Lo scorso 24 novembre si è concluso il primo turno delle elezioni presidenziali in Romania. Il risultato, imprevisto, spinge ora al ballottaggio Călin Georgescu, candidato indipendente di estrema destra, ed Elena Lasconi, riformista e filo-occidentale. Una sfida tra due visioni radicalmente opposte, che riflette un Paese ormai spaccato su cruciali questioni geopolitiche.
Con un’affluenza del 52,5% – in crescita rispetto al 42% delle precedenti elezioni -, Georgescu ha ottenuto il 22,9% dei voti, seguito dal 19,18% di Lasconi. Georgescu è riuscito a ottenere un forte supporto anche dalla diaspora, raccogliendo il 43,3% dei voti tra i cittadini all’estero, mentre Lasconi ha ricevuto il 26,8%.
Il favorito Marcel Ciolacu, premier uscente e leader del Partito Social Democratico (PSD), si è fermato al terzo posto con il 19,15%, mancando l’accesso al ballottaggio per un margine di appena 2.500 voti. Questo risultato segna un punto di svolta nella politica rumena, in quanto è la prima volta che il PSD non accede al ballottaggio in elezioni presidenziali dalla fine del regime comunista.
Georgescu – un outsider politico con posizioni sovraniste e filorusse – è invece quasi un estraneo allo scenario politico interno: fino a pochi mesi fa sconosciuto alla maggior parte dei cittadini, la sua campagna ha fatto leva su temi identitari nazionalisti e su critiche alla NATO e all’Unione Europea.
Georgescu possiede un dottorato in pedologia (una branca della scienza del suolo) e ha ricoperto diverse posizioni nel Ministero dell’Ambiente della Romania negli anni Novanta. Il punto di svolta in ambito politico arrivò nel 2010, quando Georgescu fu designato relatore speciale delle Nazioni Unite sui diritti umani e i rifiuti tossici. Nel 2021, invece, si avvicinò dichiaratamente all’estrema destra, sostenendo che gli Stati Uniti stessero manipolando la situazione in Ucraina, con l’obiettivo di fomentare un conflitto internazionale a beneficio dell’industria militare americana.
Lasconi, ex corrispondente di guerra e presentatrice TV, è l’attuale sindaca della città di Câmpulung. Dopo essere entrata in politica nel 2018, divenne segretaria del partito di centro-destra Save Romania Union (USR), costruendo il proprio successo sulla promessa di riforme istituzionali e sull’impegno a rafforzare il posizionamento occidentale della Romania.
Lasconi ha già dichiarato di voler dialogare con tutte le forze democratiche per costruire una Romania moderna e integrata nell’odierno contesto europeo filo-americano. Georgescu, invece, ha fatto appello agli elettori “delusi” dalla corrente linea governativa, e a coloro che desiderano una “rinascita nazionale”, enfatizzando un approccio sovranista e autarchico all’amministrazione dello Stato.
Georgescu stesso ha affermato su Facebook di aver partecipato «per gli ingiusti, per gli umiliati, per coloro che si sentono insignificanti ma che in realtà sono i più importanti… il voto è una preghiera per la nazione».
Il suo successo, di fatto, si basa in larga parte sull’utilizzo di piattaforme social come Facebook e soprattutto TikTok, dove nei suoi video dichiara a 1,7 milioni di followers che il Covid-19 non è mai esistito, o che la Romania beneficerebbe della «saggezza russa» nella gestione degli affari esteri, sebbene si rifiuti di supportare esplicitamente gli sforzi di Putin nella corrente guerra contro l’Ucraina.
Proprio la sua popolarità su TikTok ha portato l’ANCOM (ente regolatore delle telecomunicazioni a livello nazionale) a chiedere la sospensione della piattaforma in Romania, a causa di sospetti brogli nel primo turno elettorale. Nei sondaggi, infatti, Georgescu risultava a un solido 5% fino all’avvio di un’intensa campagna mediatica potenziata sui social da account bot – ovvero automatizzati -, aumentando i timori di possibili interferenze esterne.
Il consiglio nazionale di difesa, presieduto dal presidente uscente Klaus Iohannis, ha dichiarato che analizzerà «i possibili rischi per la sicurezza nazionale generati dalle azioni di attori informatici statali e non statali sulle infrastrutture a sostegno del processo elettorale». Il consiglio nazionale dell’audiovisivo del paese (CNA) ha anche chiesto alla Commissione Europea di indagare sul ruolo di TikTok, dicendo che sospettava una considerevole “manipolazione dell’opinione pubblica” e “amplificazione algoritmica” dei post a favore di un particolare candidato.
Bisogna ricordare che, sotto l’URSS, la Romania di Nicolae Ceaușescu era riuscita a mantenere una certa indipendenza rispetto al Cremlino – un’eccezione all’interno del blocco sovietico. Con la caduta del regime nel 1989, Bucarest avviò un deciso percorso di integrazione occidentale, culminato con l’adesione alla NATO nel 2004 e all’UE nel 2007.
Tuttavia, la vicinanza geografica alla Russia e la dipendenza energetica da essa – al momento, 1,5 miliardi di metri cubi di gas vengono importati – hanno continuato a influenzare i rapporti bilaterali. Negli ultimi anni, il sostegno rumeno all’Ucraina e il rafforzamento delle basi NATO sul territorio hanno ulteriormente incrinato le relazioni, destabilizzando la posizione del Paese come inufficiale “stato-cuscinetto” dell’Unione.
Al 28 novembre, la Corte Costituzionale rumena ha inoltre ordinato un riconteggio completo dei voti del primo turno, a seguito delle sopracitate accuse di irregolarità – in particolare riguardanti uno stretto margine di circa 2.750 voti. Il processo di riconteggio, che coinvolgerà oltre 9 milioni di schede archiviate nei tribunali distrettuali e che potrebbe richiedere settimane, ha suscitato reazioni contrastanti: Lasconi ha criticato il provvedimento come una minaccia alla democrazia, mentre Georgescu ha ipotizzato che le istituzioni statali possano ostacolare la volontà popolare.
Il risultato del secondo turno, previsto per l’8 dicembre, dipenderà però in gran parte dalla capacità dei due sfidanti di attrarre i voti degli altri candidati minoritari. George Simion, leader del partito ultranazionalista AUR, sembra un chiaro alleato per Georgescu. Al contrario, Lasconi potrebbe ottenere il sostegno dei votanti moderati e filo-occidentali, inclusi quelli di Nicolae Ciucă (8,8%), candidato del Partito Nazionale Liberale (PNL), e dei sostenitori di Mircea Geoană, ex vicesegretario generale della NATO.
Con un Paese profondamente diviso, il ballottaggio promette di essere una competizione serrata e simbolica, che avrà ripercussioni ben oltre i confini della Romania.