A dieci anni dall’uscita, Interstellar di Christopher Nolan fa ancora parlare di sé. Amato da alcuni, meno apprezzato da altri, rimane una pellicola centrale nella filmografia del regista, in grado di fornire sempre nuovi spunti di riflessione. Tuttavia, per potersi addentrare nella storia, è bene partire con un riferimento a uno dei più grandi capolavori della storia del cinema: 2001: Odissea nello spazio di Stanley Kubrick, uscito nel 1968.
La pellicola anticipò quello che successe il 21 luglio 1969, quando l’uomo mise per la prima volta piede sulla luna e Neil Armstrong pronunciò una frase destinata a rimanere impressa nella storia: «un piccolo passo per l’uomo, un grande passo per l’umanità». Il regista lo descrisse come un sogno mettendo al centro l’abilità dell’uomo di andare oltre i propri limiti e di riuscire a toccare metaforicamente le stelle. Oggi, infatti, abbiamo raggiunto un progresso tecnologico tale da permetterci di scattare una foto di un buco nero.
Ma se Kubrick ha fatto sognare, Nolan, con Interstellar, parla di speranza.
Riprendendo in parte il tema centrale del film del 1968, aggiunge un altro tema importante: l’amore. Questo aspetto ha aperto il film a moltissime critiche, allontanandolo dal considerarlo un capolavoro.
Il film, del 2014, è il risultato della collaborazione tra Nolan e alcuni dei più grandi scienziati e ingegneri del tempo per garantire la massima verosimiglianza. Nel 2015, la pellicola ha vinto il premio Oscar per i migliori effetti speciali. Le scene sono straordinarie, e l’accuratezza con cui Nolan rappresenta un buco nero è impressionante, considerando che la prima foto reale di un buco nero sarebbe stata scattata solo anni dopo.
I fatti narrati in Interstellar si svolgono nel 2067 in un mondo simile al nostro, con lo stesso livello tecnologico. Da un film fantascientifico ci si aspetterebbe un progresso tecnologico molto più avanzato, con macchine volanti e viaggi nello spazio. Ma Interstellar non segue questo schema. Nolan insiste sulla verosimiglianza, aumentando il senso di immersione dello spettatore.
Nel futuro descritto dal film, la Terra è colpita da una profonda carestia, con gravi problemi alimentari aggravati da tempeste di sabbia incessanti. La scienza si concentra esclusivamente su ricerche legate all’agricoltura per risolvere la crisi alimentare. Le scuole scoraggiano lo studio di discipline come l’esplorazione spaziale, mentre gli Stati smettono di finanziare eserciti o missioni non direttamente legate alla sopravvivenza umana. Joseph Cooper, ex scienziato della NASA, è costretto a lavorare come agricoltore. Vive con suo padre e i suoi due figli, Murph e Tom, in un casa, che la figlia pensa sia infestata da un “fantasma” che invia dei messaggi. Decodificando un codice binario che gli viene inviato dal “fantasma”, Cooper scopre la base segreta della NASA. Qui, il professor Brand gli assegna una missione cruciale: trovare una nuova casa per l’umanità.
Le carestie e le tempeste di sabbia rendono il pianeta invivibile, e l’umanità rischia di estinguersi entro una generazione. L’obiettivo principale di Cooper è quello di trovare un nuovo pianeta tra quelli indicati dai quattro dei dieci astronauti partiti dieci anni prima con la “Missione Lazarus”, capeggiata dal Dottor Mann. Il nome è usato per analogia tra Lazaro di Betania (personaggio dei Vangeli, morto e fatto resuscitare da Gesù) e il destino dei dieci astronauti che è legato alla condizione di vivibilità del proprio pianeta. Cooper non sa quanto durerà la missione, ma promette a Murphy di ritornare. Ben presto, tuttavia, per gli astronauti di Endurance, il viaggio si tradurrà in una missione “suicida”.
Uno dei temi fondamentali del film è il rapporto tra Joseph e sua figlia Murphy, il cui nome richiama la Legge di Murphy: “se qualcosa può andare male, andrà male”. Questa legge si riflette nel film, dove eventi apparentemente negativi si realizzano. Cooper sottolinea come questa legge non debba essere vista negativamente, bensì che “tutto ciò che può accadere, accadrà”. Il nome di Murphy dovrebbe rappresentare una giusta accettazione del destino. Nel corso della missione, decisioni cruciali vengono prese basandosi su calcoli di probabilità e colpi di fortuna, in cui l’amore sarà usato come dato quantificabile. Se, apparentemente, Cooper decide di partire per salvare l’umanità, il vero motivo è più personale: garantire un futuro sereno ai propri figli.
Il sentimento amoroso e il legame affettivo sono alcuni temi centrali in Interstellar.
Cooper parte per i suoi figli, la dottoressa Brand suggerisce il pianeta del dottor Edmund (partito con la “Missione Lazarus”), di cui è innamorata, come il più vivibile; il dottor Mann compie azioni discutibili in nome della sopravvivenza umana. Tuttavia, solo una di queste forme d’amore risulterà dannosa per la missione. Più in particolare, il cuore pulsante del film è il legame tra Cooper e Murphy. Il loro amore si traduce in una lotta per la vita, richiamando il significato della poesia di Dylan Thomas Non andartene docile in quella buona notte, che esorta a lottare contro il tramonto della luce. La poesia, scritta nel 1951, era stata dedicata al padre, il quale era molto ammalato e che sarebbe morto l’anno successivo. L’autore invita il padre a non arrendersi al destino con rassegnazione. Cooper sarà chiamato a fare la medesima cosa per i suoi figli e per la promessa fatta alla piccola Murph.
Alla fine del film, non saremo comunque in grado di quantificare l’amore. A ogni modo, Nolan mostra chiaramente come l’amor che move ‘l sole e l’altre stelle spinga l’uomo a compiere azioni straordinarie, superando i più grandi ostacoli della vita. Senza svelare il finale, si consiglia la visione del film che si sia d’accordo o meno sull’idea che sia un capolavoro. Interstellar offre un’esperienza emozionante e profonda: farà gioire, riflettere e forse anche commuovere. Nolan dimostra ancora una volta di essere un maestro nella cura dei dettagli e nella creazione di personaggi e storie di grande spessore. È uno di quei film che aprono dibattiti su molteplici temi, lasciando un’impronta indelebile nella mente di chi guarda.
Articolo di Francesco Sossi