Abdullah Öcalan sconta il suo ergastolo su un’isola-prigione da 25 anni. È il fondatore del Partito dei Lavoratori del Kurdistan, il Partiya Karkeren Kurdistan (PKK), un’organizzazione nazionalista militante curda, inizialmente d’ispirazione marxista-leninista, successivamente convertita al confederalismo democratico e al municipalismo libertario ed ecologista, un sistema adottato nel 2014 nel Rojava. Il PKK comprende inoltre, uno dei più grandi contingenti di donne militanti armate al mondo.
Nel 1999 Abdullah Öcalan fu condannato a morte per attività separatista armata e terrorismo, ma l’esecuzione non ebbe luogo e, due anni e mezzo dopo, la Turchia abolì la pena capitale. Da allora Öcalan sconta il suo ergastolo sull’isola-prigione di İmralı.
Il 22 ottobre 2024, il giorno prima di un attentato contro lo stabilimento dell’industria della Difesa turca (TUSAS), la stessa che produce i jet utilizzati per bombardare i curdi, un parlamentare ultranazionalista alleato del presidente Erdogan ha chiesto al leader del PKK di annunciare la fine della lotta armata e degli attentati in cambio di una detenzione meno dura. Ha avanzato inoltre la richiesta che i militanti fuori dal carcere si arrendessero.Sebbene nessun gruppo avesse ancora rivendicato l’attacco, la stessa sera il governo turco ha iniziato a bombardare il Kurdistan iracheno, sede in esilio del PKK, il principale indiziato, e anche i curdi siriani a Kobane.Il 22 ottobre, Öcalan ha avuto il permesso di parlare faccia a faccia con un suo parente, Ömer Öcalan, per la prima volta dopo quattro anni di isolamento. Sulla stampa turca circolano da tempo indiscrezioni su possibili accordi tra emissari di Erdogan, politici curdi non armati e lo stesso Öcalan. L’attentato potrebbe essere una reazione dei combattenti del PKK a questa iniziativa per neutralizzare la loro causa armata.
Nel 2012 Öcalan e Recep Tayyip Erdoğan avviarono una trattativa per risolvere la questione curda con una riforma costituzionale, eliminando i riferimenti etnici per la cittadinanza turca e definendo il turco come lingua “ufficiale” ma non “unica riconosciuta”.
L’accordo prevedeva il disarmo del PKK in cambio di concessioni come l’autonomia per il Kurdistan, l’insegnamento del curdo nelle scuole, l’ingresso dei curdi in politica, la liberazione di migliaia di attivisti arrestati e condizioni meno dure per Öcalan. Nel frattempo, però, ci furono azioni giudiziarie contro giornalisti e intellettuali accusati di complicità con il PKK, come il processo del settembre 2012 che vide imputati 44 giornalisti curdi per terrorismo.Da sempre il presidente turco dichiara di voler avviare trattative di pace per risolvere la questione curda, proponendo il disarmo del PKK in cambio di maggiore libertà per il suo leader. Il PKK, però, insiste sulla necessità di garantire condizioni di salute e sicurezza per Öcalan affinché possa svolgere un ruolo nella soluzione politica e democratica del problema curdo.
Tuttavia, non vediamo rispettati gli accordi e continuano ad affievolirsi i diritti dei curdi in tutti e quattro i moderni Stati del Kurdistan attraverso gli arresti di manifestanti, le uccisioni, i bombardamenti e i genocidi.
Negli ultimi anni, infatti, la Turchia ha condotto diverse operazioni militari nel nord della Siria e dell’Iraq volte a fiaccare le forze dell’Amministrazione autonoma della Siria del Nord-Est (AASE), conosciuta come Rojava, una formazione territoriale costituita nel 2011 dai curdi dell’area nord e nord-est della Siria allo scoppio della guerra civile e non riconosciuta né da Ankara né da gran parte delle democrazie occidentali. Preoccupato per il consolidamento nel territorio curdo, il governo turco decise di intervenire militarmente e nell’estate 2016 entrò con i carri armati nel nord della Siria, conquistando alcune roccaforti dell’Isis che di lì a poco sarebbero cadute in mano ai Curdi.
L’incursione fu coadiuvata dall’Esercito Libero Siriano, composto da disertori dell’esercito regolare di religione sunnita e per questo più vicini a Erdogan che ad Assad, essendo quest’ultimo legato al mondo sciita. L’operazione, volta ad evitare l’espansione curda in zone limitrofe allo stato turco, fu un successo e aprì ad una più stretta collaborazione tra l’ELS e la Turchia, ben felice di allargare la sua sfera di influenza nella regione, e di reprimere il popolo curdo senza l’utilizzo delle proprie forze Armate.
A tale scopo Erdogan avrebbe fatto ricorso ad un’azienda militare privata chiamata SADAT, fondata del 2012 da un ex ufficiale turco, Adnan Tanriverdi. Oltre ad essere stata determinante nella repressione del presunto colpo di stato del 2016, la Sadat avrebbe anche addestrato e armato mercenari siriani riconducibili all’ELS, stanziati non solo in Siria ma anche in Libia a sostegno del governo provvisorio. Ankara, grazie alla mediazione della Sadat, riuscirebbe quindi a portare avanti una politica militare aggressiva, facendosi scudo con un’azienda privata che dichiara attraverso i suoi rappresentanti di essere esclusivamente dedita ad attività di consulenza, addestramento e logistica per entità statali.
Alla luce di ciò quali sono le possibili prospettive future per il PKK, per il Rojava e per il popolo curdo in generale? La situazione è sicuramente aggravata da ciò che sta accadendo sullo scacchiere internazionale. In particolare, la guerra in Ucraina potrebbe svolgere un ruolo fondamentale.
Se l’attenzione delle potenze e dei media occidentali dovesse rimanere focalizzata sul conflitto alle porte dell’Europa, Erdogan potrebbe avere mano libera nella repressione, visto anche il ruolo preponderante della Turchia al tavolo delle trattative tra Kiev e Mosca.
Le forze russe presenti in Siria sarebbero così disincentivate nel loro ruolo deterrente e per gli Stati Uniti non sarebbe una novità abbandonare i curdi al proprio destino come è accaduto nel 2019 con l’invasione turca del Rojava. La questione curda sembra dunque lontana dal risolversi in tempi brevi, solo la conclusione del conflitto in Europa e una rinnovata pressione su Ankara potrebbero fare la differenza, poiché appare improbabile una cooperazione regionale che riesca a mitigare il conflitto. L’unica certezza è quella della resilienza del popolo Curdo in grado, nonostante le difficoltà, di preservare la propria identità culturale e politica.
Articolo di Giacomo Pallotta e Alessandra Telesco