Del: 22 Novembre 2024 Di: Nina Fresia Commenti: 0

Cosa hanno in comune un giurista genovese dell’Ottocento e un cavalcavia milanese che sembra non avere fine? Potrebbe benissimo essere l’incipit di una barzelletta, ma a volte la realtà supera di gran lunga l’immaginazione. Stiamo parlando infatti dei due simboli più rappresentativi di Corvetto, uno dei quartieri periferici più controversi e iconici di Milano.

La narrativa che da anni accompagna questa zona di confine non è delle migliori: sia la televisione prima, che i social network oggi, hanno contribuito a dipingerla come una periferia insicura e pericolosa per i cittadini. Questo resoconto, tuttavia, per quanto possa avere degli elementi di verità, certamente non risolve la complessità e la particolarità di Corvetto, quartiere che non può essere solo raccontato come un luogo in cui regna l’anarchia.

Abbiamo voluto esplorare la sua parte migliore, spesso nascosta dalle tante notizie negative sulla zona. Corvetto è infatti da sempre conosciuta anche per la sua multietnicità e, di conseguenza, per le sue tante e diverse spinte artistiche e culturali. E sono molte le associazioni che lavorano notte e giorno per dare nuove opportunità e riqualificare il territorio partendo proprio da quelle spinte.

Abbiamo quindi deciso di confrontarci con una di queste realtà, il CIQ (Centro Internazionale di Quartiere), per farci raccontare la periferia da un altro punto di vista. Ad accoglierci in via Fabio Massimo è stato Modou Gueye, ideatore e fondatore dell’associazione, uomo tuttofare, che si occupa della gestione del centro.

Per iniziare, volevamo chiederti com’è nata la vostra organizzazione e di cosa si occupa in particolare.

Noi nasciamo dall’Associazione Socio-Culturale Sunugal e collaboriamo attivamente con Fate Artigiane e Maschere Nere. Prima di essere qui avevamo un piccolo spazio alla Fabbrica del Vapore: da lì ci è venuta l’idea di cercare un’area più grande. Approdiamo così a Cascina Casottello, ora ribattezzata Centro Internazionale di Quartiere. L’obiettivo è quello di immettere in rete diversi soggetti e collaborare con varie realtà.

Non abbiamo la pretesa di essere noi i promotori delle idee artistiche e culturali: abbiamo infatti creato un contenitore, ma poi ci vogliono i contenuti. Quindi accogliamo tutte le proposte musicali e teatrali, ma anche diverse attività per bambini, seminari, conferenze, purché lo spazio basti e la legge ce lo permetta. Ci capita anche di ospitare tre/quattro eventi contemporaneamente.

Qualche settimana fa, ad esempio, siamo stati sede di diverse conferenze in occasione del Festival della Pace e allo stesso tempo abbiamo dato spazio a un concerto su De André e a uno di musica punk. Abbiamo avuto anche un laboratorio di empanadas: la cucina che offriamo è internazionale, spazia dall’Abruzzo al Senegal al Maghreb, dalle cene pugliesi a quelle sarde. Non mancano neanche le “cassoeulate”, con una signora del quartiere che ogni tanto con altre amiche riempiono la sala.

Spesso, sapendo che siamo senegalesi, chi ci chiama pensa che ci occupiamo solo di Africa; ma ci chiamiamo Centro Internazionale di Quartiere, quindi non siamo solo tamburo e cous cous. Siamo davvero aperti a tutte le realtà. Stiamo cercando anche di coinvolgere un folto gruppo di giovani da tutte le province milanesi e di avviare con loro una proposta culturale e artistica. Spesso infatti si fa il progetto per i giovani, ma senza i giovani. Io offro gli spazi e sono loro a darmi le idee.

Modou Gueye

A questo proposito, i giovani del quartiere come li vedi?

I giovani li vedo vogliosi: li vedo che girano per il centro e fanno foto, ma io in realtà non ho capito cosa fanno. Allora gli ho detto di raccontarmi le loro idee in modo da poterli aiutare. Ospitiamo a questo riguardo un festival musicale dove partecipano gruppi dai 12 ai 18 anni. Ne è un esempio il festival Doremifasud, che è un festival aperto alla contaminazione musicale e in cui si chiede aciascun gruppo di avere un elemento del Sud del mondo al suo interno.

Inoltre, collaboriamo con varie università, teniamo seminari in collaborazione con la Statale, la Cattolica e la Bicocca, oltre a essere sede della Rivista Africa. Corvetto viene sempre raccontato come un quartiere “malavitoso”, ma non si menzionano mai le varie associazioni che lavorano sul territorio.

Come vedi il quartiere? Ha delle prospettive? Il Comune di Milano sta facendo qualcosa per valorizzarlo?

Quando abbiamo deciso di partecipare al bando qualcuno ha storto il naso. Ci hanno detto che stavamo andando nella zona dei drogati. Ma a maggior ragione noi ci volevamo andare. Il nostro obiettivo è lavorare con la gente, con le persone. Un’associazione non deve andare a cercare una bella zona e stare lì senza fare niente.

All’inizio c’era un po’ di disordine nel quartiere, a parte la nostra stessa struttura che era danneggiata e saccheggiata. Di lì a poco ho però percepito un cambiamento, dalla notte al giorno. Inizialmente quando siamo arrivati qualche delinquentello veniva addirittura a rubarci il pollo nel frigo. Ho visto piano piano cambiare il quartiere, cambiare il parco. Ho visto vari assessori del Comune di Milano avere delle idee e metterle in atto a supporto e sostegno di tutti. Il Comune insieme alla fondazione Cariplo sta valorizzando continuamente il quartiere e finanziando le associazioni.

Ci sono state inoltre tante iniziative del Municipio, indipendentemente dal colore politico: la prima giunta con cui abbiamo collaborato era leghista e, anche se qualcuno diceva che erano anti-immigrati, abbiamo instaurato un buon rapporto. Li abbiamo anche invitati all’inaugurazione del centro e hanno sostenuto alcune nostre iniziative, così come sta facendo la giunta attuale. Davvero vedo tanti cambiamenti e tanta volontà di sviluppare delle idee.

A me piace molto Corvetto: ho instaurato rapporti con la comunità e mi trovo bene nel quartiere. Dobbiamo però lavorare di più, far conoscere questo spazio e organizzare più attività. Bisognerebbe, con l’aiuto del Comune e del Municipio, creare dei momenti di socializzazione anche al di fuori di questo centro.

Modou Gueye

È vero che gli italiani non vogliono accogliere gli stranieri?

No, non è vero, questa è una strumentalizzazione politica. Nel quartiere e in generale in Italia non l’ho riscontrato. C’è sì un po’ di ignoranza: se la tv e i politici continuano a denigrare gli immigrati alla fine ti convincono. Ma si deve capire che in Italia lavorano quasi 4 milioni di stranieri nelle fabbriche o nelle famiglie. Non sono solo quelli che bighellonano in Stazione Centrale. C’è una forte strumentalizzazione politica ma gli italiani sono più che accoglienti e più che dialoganti. La politica, che dovrebbe aiutare, invece usa la questione per i propri fini. Dobbiamo essere attenti, soprattutto giornalisti e politici, ad avere una visione a lungo termine di condivisione e dialogo. Non si può fermare chi arriva. E, detto brutalmente, l’Italia ha bisogno di loro. Bisogna capire come fare un’accoglienza, un’integrazione o interazione sana. Lo stesso CIQ va in quella direzione: noi ci occupiamo soprattutto di musica e teatro, e quando parla di integrazione e di interazione non vedo strumento più adatto dell’arte.

Avete la prospettiva di aprire altri centri?

Prima o poi lasciare spazio a qualcun altro all’interno della nostra associazione o della nostra rete. Spero veramente che ci sia qualcuno con la nostra stessa visione perché la mia paura è che poi questo spazio diventi una di quelle cascine dove paghi un cocktail uno sproposito.

Abbiamo l’idea di creare un centro simile in Senegal. Vorremmo creare un Centro Internazionale di Quartiere itinerante. In Senegal c’è anche il Centro Culturale Italiano che ha iniziato a promuovere alcune iniziative. Fino a luglio abbiamo ospitato qui uno scultore senegalese e ora alcuni artisti italiani andranno da lui: mi piacerebbe rafforzare questo scambio tra Italia e Senegal. E anche in questo caso lasciare spazio ai giovani.

Stiamo anche lanciando il progetto Artisti Uniti per l’Ambiente che coinvolge teatranti, musicisti e poeti in collaborazione con vari comuni in Senegal. Mi sembra una bella cosa anche per promuovere il Made in Italy e dire grazie all’Italia, attraverso questa associazione italo-senegalese.


Corvetto è un po’ questo: cassoeula, arancini e cous cous in uno stesso piatto. Un microcosmo a Sud dal centro di Milano dove comunità diverse coesistono e si fondono. Modou Gueye e il suo CIQ, in effetti, ci ricordano che il quartiere altro non è che un contenitore: ci sono le strade e le strutture, ma servono anche associazioni e cittadinanza attiva per fargli prendere vita. E per ricordare che anche nei contesti più difficili può esserci speranza.

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Nina Fresia
Studentessa di scienze politiche, curiosa per natura, aspirante giramondo e avida lettrice con un debole per la storia e la filosofia. Scrivo per realizzare il sogno della me bambina e raccontare attraverso i miei occhi quello che scopro.
Leonardo Donatiello
Laureato in storia, attualmente frequento la facoltà di scienze storiche. Mi reputo una persona pacata e tranquilla, ma stranamente mi attrae il disordine. Non è dunque un caso che io sia un grande fan della Prima repubblica. Nel tempo libero mi occupo di politica e sport principalmente, ma ho anche un debole per la musica hip hop.

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