuti tutti»: questo è il contenuto dell’ultima lettera della scrittrice Irène Némirovsky, destinata al marito e alle due figlie. Nata nella Kiev dell’Impero russo da una famiglia di origini ebraiche, Némirovsky ha vissuto e lavorato in Francia fino alla deportazione nel campo di sterminio di Birkenau, avvenuta nel luglio del 1942.

Nelle sue opere, la scrittrice ha spesso attinto dalla propria storia familiare: racconta di un difficile rapporto con la madre ne Il ballo e Il vino della solitudine, mentre con David Golder sfrutta la figura del padre per descrivere l’ambiente ebreo-russo novecentesco.

Ma uno dei maggiori successi letterari di Némirovsky (Suite francese) ha una storia che lo rende diverso dagli altri: Denise Epstein, figlia della scrittrice, è riuscita a salvare (mentre cercava di sfuggire all’arresto) un quaderno appartenuto alla madre. Credendo inizialmente di trovarsi di fronte a un diario personale di Némirovsky, Denise ha iniziato un lungo processo di trascrizione di appunti e note, fino a giungere alla conclusione di aver recuperato un, seppur incompleto, romanzo redatto dalla madre negli anni della guerra.

Delle cinque parti inizialmente previste dall’autrice, ce ne sono giunte solo due (Temporale di Giugno e Dolce) in cui le storie di diversi personaggi si sviluppano e si intrecciano, sullo sfondo di una Francia ancora profondamente segnata dalla Grande Guerra e coinvolta nel secondo conflitto mondiale.

Némirovsky racconta della frenetica fuga dei parigini dalla capitale, dell’occupazione tedesca e dello sconvolgimento della vita quotidiana che ne consegue.

E lo fa in presa diretta: la scrittrice ha vissuto i drammi e le incertezze che racconta sulla sua pelle, senza mai sapere quando e se le armi avrebbero taciuto.

Nella prima parte del romanzo, Némirovsky si sposta sapientemente da un personaggio all’altro, con una narrazione esterna che rivela, di volta in volta, il punto di vista dell’eccentrico scrittore Gabriel Corte, degli umili e razionali coniugi Michaud, della borghese e altera signora Péricand o del giovane idealista Hubert. Nel secondo capitolo, invece, la storia si concentra sulle vicende della cittadina di Bussy, dove la silenziosa Lucile teme di cedere alle attenzioni dell’ufficiale tedesco che occupa temporaneamente la stanza del marito, prigioniero di guerra da diversi mesi.

Suite francese, in realtà, non racconta solo le singole vicende dei suoi protagonisti, ma fornisce al lettore tanti angoli e spezzoni di un puzzle più grande.

Némirovksy mette insieme diverse sequenze di immagini, come se avesse fra le mani una macchina da presa e non una penna, per comporre un ampio affresco del popolo francese travolto dalla guerra e dal nemico.

«Il ritmo dev’essere dato dai movimenti di massa» descritti nel libro, sosteneva la scrittrice, sempre accompagnati da singole esperienze con valenza universale. Dall’alta borghesia al più povero dei contadini: nessuno è esente dagli effetti dell’invasione, che sconvolge la società mantenendo tuttavia intatta la sua struttura gerarchica.

Némirovsky voleva raccontare il suo tempo così come lo stava vivendo: «non dimenticare mai che la guerra finirà e che tutta la parte storica sbiadirà. Cercare di mettere insieme il maggior numero di cose, argomenti… che possano interessare la gente nel 1952 o nel 2052», scriveva in una nota nel giugno 1942.

I libri di storia, infatti, tramandano i resoconti di battaglie e armistizi, senza però riuscire a spiegare che cosa volesse dire convivere e sottostare a un esercito straniero. Quando una piccola comunità di campagna si imbatte per la prima volta in un giovane tedesco si rende conto che «non ci si trovava di fronte a un mostro assetato di sangue ma a un soldato come gli altri, e il ghiaccio fra il paese e il nemico, fra il contadino e l’invasore si ruppe immediatamente».

Némirovsky racconta sì l’astio tra due popolazioni che spesso si sono ritrovate l’una contro l’altra, ma anche di come una convivenza forzata si sia trasformata in una nuova consuetudine.

Dalle annotazioni lasciate da Némirovsky si può indovinare come si sarebbe potuta sviluppare la trama di Suite francese se la scrittrice non fosse stata deportata e uccisa. Avrebbe esplorato il tema della resistenza, del destino e dell’amore, seguendo le vicende di alcuni personaggi già presentati ed approfondendone pensieri e sentimenti. Ma avrebbe soprattutto continuato nel suo progetto ambizioso di costruire un romanzo corale, dallo stile lirico e fluido, capace di catapultare chi legge nella realtà di un popolo che affronta la propria sorte.

Secondo l’autrice «il destino collettivo è più breve di quello del semplice individuo […] È una scala temporale diversa: ci interessiamo solo alle scosse, e le scosse o ci uccidono o durano meno di noi».

Una scossa della storia ci ha privato di un grande capolavoro, ma per fortuna, almeno per un attimo, il genio letterario di Irène Némirovsky ha potuto intercettare e sapientemente ritrarre il nostro destino collettivo.

Nina Fresia
Studentessa di scienze politiche, curiosa per natura, aspirante giramondo e avida lettrice con un debole per la storia e la filosofia. Scrivo per realizzare il sogno della me bambina e raccontare attraverso i miei occhi quello che scopro.

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