Dal 12 al 17 Novembre 2024 il Teatro Carcano ha ospitato sul proprio palco Il caso Jekyll, diretto da Sergio Rubini. Lo spettacolo è un riadattamento in chiave psicoanalitica dal famoso romanzo del 1886 di Robert Louis Stevenson The strange case of Doctor Jekyll and Mister Hyde. Con la collaborazione di Carla Cavalluzzi, Rubini ha portato in scena la storia del conosciuto Dottor Henry Jekyll spogliandola delle sue originali allegorie di carattere gotico-fantastico. Ha reso così il romanzo di Stevenson meramente «d’ispirazione a una storia più vicina ai temi della nostra contemporaneità, offrendo allo spettatore la possibilità non solo di rispecchiarsi nei pericoli ma anche nei piaceri che scaturiscono dalla propria Ombra, e di essere spunto di riflessione sulla necessità di dialogare col proprio Inconscio, portarlo fuori e condividerlo con la collettività, per evitare che la nostra Ombra scavi in solitudine nel nostro Io un tunnel di sofferenze e violenza».
Il Dottor Jekyll messo in scena, infatti, interpretato da Daniele Russo, è uno studioso della psiche umana che teorizza, facendosi portavoce di quella che sarebbe poi stata la tesi junghiana, l’esistenza del cosiddetto archetipo dell’Ombra – l’Inconscio per Freud. Quest’Ombra, secondo Jekyll, nei suoi pazienti, è stata repressa perché in conflitto con l’archetipo della Persona – l’Io per Freud, e dunque con ciò che la società esige, e proprio tale repressione li ha portati a sviluppare dei disturbi mentali. La soluzione da lui avanzata, che lo allontana dal suo amico e a sua volta studioso della mente Dottor Lanyon, è quella di riconoscere e provare a rapportarsi con quest’Ombra per instaurarvi un dialogo costruttivo.
Infatti, per quanto oscura e composta da bestiali istinti e desideri inconfessabili, questa parte di noi è anche la più vera e profonda che abbiamo, in quanto custode delle nostre idee più creative e dei nostri più grandi piaceri.
A rendere incredibilmente innovativo e attuale questo adattamento teatrale, inoltre, è stata la scelta di attribuire al Dottor Jekyll stesso un passato tanto doloroso da fargli sviluppare un’incombente Ombra; questa, per anni tenuta nascosta dietro la maschera della persona rispettabile al fine di ben integrarsi nella società vittoriana dell’epoca, diventa il catalizzatore dei suoi esperimenti: in quanto luminare della medicina, che altro avrebbe potuto fare se non approfittarne per provare su se stesso le sue stesse teorie?
Così, il dottore decide di riconoscere la sua Ombra e di darle la possibilità di manifestarsi,e la battezza come Edward Hyde – interessante come, in lingua originale, il nome sia pronunciato esattamente come il verbo “hide” (nascondere), in quanto l’Ombra è stata, appunto, tenuto celata. Ciò che però Jekyll non prende minimamente in considerazione è la possibilità che, entrando in dialogo con una parte di sé sì a lungo repressa e tanto oscura, questa possa prendere il sopravvento su tutta la sua Persona, come fatogli notare molteplici volte con scetticismo dall’amico Lanyon quando i due si si sono trovati a discutere dei loro studi.
Infatti, per quanto poi con il tempo la psicoanalisi sia diventata unanimamente concorde sull’importanza del dialogo con il proprio Inconscio, nel caso del nostro protagonista le paure di Lanyon purtroppo si fanno realtà.
Il Signor Hyde diventa in questo modo lo spregiudicato fautore delle nefandezze più recondite e disdicevoli dell’Inconscio del rispettabile Dottor Jekyll, e, sfuggendo sempre più al controllo razionale di quest’ultimo, inizia a dare sfogo a tutte le sue pulsioni più indicibili.
Ora, la fatidica domanda che sorge spontanea allo spettatore contemporaneo: condanna o assoluzione?
In filosofia, la questione della responsabilità morale si lega al concetto di libertà di scelta e controllo delle proprie azioni. In un’ottica aristotelica-kantiana, un soggetto è da considerarsi completamente responsabile non tanto quando l’azione da lui compiuta sia meramente volontaria, cioè con principio d’azione individuabile nell’individuo agente stesso, piuttosto quando tale azione sia stata oggetto di una deliberazione sottoposta alla ragione e per questo scelta in vista di un certo fine. Pertanto, l’imputabilità o l’assoluzione dipendono anzitutto dalle circostanze in cui si dà l’azione, prima fra tutte la sua intenzionalità, e dunque il pentimento o meno qualora da un buon intento seguano invece delle disgrazie.
Per quanto riguarda il Jekyll di Rubini, si può certamente dire che non solo abbia volontariamente deciso di testare i suoi studi su di sé, ma lo abbia fatto anche con un fine molto nobile, ossia quello di curare le malattie mentali dei suoi pazienti, anche a costo di farsi cavia egli stesso.
Tuttavia, ciò che segue ai suoi esperimenti non è altrettanto volontario, men che meno scelto secondo un processo di deliberazione razionale, in quanto Jekyll non è assolutamente padrone delle proprie azioni quando Hyde prende il sopravvento. In parte diverso, invece, il caso del Jekyll di Stevenson, il quale inventa una pozione con cui possa a suo piacimento, volontariamente, trasformarsi in un vero e proprio Altro da Sé, Hyde, con il ben deliberato e malvagio fine di dare totale sfogo alle sue passioni più oscene senza doverne pagare le conseguenze. Eppure, a un certo punto, anche il Jekyll stevensoniano non può più considerarsi padrone delle proprie azioni, in quanto le trasformazioni iniziano a non avvenire più per volontà sua.
Anche per quanto concerne, poi, il tragico finale della storia con il suicidio del Dottor Jekyll, si può distinguere tra l’originale e l’adattamento. Il primo, infatti, opta per il suicidio quando viene messo alle strette, perché non essendo più in grado di controllare le sue trasformazioni nell’alter-ego Hyde, non vuole confrontarsi con le conseguenze di tutti i crimini che ha commesso. Il secondo, invece, è solo quando si rende conto di non essere più “padrone in casa propria”, citando Freud, che sceglie il suicidio, con lo scopo di annientare la sua stessa Ombra fautrice di così tanti e gravi crimini.
Si capisce quindi che nella prospettiva aritstotelica e kantiana si arriva a condannare il Jekyll di Stevenson e assolvere invece quello di Rubini. Ma è davvero così anche per noi? Assolveremmo da furti, crimini, stupri, omicidi, un uomo perché “folle” , ma ben intenzionato e pentito?
Non ci si stupisca del fatto che, in questo, lo spettacolo è aporetico. E lo scopo forse è proprio ciò: far riflettere lo spettatore, senza dargli una risposta certa, per metterlo così in prima persona di fronte al doppio che alberga dentro ciascuno di noi: il nostro Inconscio, la nostra Ombra, il nostro Hyde. Chissà cosa accadrebbe se decidessimo di riconoscerlo e accettarlo…