Il 9 gennaio 1993 Jean-Claude Romand uccide sua moglie Florence, i loro figli Caroline e Antoine e i suoi genitori Aimé e Anne-Marie, con il loro cane. Il fatto sconvolge la Francia degli anni Novanta. Romand sembrava un uomo tranquillo, devoto alla sua famiglia e amichevole. Come ben si sa, molto spesso dietro una facciata si nascondono molte più insidie e sofferenze. Nel suo caso si nascondeva un’altra persona, il suo Avversario.
Jean-Claude combatte con il dottor Romand, il suo doppio dalla vita perfetta, un uomo ricco e realizzato nel lavoro. Tutto il contrario di Jean-Claude, fortemente depresso, vittima delle sue bugie.
È cominciato tutto nel periodo universitario. Dopo aver deciso di non presentarsi all’esame per essere ammesso al terzo anno di medicina, Jean-Claude si inventa di avere un linfoma, pensando che un cancro avrebbe sistemato le cose. Sopravvissuto alla malattia, fa credere di essere riuscito a laurearsi – pur non avendo in realtà mai finito l’Università – e di essere diventato un importante ricercatore all’OMS di Ginevra. Non lavorando, Jean-Claude ha bisogno di altri modi per mantenere la propria famiglia: la frode. Insomma, una vita intera costruita su un castello di menzogne che lo porteranno poi a compiere il delitto, inizialmente pensato come un omicidio e un successivo suicidio. Ma Jean-Claude riesce a sopravvivere.
Lo scrittore Emmanuel Carrère, affascinato dalla sua storia, decide di scriverne un libro. Ripercorre i fatti di cronaca, si mette in contatto con gli amici della famiglia Romand e ne segue il processo. Il risultato è contenuto ne L’Avversario pubblicato nel 2000. Le pagine scorrono in maniera ritmica, il lettore viene completamente inglobato da questa vicenda, tanto quanto lo è stato Carrère. Ci si renderà presto conto che non ci si trova di fronte a una cronaca, ma a una vera e propria opera letteraria non finzionale. Perché una persona arriva a compiere questi gesti?
Carrère indaga l’animo e la psiche di Jean-Claude Romand, ne ripercorre i passi, le passeggiate nei boschi e le ore trascorse nei bar o in macchina.
Sembra quasi che, a metà libro, si possa provare dispiacere per Romand, sopraffatto dal suo doppio, avversario di sé stesso. Il dispiacere cadrà subito dopo: Jean-Claude Romand rimane un assassino.
Lo dice lui stesso: «Non sono mai stato così libero, la mia vita non è mai stata così bella. Sono un assassino. La mia immagine agli occhi della società è la peggiore che possa esistere, ma è più facile da sopportare che i miei vent’anni di menzogne». Carrère inizia a scrivere il romanzo nel 1996, si interromperà tre mesi dopo, a novembre. Fatica a trovare una sua collocazione all’interno di questa storia. Si rende conto che c’è il rischio che non riesca a essere obiettivo. Riprenderà due anni dopo.
L’Avversario è un’opera fuori dal comune, unica nel suo genere. Un racconto che scuote e lascia turbati.
Che tira continui pugni nello stomaco e lascia sconvolti. Che non fa tirare sospiri di sollievo, perché non si può fare nulla di fronte a fatti come questi. Bisogna solo leggerli, prenderne consapevolezza e cercare di digerirli. L’Avversario è un libro che va letto una volta, e poi riletto ancora, per trovare anche noi lettori una collocazione in questa storia.