Negli Stati Uniti, si usa dire che il suono prodotto dallo scontro tra poteri è il «suono della democrazia», poiché questo rappresenta una diretta conseguenza dei pesi e contrappesi che permettono ai diversi ruoli di controllarsi reciprocamente. Al contrario, in Italia lo scontro tra le tre classiche funzioni dello stato (legislativa, esecutiva, giudiziaria) è visto in modo avverso, come un ostacolo alle libertà di un esecutivo che tende a rafforzarsi di legislatura in legislatura.
Si può dire che la forma di Stato italiana sia organizzata secondo una flessibile divisione dei poteri, in cui sono combinati elementi di pura separazione, con elementi di bilanciamento. Esula da ciò la funzione giudiziaria che, essendo indipendente, trova contrappesi solamente al proprio interno: l’indipendenza della magistratura è condizione fondamentale dello Stato di diritto, garanzia di verità, libertà, rispetto dei diritti umani e giustizia imparziale e libera da influenze esterne.
A questo proposito, Montesquieu scriveva: «Non vi è libertà se il potere giudiziario non è separato dal potere legislativo e da quello esecutivo. Se esso fosse unito al potere legislativo, il potere sulla vita e la libertà dei cittadini sarebbe arbitrario, poiché il giudice sarebbe al tempo stesso legislatore. Se fosse unito con il potere esecutivo il giudice potrebbe avere la forza di un oppressore».
Dunque, perché ancora oggi si discute circa una riscrittura costituzionale che modifichi il rapporto tra poteri? È ancora attuale parlare di divisione dei poteri?
Negli ultimi mesi, i rapporti tra governo e magistratura sono stati sottoposti a stress e tensioni inaudite, innescando un dibattito sempre più polarizzante e divisivo. Un insieme di sentenze contestate e inchieste giudiziarie a carico di alcuni parlamentari ha trascinato i giudici al centro di polemiche pericolose, spesso alimentate da narrazioni demagogiche. La retorica di una giustizia autoreferenziale, distante dai cittadini e dalle loro istanze, è ormai diffusa. Affermazioni come quelle della Presidente del Consiglio, secondo cui si potrebbe parlare di «menefreghismo della volontà popolare» da parte dei giudici, sono indice di una continua banalizzazione delle questioni giuridiche e contribuiscono ad alimentare un clima di vera e propria caccia alle streghe.
Cause immediate di questo scontro possono essere rintracciate in eventi specifici, come le recenti sentenze del Tribunale di Roma, che ha scelto di non convalidare il trattenimento di 12 migranti nel Centro di Permanenza per il Rimpatrio (CPR) in Albania o la pubblicazione parziale ed il fraintendimento della lettera con cui un procuratore esponeva le sue preoccupazioni circa le condizioni odierne della magistratura. Tuttavia, le radici di questa crisi vanno ben oltre episodi isolati: si intrecciano con la storica modalità di divisione dei poteri nell’Italia repubblicana e con il ruolo che il giudiziario ha avuto nell’influenzare la politica.
Se un tempo Berlusconi o Craxi erano soliti attaccare la magistratura per difendere se stessi ed i propri interessi, oggi la questione è diversa. I membri della maggioranza accusano i giudici di operare in modo strumentale, cercando di minare la legittimità dell’esecutivo e «facendo il lavoro dell’opposizione», come affermato da esponenti del partito della premier in occasione dell’apice dello scontro, la sentenza del Tribunale di Roma.
Tuttavia, tale decisione è stata presa in ossequio con quanto previsto dalla giurisprudenza e dalla disciplina europea, nel pieno rispetto del diritto internazionale. Infatti, secondo quanto stabilito dalle prime, possono accedere ai CPR solo uomini adulti provenienti da «paesi sicuri» sull’intero territorio e per tutte le persone, ossia paesi in cui «si può dimostrare che non ci sono generalmente e costantemente persecuzioni, né tortura o altre forme di pena o trattamento disumano o degradante, né pericolo a causa di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale». Dimostrazione impossibile, come spiegato dalla Corte in un comunicato stampa.
«Questo iter è pieno zeppo di problematiche, sia di carattere etico sia di carattere giurisprudenziale», afferma Gianfranco Schiavone, presidente del Consorzio Italiano di Solidarietà. Infatti, oltre i contorti passaggi necessari all’attivazione della c.d. procedura accelerata necessaria a giustificare il trattenimento dei richiedenti asilo nel centro albanese, non dobbiamo dimenticare che dietro i numeri e le carte delle sentenze si celano vite umane; persone che fuggono in cerca di protezione e dignità, spesso intrappolate in strumentalizzazioni delle tragedie frutto di un sistema che le riduce a mere statistiche utili alla propaganda versicolore.
Ancora, motivo di aperti scontri è stata la pubblicazione di alcune frasi estrapolate da una email scritta dal sostituto procuratore della Cassazione Marco Patarnello alla mailing list della corrente di «magistratura democratica».
«Meloni oggi è un pericolo più forte di Berlusconi. Dobbiamo porre rimedio» si legge sui social; tuttavia, osservando il testo nella sua interezza si coglie il senso delle parole del magistrato, che espone le sue preoccupazioni circa l’evolversi dei contrasti tra esecutivo e ordine giudiziario sostenendo che quelli sorti durante il governo Meloni siano più insidiosi perché la premier, a differenza di Berlusconi, non si muove per interessi personali; e, soprattutto, perché la magistratura si trova oggi in una fase di forte debolezza; concludendo con un invito ad essere uniti, parlare con chiarezza e a «non fare opposizione», difendendo la giurisdizione e il diritto dei cittadini ad essere giudicati da un giudice indipendente. (qui il testo integrale)
In base all’argomento della legittimazione democratica, le istituzioni politiche dovrebbero essere più legittimate delle corti ad occuparsi di questioni di attualità?
Né il Parlamento né il governo sono legibus soluti (esenti dalle leggi), ma si inseriscono in un sistema fondato su una Costituzione rigida, che stabilisce limiti e regole alle prerogative dei poteri dello Stato. Sebbene le istituzioni politiche affrontino questioni di attualità, le corti hanno il dovere di garantire che tali questioni siano trattate nel rispetto delle leggi esistenti, garantendo la tutela dei diritti fondamentali.
Commentando la situazione, il presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati Giuseppe Santalucia ha affermato: «Noi non siamo contro il governo, sarebbe assurdo pensare che l’ordine giudiziario, un’istituzione del Paese, sia contro un’istituzione del Paese quale il potere politico. Non è lo scontro istituzionale quello a cui tendiamo, tendiamo a difendere l’autonomia e l’indipendenza dell’ordine giudiziario».
Dunque c’è un conflitto tra poteri? Oggi l’indipendenza della magistratura è in pericolo? È cruciale avere spazi e sedi adeguati per discutere di queste tematiche. È importante interrogarsi sull’andamento delle istituzioni, identificando eventuali malfunzionamenti e apportando miglioramenti. In ogni caso, è altrettanto importante garantire che il dialogo tra le istituzioni avvenga nel rispetto dei principi cardine dello Stato di diritto, che caratterizzano l’identità europea e garantiscono una democrazia sana e funzionante.
Articolo di Filippo Belgrano