Il 5 di ogni mese, 5 libri per tutti i gusti: BookAdvisor è la rubrica dove vi consigliamo ciò che ci è piaciuto di recente, tra novità e qualche riscoperta.
Bambino, Marco Balzano (Einaudi) – recensione di Alessandra Telesco
Nel ricordo della Grande Guerra, si compiva a Trieste il breve destino dell’Italia liberale e si apriva un ventennio destinato a scatenare nella regione un lungo periodo di incertezza e inusitate violenze. Marco Balzano si è gettato con coraggio su una vicenda di confine inseguendo l’origine di un male che trova un volto in Bambino. Ci troviamo nel ventennio fascista nella Trieste di tutti, nei panni di un personaggio morboso, Mattia Gregori, soprannominato Bambino dagli squadristi per via della faccia glabra. L’intero romanzo è attraversato dall’ossessiva ricerca della madre vera. Non è il racconto di una vittima della storia, ma quella di una che il male lo fa. Come in L’avversario di Carrère, Bambino è un personaggio che diventa sempre più caldo per il lettore, perché facendo terra bruciata intorno a sé resta progressivamente solo. In sella alla moto se ne va con la testa al vento e pensieri non ne ha mai; la colpa dura poco, svapora come fumo di sigaretta. Eppure, per Mattia, il lettore proverà compassione. Perché appassionarsi alla storia di un giovane in camicia nera con la faccia da assassino? Perché in qualche modo rappresenta il destino di molti. Mattia si illude di trovare una famiglia pronta ad aiutarlo, si aggrega agli squadristi non per convinzione politica, ma perché è un ragazzo infantile, che cerca di porre dei confini a un trauma che sente dilagare. Ma quando scoppia l’inverno più crudele, a ogni salita l’immagine del duce gli diventa sempre più odiosa. È un romanzo duro, respingente e poco accomodante, una storia di dolore, di silenzio, di resistenza e di solitudine, ma con una grazia e un’umanità dirompenti. Balzano riesce perfettamente nel suo intento di metterci di fronte ai confini del male e a sorpresa, trovando Bambino solo e incapace di dire, a provare pietà per lui. Una notte di guerra, Mattia, si sentirà avvampare sulla faccia la vergogna e il cielo di Valona gli si presenterà come uno specchio in cui guardarsi per la prima volta per ciò che è: un fascista spiantato che sogna sua madre, una donna senza storia né voce.
L’età fragile, Donatella Di Pietrantonio (Einaudi) – recensione di Matilde Elisa Sala
Ci sono età più fragili di altre. O forse no, in fondo siamo sempre fragili, soprattutto quando la vita regala ferite difficili da rimarginare. Lucia non sa come parlare con sua figlia Amanda, chiusa la maggior parte del tempo nella sua stanza e nei suoi pensieri. Il silenzio di sua figlia la angoscia, e lei vorrebbe proteggerla dal mondo, da ciò che non è accaduto a lei ma potrebbe accadere a chiunque altra. Lucia porta in sé la colpa di essersi salvata per caso, trent’anni fa, al Dente del Lupo, terreno della sua famiglia. Alcuni edilizi al momento sono interessati all’acquisto del terreno e per Lucia significa solo scavare nei ricordi e nel dolore. Questi però possono essere un grande insegnamento e un punto di forza per affrontare le sfide della vita. Romanzo vincitore del Premio Strega 2024, L’età fragile offre, con molta scorrevolezza e dolcezza, una bella riflessione sulla vita e le sue difficoltà, trattando tematiche forti come il femminicio. L’importanza del dialogo, e a volte anche del non dialogo. La testimonianza di quanto siamo figli del nostro passato. Il libro non fa tirare un sospiro di sollievo sul finale, anzi, lascia quasi con l’amaro in bocca.
Storia di mia vita, Janek Gorczyca (Sellerio) – recensione di Nina Fresia
Janek Gorczyca è nato in Polonia 62 anni fa, ma da 30 vive in Italia. Con Storia di mia vita Gorczyca tenta di raccontare la sua vita per le strade di Roma: dal dormire sul cemento all’occupazione di uno stabile, dai continui ingressi in ospedale all’essere ospitato da amici. E lo fa con il suo linguaggio e il suo stile: un buon italiano con accento dell’est (e qualche accenno di romanesco) che narra con disarmante semplicità la rigida vita di strada. La narrazione è talmente vera e tangibile che si ha quasi l’impressione di conoscere il suono della voce dell’autore. Le vicende di cui parla Gorczyca, in realtà, ci passano davanti gli occhi tutti i giorni senza che ce ne rendiamo conto. E probabilmente senza sapere che cosa realmente comporti vivere senza una fissa dimora. L’autore non nasconde le difficoltà, anzi: ci guida attraverso le dure giornate lavorative, i problemi a reperire l’acqua, i dissidi tra chi condivide un tetto (per quanto precario). Non cela al lettore nemmeno i lati più oscuri del suo animo, come una dormiente violenza pronta a esplodere. Gorczyca racconta anche del suo paese d’origine e di come la sua storia personale si è intrecciata con quella della politica polacca. Ma, soprattutto, nel suo modo schietto e senza fronzoli di esporre i fatti, riesce a far emergere una sua personale etica. Un’etica forse ermetica e controversa, ma quantomeno profondamente onesta.
L’odore dei cortili, Giuliano Brenna (Il ramo e la foglia edizioni) – recensione di Giacomo Pallotta
L’odore dei cortili è un romanzo intenso e coinvolgente che esplora le profondità delle emozioni umane e dei legami famigliari, catapultandoci in un contesto storico complesso come quello del Portogallo durante la dittatura salazarista. La storia si sviluppa attorno ai personaggi di Serena e Mattia, madre e figlio, che vivono le difficoltà e le speranze di una vita segnata da assenze e attese disperate. Brenna riesce a caratterizzare i personaggi con delicatezza e autenticità insistendo a più riprese sul loro mondo interiore e conferendo a ciascuno una voce chiara e distintiva tale da immergere completamente il lettore nei loro pensieri e nelle loro emozioni. La scrittura di Brenna è ricca di immagini evocative e analogie dal sapore poetico capaci di rendere ancor più magiche le strade e i cortili di Lisbona e di creare, di conseguenza, un’atmosfera unica e suggestiva. La ricerca d’identità, il dolore della perdita e il potere dei ricordi sono affrontati con estrema sensibilità mentre le speranze di una madre sola e la rabbia di un adolescente smarrito sono restituite al lettore in tutta la loro complessità e senza alcun giudizio, rendendo la lettura un’esperienza toccante e che, pagina dopo pagina, ci cattura in un vortice di emozioni da cui non è facile liberarsi.
La vita è breve, eccetera, Veronica Raimo (Einaudi) – recensione di Nina Fresia
La vita è breve, eccetera è una raccolta di undici racconti editi e rivisti di Veronica Raimo. Sono storie tutte al femminile: Raimo racconta le donne da una prospettiva priva di luoghi comuni e profondamente autoironica. E sebbene spesso i contorni delle vicende narrate sfumino nel surreale, vi è sempre un fondo di realismo. Come in Non si guardano i nani, dove la realtà dell’America più profonda cozza con i buffi nani da giardino che disseminano il quartiere. O come il degrado sociale ne La commissione, che si scontra con la comica assurdità di una scrittrice schiava della sua vicina di casa. Le donne di Veronica Raimo, alla fine, sono semplicemente umane: amano e sbagliano, soffrono e si prendono in giro. Sono 11 ritratti sinceri, schietti: se alcuni vi colpiranno per le bizzarre storie narrate, altri vi cattureranno per le emozioni evocate.