Le tematiche di carattere economico rientrano senza dubbio nel ventaglio di argomenti spesso difficili da comprendere a fondo per chi non ne ha mai approfondito lo studio. Abbiamo deciso di dare vita a questa rubrica nella quale cercheremo di sviscerare, con il linguaggio più semplice e accessibile possibile, vari temi economici legati all’attualità. A questo link trovate le scorse puntate.
Il report rilasciato da Mario Draghi alla presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, presenta numerosi spunti di riflessione, e di preoccupazione, degni di considerazione. È interessante analizzare l’incipit del report dove si evidenzia ciò che dovrebbe suscitare angoscia collettiva:
Abbiamo raggiunto il punto dove, senza azione, avremo bisogno di trovare un compromesso rispetto al nostro welfare, ambiente, o libertà.
L’Europa per Mario Draghi ha raggiunto un punto di non ritorno, un punto dal quale, senza intervento, non potrà più risalire: i valori fondanti della nostra cultura, civiltà, modo di vivere, sono posti al vaglio. Draghi traccia una rotta d’azione precisa, un antidoto all’inerzia europea, focalizzandosi su tre aree per poter concepire una crescita sostenibile: la riduzione dell’innovation gap rispetto a Stati Uniti e Cina, soprattutto nelle tecnologie avanzate; un piano per la decarbonizzazione e la competitività; l’aumento della sicurezza e la riduzione della cronica dipendenza da paesi esterni.
Dopo la Seconda Guerra Mondiale, due fattori sono stati decisivi per la crescita europea: l’aumento della produttività e la crescita della popolazione.
Attualmente entrambi questi fattori stanno rallentando, comportando la necessità di una produttività ancora più veloce, a fronte di una situazione demografica inquietante.
La labour productivity dell’UE, la quantità di beni e servizi prodotti in rapporto alla forza-lavoro impiegata, è passata dal 22% rispetto al livello degli USA nel 1945 al 95% nel 1995: attualmente è sotto l’80% rispetto al livello statunitense (Fonte: Bergeaud, A., Cette, G., & Lecat, R., Productivity Trends in Advanced Countries between 1890 and 2012, Review of Income and Wealth, Vol. 62, No. 3, 2016, pp. 420-444)
La differenza tra la produttività europea e quella statunitense è dovuta, principalmente, alla tecnologia digitale: l’Europa non è stata in grado di cavalcare l’onda della prima rivoluzione digitale, guidata da Internet, sia rispetto alla creazione di nuove aziende nel settore, sia nella diffusione di queste tecnologie all’interno della sua economia. Nonostante sia ormai impossibile acquisire rilevanza in alcuni settori strategici, l’UE ha ancora la possibilità di sfruttare le nuove opportunità dell’innovazione digitale, a partire dall’intelligenza artificiale, cruciale per mantenere la leadership di molteplici industrie europee e, al contempo, il modello sociale europeo.
Il cuore del problema risiede negli investimenti fatti dalle aziende statunitensi rispetto a quelle europee: negli ultimi due decenni, le prime tre aziende statunitensi per spesa in Ricerca e Innovazione (R&I) hanno spostato i loro investimenti dal settore automobilistico e farmaceutico alle aziende di software e hardware e al settore digitale; l’economia europea ha sempre visto le aziende automobilistiche dominare i primi tre investitori in R&I. (Fonte: EIB, 2024)
L’economia statunitense ha saputo mutare e re-indirizzare i suoi investimenti verso settori con un potenziale di crescita produttiva elevato; l’economia europea è rimasta immobile, paralizzata su settori con una crescita della produttività in calo. Il report tinteggia una situazione cupa ma, al contempo, fa luce sulle soluzioni da prendere in atto: l’UE deve rafforzare i suoi programmi comuni in R&I stabilendo un ordine di priorità comune ed un budget maggiore per finanziare le tecnologie dirompenti; la governance del programma deve essere gestita da soggetti capaci e competenti nel settore dell’innovazione; le giovani aziende dovrebbero essere agevolate da una burocrazia decisamente più rapida e funzionale.
Il secondo punto analizzato nel report si focalizza su un piano per la decarbonizzazione: gli elevati costi per l’energia in Europa rappresentano il principale ostacolo per la crescita. Circa la metà delle aziende europee, il 30% in più rispetto ai competitors statunitensi, vede i costi energetici come principale ostacolo per gli investimenti. (Fonte: Eurostat, OECD Trade value added (TiVA database) and ECB staff calculations)
Paradossalmente gli obiettivi rispetto alla decarbonizzazione posti dall’UE sono notevolmente più ambiziosi dei suoi concorrenti ottenendo costi aggiuntivi nel breve termine per la nostra industria: la legislazione UE è coercitiva nella riduzione futura delle emissioni di gas serra di almeno il 55% entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990. La decarbonizzazione è una sfida per l’Europa per ridurre i costi energetici e, al contempo, ottenere la leadership nel settore “clean tech” tramite l’impiego di rinnovabili e nucleare nonostante, nel medio termine, il gas naturale continuerà ad essere parte del mix energetico europeo: la sua domanda diminuirà in UE dell’8%-25% entro il 2030.
Il terzo elemento evidenziato nel report è la vulnerabilità dell’UE: l’Europa ha forme di dipendenze esterne che, in una situazione geopolitica quantomeno tesa, possono facilmente diventare piaghe; il frutto di queste dipendenze è la necessità di investire maggiormente nella difesa. Per ridurre questo vulnus, l’UE deve implementare il Critical Raw Materials Act: per rafforzare l’approvvigionamento di materie prime, sarebbe opportuno istituire una vera e propria piattaforma a questo dedicata con il compito di aggregare la domanda, per l’acquisto unitario di materie critiche, e coordinare la negoziazione di questi acquisti con i paesi produttori. L’UE deve ulteriormente sfruttare le sue risorse interne attraverso l’innovazione nei materiali alternativi: l’UE non dispone di combustibili fossili ma è dotata di alcune materie prime, come il litio in Portogallo.
Per quanto riguarda la difesa europea, vi sono due carenze principali: una spesa bassa e una mancanza di investimento e sviluppo tecnologico.
Il settore della difesa europeo è molto competitivo ed alcuni suoi prodotti sono superiori o equivalenti qualitativamente a quelli statunitensi; tuttavia, la sua frammentazione lo sfibra. Un esempio lampante è la guerra in Ucraina: per l’artiglieria da 155 mm, gli Stati membri dell’UE hanno consegnato decine di varianti di obici diverse causando notevoli difficoltà alla logistica delle forze ucraine. In definitiva, Mario Draghi lancia una sfida all’UE chiedendo unità e coesione: l’unico strumento in grado di salvaguardare l’Europa è il debito comune. La questione rimane tuttora aperta: è possibile trovare un compromesso con i paesi frugali – Danimarca, Svezia, Austria, Paesi Bassi – tradizionalmente contrari al debito comune? Draghi, tuttavia, non contempla molte opzioni: o il debito comune o la negazione dell’Europa.
Articolo di Francesca Vigezzi