Del: 15 Novembre 2024 Di: Leonardo Donatiello Commenti: 0
Giradischi, gli album consigliati d'ottobre

Giradischi è la rubrica dove vi consigliamo i dischi usciti nell’ultimo mese che ci sono piaciuti


Containers, Night Skinny

Cosa ce ne facciamo di un contenitore se non lo utilizziamo per metterci dentro qualcosa? Night Skinny sa bene che per definizione un contenitore ha bisogno di contenuti, altrimenti non avrebbe senso di esistere. Il suo ultimo disco “Containers” è concepito come una vera e propria matrioska: al primo livello troviamo una nave da commercio, capitana proprio da Luca, gestore e coordinatore di tutto quello che succede al suo interno. Successivamente al centro vi sono i vari containers, gli artisti presenti nel disco, di cui le merci, ovvero i contenuti personali, sono lo strato più piccolo. Ovviamente sarebbe facile far riferimento alla merce da contrabbando, considerato il tono street di tutto il progetto, tuttavia all’interno dei vari contenitori non troviamo solo armi e droga, ma soprattutto giovinezza e rinascita.

Questo non lo diciamo a caso: Night Skinny è stato capace di connettere due generazioni di artisti senza sfigurare, ma, cosa più importante, ha avuto il coraggio di dare spazio a tanti autori che necessitavano una pubblica versione più fresca di se stessi. Abbiamo risentito Lazza e Tedua su un pezzo banger, Madame cantare con il cuore in mano, Guè e Noyz dedicare una poesia al proprio padre, Rkomi ritornare a rappare. Luca infatti in questi anni non ha semplicemente prodotto musica, ma è diventato un vero punto riferimento sia per chi l’ha accompagnato da sempre nel tragitto sia per le nuove leve del rap italiano, che l’hanno incoronato come padre artistico. Stiamo parlando di tutti quegli emergenti che ora si stanno affermando, da Kid Yugi a Tony boy, passando per Arti Five, Nerissima Serpe e Papa V. Che dire, una gestione logistica di tutto rispetto, Night Skinny è stata la gru che ha spostato i containers nella posizione giusta, incastrandoli nel miglior modo possibile per la partenza. La nave alla fine è arrivata a destinazione, ma i metal detector degli ascoltatori hanno riscontrato un prodotto illegale al suo interno.


Esci dal tunnel, Simba La Rue

Caparezza nel 2003 cantava «sono fuori dal tunnel del divertimento» criticando apertamente lo stereotipo del party-man incapace di affrontare la noia. Oggi quasi vent’anni dopo Simba La Rue esce con una Deluxe dal titolo molto simile, ma dal concetto totalmente differente. Esci dal tunnel non è infatti una denuncia al divertimento, ma il racconto di un manicomio, di un luogo scuro e tetro, in cui la musica è l’unica salvezza. L’album di Simba è disagio allo stato puro, è una miscela di pensieri intermittenti, percezioni alterate e paranoie. In realtà ascoltando tutti i versi del disco è quasi difficile scorgere una luce che giustifichi la fuoriuscita da un tale circolo vizioso, fatto di violenza, spaccio e criminalità. L’unica certezza sembra essere la triste verità di alcune affermazioni, troppo crude per essere false. «È successo di tutto in casa mia, papà mi picchiava, si sfogava sui figli, io e i miei fratelli portiam le cicatrici» racconta Mohamed aprendosi come difficilmente farebbe in un’intervista. Fuori dal tunnel slaccia le cinghie della camicia di forza indossata da Simba, non per riportarlo a delinquere ma per indirizzarlo verso la musica, di questi tempi il mezzo rieducativo per eccellenza.


Astro, Astro

Flusso, spensieratezza e destino, tre concetti fondamentali per comprendere a pieno la figura artistica di Astro. Sarebbe forse riduttivo relegarlo al semplice cantante, tanto è vero che Rida (il suo vero nome) in un’intervista di Billboard si definisce «un esteta», un ricercatore del bello in tutti i campi. L’esteta per definizione vive di emozionalità, dunque non è accidentale che il suo nuovo disco Astro intercetti un certo sentimentalismo, con dei suoni e delle linee melodiche alquanto suggestive. Astro vive la musica come trasporto, le parole escono da sole senza un programma definito, come se fossero già state scritte da qualcuno. In questo senso flusso e destino si intrecciano con una spensieratezza forse più funzionale e necessaria che reale.

Al di là delle delusioni amorose, che tanto ritornano nell’album, sono i soldi ad essere un pensiero fisso per l’artista. «Soldi toccano il soffitto, i miei piedi restano al suolo» è segno di agiatezza ma anche di umiltà verso se stessi. Allo stesso tempo la spesa dei soldi e tutte le conseguenze della vita da rapper rendono l’esistenza di Astro una ruota da criceto, in cui si continua a correre e vivere il presente, senza nessuna prospettiva futura. Radi riesce ad esplicitare tutte queste sensazioni non solo attraverso le parole ma soprattutto tramite le proprie linee vocali, vere protagoniste della conseguente versatilità musicale. Il destino di Astro effettivamente sembra già scritto, dunque non ci rimane che farci trasportare comodamente nel suo stream of consciousness.


Chromakopia, Tyler, the Creator – recensione di Lorenzo Bogo

Un disco quasi autobiografico. Bizzarro. Forse è questo l’aggettivo che meglio descrive il venire in essere di Chromakopia, il settimo album del rapper americano Tyler, The Creator. Bizzarra è infatti la data di uscita, un lunedì, dovuta al fatto che l’artista ritenga più consono avere a disposizione tutta la settimana per ascoltare a pieno i suoi lavori. Bizzarro è il fatto che nessuno dei suoi fan si aspettasse una sua nuova uscita in questo periodo della sua carriera: era infatti oramai dato per assodato che Tyler rilasciasse un nuovo album ogni due anni, come aveva sempre fatto fin dal 2011 con ostinata costanza. Non essendoci stata però alcuna novità nel 2023, e considerando anche il fatto che l’artista aveva lasciato qua e là indizi su un suo possibile debutto attoriale, in molti pensavano che si sarebbe dovuto aspettare almeno fino al prossimo anno.

Bizzarra è stata la modalità con cui è stato annunciato il disco: non un singolo rilasciato, ma la pubblicazione il 16 ottobre di un enigmatico video in cui si comunicava l’uscita dell’album in soli dodici giorni, e solo successivamente la condivisione della traccia Noid. E infine bizzarra è stata la questione delle collaborazioni: Tyler aveva confermato in primo luogo l’assenza di altri artisti nel disco, ma ad un primo ascolto ci si può facilmente rendere conto di come questo non sia vero. Le collaborazioni, anche se non riportare nella scaletta, ci sono, e anche di grosso calibro: possiamo infatti trovare all’interno dell’album, tra tutti, le voci di Childish Gambino e SchoolboyQ, la chitarra di Steve Lacy e il basso di Thundercat.

Prendendosi però il giusto tempo per apprezzarlo, si può facilmente notare come il risultato di questi anni di lavoro del rapper californiano sia tutt’altro che bizzarro. L’album riesce infatti a porsi come perfetta sintesi di quelle che sono state le sonorità del cantante e produttore fino a questo punto della sua carriera. Vi sono infatti brani che rievocano un Tyler più giovanile, come Rah Tah Tah, I Killed You e Sticky, dove si fa uso di un flow aggressivo, con rime graffianti e bassi molto accentuati nel mix. Uno stile di rapping che molto deve alla tradizione old school di Los Angeles ma anche ad artisti più recenti, tra tutti Kendrik Lamar, che non a caso è considerato dal cantante il più grande rapper in attività e sua importante ispirazione. Si può anche trovare un Tyler che si scosta da sonorità prettamente rap per abbracciare generi quali soul e R&B, come nei brani Judge Judy e Take Your Mask Off, o addirittura spunti di piano jazz nella finale I Hope You Find Your Way Home; generi con cui l’artista ha avuto a che fare maggiormente nei suoi ultimi lavori. Ma si ritrova anche un Tyler che sperimenta, come in Noid, un brano difficile da incapsulare in un singolo genere, dove fa uso di sample di musica kenyota e riff di chitarre rock.

La bravura dell’artista sta anche nella produzione, che riesce ad amalgamare tutti questi aspetti al meglio, non facendoli cozzare tra loro ma facendo fluire il disco brano dopo brano senza mai dare l’impressione di incongruenza. Tyler risulta l’unico produttore e scrittore dell’album, avendo curato da sé tutti le basi e gli arrangiamenti dei brani e coordinato il gran numero di artisti che hanno preso parte al progetto, lasciando quasi in secondo piano il suo ruolo da cantante per certi spezzoni: non in tutti i brani infatti risulta essere lui la voce principale, e hanno un grande ruolo in quello che è lo sviluppo della parte vocale del disco l’ampio utilizzo di cori e la voce narrante della madre dell’artista.

Anche nei testi si ritrova una volontà di rivolgere lo sguardo su quella che è stata la sua carriera fino a ora e riflettere sui problemi che lo impegnano al momento o che lo hanno impegnato in passato: problemi legati alla fama e alla paranoia, portati all’esasperazione quasi caricaturale in Noid, o anche all’amore e alla fiducia, come in Hey Jane, in cui è affrontata la tematica di una gravidanza inaspettata. Che sia quindi questa l’opera che segna un temporaneo stop alla produzione musicale di Tyler, come si era pensato fino a questo momento del precedente album? Che sia anche l’album più completo ed esaustivo delle caratteristiche dell’artista fino ad ora? Sono forse domande a cui solo il tempo saprà rispondere, ma al momento prossimo essere certi del fatto che Tyler abbia prodotto un’opera che sarà in grado di far affezionare i suoi fan di lunga data e che potrà fungere da ottimo approdo per chi si vorrà approcciare alla sua musica per la prima volta.


CalmoCobra, Tananai – recensione di Nina Fresia

Durante un concerto a Milano, Tananai si è chiesto come sarebbe andata la sua carriera se alla sua prima esibizione sanremese avesse intonato tutte le note. Effettivamente è stata proprio la poca precisione nella sua performance a renderlo noto al grande pubblico. Non possiamo dire se il successo sarebbe comunque arrivato, ma si può affermare che da Sanremo 2022 a CalmoCobra, ultimo album del cantante milanese, Tananai è musicalmente maturato. Ha acquisito una propria cifra stilistica e ogni suo brano è riconoscibile per melodia e testo: impossibile non accorgersi di un suo pezzo quando passa per la radio.

Le canzoni di Tananai creano sempre l’atmosfera perfetta per quello spazio di tempo che va dalle tre di notte alle 6 del mattino. Quando tutto resta un po’ sospeso e oscilli dalla voglia di fare festa e ballare in strada a quel senso di nostalgia che le prime ore dell’alba irrimediabilmente evocano. Se le scanzonate canzoni “hit” sono abbondanti nell’album (da Booster a Punk Love Story), non mancano tuttavia quelle tracce più romantiche dal sapore indie (come Androne o Nessun Confine). Racconta di amori difficili, mai decollati veramente o da rimpiangere: e non lo fa con la spensierata presa in giro del primo Tananai, ma con l’introspezione di Alberto.

Leonardo Donatiello
Laureato in storia, attualmente frequento la facoltà di scienze storiche. Mi reputo una persona pacata e tranquilla, ma stranamente mi attrae il disordine. Non è dunque un caso che io sia un grande fan della Prima repubblica. Nel tempo libero mi occupo di politica e sport principalmente, ma ho anche un debole per la musica hip hop.

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