Del: 29 Dicembre 2024 Di: Francesca Vigezzi Commenti: 0

Nelle ultime settimane, sotto la spinta di una proposta di legge lanciata da partiti ed associazioni di vario genere, si è tornato a parlare di nucleare in Italia: è interessante osservare come il paese dove il nucleare ha visto i suoi albori ad oggi non produca energia nucleare.

La fissione nucleare fu ottenuta sperimentalmente, per la prima volta, dal gruppo dei ragazzi di via Panisperna: un gruppo di scienziati italiani, guidato da Enrico Fermi, che negli anni 30’ ha operato presso il Regio istituto fisico dell’Università di Roma. Enrico Fermi è stato il primo ad innescare una reazione nucleare a catena controllata utilizzando uranio naturale all’interno di un blocco di grafite pura. Con l’avvento delle leggi razziali fasciste e lo scoppio della seconda guerra mondiale, il gruppo si è disperso e la maggior parte dei componenti si è trasferita all’estero.

In seguito, nel dopoguerra viene avviato un programma di sviluppo nucleare grazie ad un gruppo di scienziati con a guida i fisici Giuseppe Bolla, Carlo Salvetti, Giorgio Salvini ed Edoardo Amaldi, tra i fondatori del CERN (Consiglio europeo per la ricerca nucleare), dell’INFN (Istituto nazionale di fisica nucleare), unico del gruppo dei ragazzi di via Panisperna rimasto in Italia.

L’obiettivo del programma era consentire all’Italia di primeggiare, nuovamente, nel settore del nucleare, dopo la parentesi gioiosa degli anni 30’. Nel 1946 nasce il CISE (Centro informazioni studi ed esperienze) al quale si affianca nel 1952 il CNRN (Comitato nazionale per le ricerche nucleari). I partiti della sinistra italiana, specificatamente il Partito comunista, sostenevano il CNRN, di contro l’industria elettrica privata, basata sullo sfruttamento del petrolio, riteneva il nucleare come un possibile competitor da annientare.

Da una parte il Partito comunista vedeva nel nucleare un possibile strumento per l’indipendenza dell’Italia rispetto alle multinazionali straniere, in particolare statunitensi, ed un mezzo per limitare l’intervento privato incoraggiando la produzione energetica nazionale; di contro, la destra e parte della Democrazia cristiana temevano la rottura tra Roma e Washington.

Nel 1956 il Partito comunista otteneva la figura di Felice Ippolito, sostenitore del partito e geologo specializzato nella ricerca dell’uranio, quale segretario del CNRN; Ippolito si è scontrato, da subito, con il presidente del CNRN, Basilio Focaccia, democristiano. Nel 1960 veniva fondato il CNEN (Comitato nazionale per l’energia nucleare): l’industria nucleare da allora era legata allo Stato, allontanandosi dal settore privato, consentendo un monopolio statale rispetto alla produzione di energia nucleare. L’istituzione dell’ENEL, anno 1962, portava a termine il programma di nazionalizzazione energetica.

Tra il 1963 e il 1965 vedevano la luce tre centrali nucleari: Latina, Sessa Aurunca, Trino Vercellese. Il 10 agosto 1963 Giuseppe Saragat, leader del Partito socialdemocratico italiano, iniziava una campagna per scoraggiare l’utilizzo del nucleare e diffamando la figura di Felice Ippolito: tramite una pubblicazione sul Corriere della Sera, riteneva che Ippolito non avesse saputo gestire correttamente il CNEN e, in subordine, considerava il nucleare come una scelta non vantaggiosa per l’Italia. Il democristiano Giovanni Leone, futuro presidente della repubblica tra il 1971 e il 1978, appoggiava Saragat nelle sue posizioni; viceversa, a difesa di Ippolito si schierarono Amaldi e il mondo della scienza, il Partito socialista, repubblicano ed il Partito comunista. Felice Ippolito, il padre ed altri sette imputati venivano arrestati il 3 marzo 1964: il 29 ottobre Ippolito veniva condannato ad undici anni, all’interdizione perpetua dai pubblici uffici e ad una multa di sette milioni di lire. Il CNEN aveva perso la sua influenza ed il programma nucleare italiano la sua centralità per poi essere abbandonato con due referendum nel 1987 e 2011.

Il referendum del 1987 chiedeva agli italiani di esprimersi su cinque quesiti di cui tre in merito al nucleare: il quesito numero tre riguardava l’abrogazione della facoltà del CIPE (Comitato interministeriale per la Programmazione Economica) a deliberare rispetto alla localizzazione di centrali nucleari se gli enti locali interessati non avessero raggiunto un accordo a riguardo: vinse il sì per l’80,57%. Il quarto quesito chiedeva di abrogare i contributi agli enti locali che ospitassero sul proprio territorio centrali nucleari o a carbone ed il sì vinse con il 79,71%; l’ultimo quesito chiedeva l’esclusione di ENEL, ente pubblico, dalla partecipazione alla costruzione delle centrali nucleari all’estero: il sì vinse con il 71,86%. Si recarono alle urne 29,9 milioni di italiani ed il quorum fu raggiunto con il 65,1% su 45,8 milioni di aventi diritto al voto.

La sorte del referendum fu segnata, negativamente, da due eventi: l’incidente di Three Miles Island, il 28 marzo 1979 e il disastro di Chernobyl, il 26 aprile 1986. Il primo aveva comportato la fusione parziale del nocciolo della centrale nucleare in Pennsylvania comportando la dispersione di piccole quantità di gas radioattivo nell’ambiente; il secondo ebbe un effetto disastroso sull’opinione pubblica portando ad una manifestazione di 200.000 persone a Roma. Il Partito Radicale promosse il referendum raccogliendo un milione di firme in poco tempo e, a novembre, i movimenti ambientalisti si riunirono nella Federazione delle liste Verdi.

Il referendum del 2011 proponeva l’abrogazione di nuove norme introdotte con il d.l.n.112, 25/06/2008 dal governo Berlusconi per consentire la produzione sul territorio italiano di energia nucleare. Il quesito chiedeva di eliminare, dal decreto legge “Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria”, “la realizzazione nel territorio nazionale di impianti di produzione di energia nucleare”. L’affluenza alle urne fu del 54,79% degli aventi diritto al voto ed il sì vinse per il 94,05%. Il referendum venne promosso dall’Italia dei Valori e la campagna elettorale venne portata avanti dal Comitato “vota SI per fermare il nucleare” composto da buona parte dell’associazionismo italiano. L’esito del referendum del 2011 venne influenzato, sfavorevolmente, dal disastro di Fukushima in Giappone, l’11 marzo 2011: un terremoto ed un maremoto e quattro esplosioni distrussero la centrale nucleare . Il governo, certo della vittoria del sì al referendum, cercò di evitare la consultazione approvando due decreti legge: una moratoria sul nucleare ed uno stop per attendere evidenze scientifiche rispetto alla sicurezza delle centrali; i due decreti, tuttavia, alimentarono le preoccupazioni collettive e, da ultimo, l’Ufficio centrale per il referendum confermò la consultazione.

Arriviamo, dunque, ai giorni nostri: nelle ultime settimane, è stata avanzata una proposta di legge per consentire il ritorno del nucleare in Italia. La proposta chiede un riassetto normativo per permettere la costruzione e l’esercizio di centrali nucleari in modo che il futuro mix di generazione elettrica persegua gli obiettivi di neutralità climatica e, in subordine, per rendere la produzione di energia più sostenibile e meno costosa rispetto all’utilizzo di sole rinnovabili. Per poter raggiungere questo obiettivo, si domanda l’autorizzazione: a costruire centrali nucleari della tecnologia più avanzata disponibile in commercio, la terza generazione a fissione; l’istituzione di un’Autorità indipendente di sicurezza nucleare, rispettando la Direttiva 2014/87/Euratom; la definizione di parametri di idoneità dei siti individuando benefici diretti per la cittadinanza e le imprese presenti nel territorio limitrofo al sito, considerando le pratiche dell’Agenzia internazionale dell’energia nucleare (AIEA); l’avviamento di una campagna per informare l’opinione pubblica sul nucleare.

Per quanto riguarda la tematica, dibattuta e spinosa, dei rifiuti radioattivi, si domanda “la previsione delle modalità che i titolari di autorizzazione all’esercizio dell’impianto devono adottare per lo stoccaggio dei rifiuti radioattivi prodotti durante l’esercizio e delle modalità attraverso le quali gli esercenti devono provvedere alla costituzione di un fondo per lo smantellamento degli impianti a fine vita, incluso lo smaltimento dei rifiuti prodotti e la chiusura del ciclo del combustibile nucleare”. La proposta evidenzia la necessità di considerare la costruzione e l’esercizio di impianti per produrre energia elettrica nucleare attività di preminente interesse statale e dunque soggette “ad autorizzazione unica rilasciata, su istanza del soggetto richiedente e previa intesa con la Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e successive modificazioni, con decreto del Ministro dell’ambiente e della sicurezza energetica, di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti”.

L’autorizzazione deve essere rilasciata dopo un procedimento unico al quale partecipano le amministrazioni interessate; deve contenere informazioni fondamentali quali “la dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità e urgenza delle opere, l’eventuale dichiarazione di inamovibilità e l’apposizione del vincolo preordinato all’esproprio dei beni in essa compresi”. Da ultimo, si domanda di individuare strumenti per supportare gli investimenti in nuova capacità di generazione da nucleare e, nel definire il prezzo riconosciuto ai produttori di energia elettronucleare, bisogna tenere in considerazione che la continuità del servizio riduce significativamente i costi di accumulo e bilanciamento rispetto alle fonti rinnovabili variabili. 

Tenendo presente che la proposta legislativa, ad oggi, ha raggiunto 67.454 firme, superando, di molto, il quorum di 50.000, è interessante comprendere le ragioni di questa adesione e della proposta stessa. A questo proposito, proponiamo l’intervista ad Aurora Pinto, membro di “Giovani Blu”, pagina divulgativa firmataria della proposta. Diciannovenne, studentessa al primo anno di fisica in Bicocca, si è appassionata al nucleare in quarta superiore per poi unirsi a “Giovani Blu” pagina di divulgazione con l’obiettivo di informare la Gen Z sul nucleare, tramite fonti scientifiche, dando una visione apolitica ed obiettiva rispetto alle potenzialità di questo strumento nella lotta al cambiamento climatico.

“In che cosa consiste la proposta di delega al governo?”

“La proposta di legge è un forte esempio di volontà popolare che dimostra come i cittadini italiani si stiano informando sul nucleare e di come sia necessario che vengano intraprese azioni legate ad un suo re-inserimento. É un periodo storico dove è necessario trovare un mix energetico che possa soddisfare i nostri bisogni energetici pur raggiungendo gli obiettivi contro il cambiamento climatico. A questo proposito, parlare concretamente di fissione nucleare, dopo numerosi riferimenti del governo alla fusione, è essenziale. La proposta è stata elaborata da personalità quali Giuseppe Zollino, professore di Tecnica ed Economia dell’Energia e di Impianti Nucleari all’Università di Padova, Marco Ricotti, professore ordinario di impianti nucleari al Politecnico di Milano, l’Avvocato dell’Atomo, il Comitato nucleare e ragione; partiti politici, Azione e Radicali Italiani, per anni a sfavore del nucleare, Falasca, direttore dell’ Europeista, Chicco Testa, l’associazione ambientalista Amici della Terra e la mia firma in quanto Giovani blu. La proposta è stata depositata il 17 ottobre in Cassazione, pubblicata il 23 ottobre sulla Gazzetta ufficiale con l’obiettivo di 50.000 firme, raggiunte in tre giorni. Ora si sta cercando di aumentare questo numero sempre di più in modo da mandare un forte segnale di volontà popolare.”

“Perché gli italiani hanno votato contro il nucleare?”

“Nonostante il nucleare e l’Italia siano profondamente legati sin dalla nascita grazie al fisico Enrico Fermi e ad una fervente iniziale attività nucleare, a partire dalla prima centrale costruita nel 1963, qualcosa si è slegato. Dopo Chernobyl, nel 1986, la divulgazione sul tema da parte dei giornali ha subito un calo di qualità, poco basato su evidenze scientifiche. La fobia pubblica ha concentrato la propria attenzione sul tema in modo condizionato, anche da notizie sbagliate. Nel 1987 ci sono stati tre referendum nazionali non per la chiusura delle centrali o il loro divieto, ma per abrogare oneri compensativi delle sedi scelte per i siti ed evitare che ENEL collaborasse a costituire centrali estere. In seguito, i governi hanno posto fine al progetto italiano, con la chiusura di Latina, Caorso e Trino-Vercellese. Tra il 2005 e il 2009 torna l’interesse e nel 2009 viene stipulato un accordo con la Francia per nuovi progetti sul nucleare. Nel 2011 viene proclamato un referendum che ne avrebbe consentito il ritorno ma è anche l’anno di Fukushima, un periodo di ulteriore grande disinformazione che non ha contribuito ad una buona reputazione sul nucleare. In generale, sono stati scelti momenti storici totalmente sbagliati, è difficile esprimersi su una tecnologia quando c’è un’importante situazione storica e una pessima informazione sul tema grazie ai giornali italiani che non hanno permesso ai cittadini di prendere una decisione coesa e coerente con la necessità dell’epoca. Ad oggi il dibattito è nuovamente attivo: è importante parlarne perché oltre alla tematica energetica bisogna anche poter parlare di deposito nucleare, non necessario unicamente per i rifiuti radioattivi di alto livello ma anche per rifiuti di medio-basso livello derivanti dagli ospedali o dalle industrie.”

“Perché i giovani sono più coinvolti?”

“Le nuove generazioni sono più aperte sul tema, non hanno vissuto la scarsa informazione dei due incidenti. Il clima e l’ambiente sono temi a cui la nostra generazione è molto legata e se a questo interesse si accosta una campagna di informazione sulla produzione di energia elettrica, le fonti che usiamo e il loro impatto sull’ambiente, è più facile parlare di nucleare e della sua importanza. Con “Giovani Blu” cerchiamo proprio di fare informazione ai nostri coetanei, usando mezzi di informazione come i social media e facendo incontri nelle scuole. È importante far capire che bisogna agire adesso se vogliamo arrivare agli obiettivi di decarbonizzazione del 2050 e che è ora di vedere con un occhio nuovo il nucleare, ovvero come una fonte energetica pulita, sicura e stabile. I giovani hanno deciso di sostenere la causa e firmare la proposta di legge, ben due terzi dei giovani under 30 sono a favore del nucleare, dunque c’è stato un cambiamento nell’opinione pubblica.”

“Come spiegheresti il divario di genere rispetto ai firmatari?”

“La questione del divario di genere è una questione abbastanza complessa per cui è difficile trovare una causa immediata. Sull’interesse per le discipline STEM e le lauree scientifiche si è sempre intravisto un divario di genere, mentre sul perché le donne siano meno propense ad interessarsi al nucleare è difficile definire se sia per la presenza di una bolla o semplicemente l’argomento non interessi, è difficile individuare le cause del fenomeno. L’interesse per una proposta di legge di questo tipo è sicuramente più sentito da persone che hanno alle spalle un percorso di formazione di tipo tecnico-scientifico, e che risultano quindi a prevalenza maschile. Si è cercato negli ultimi anni, e in particolare in questi giorni, di fare informazione a tutti, perché è necessario che chiunque sia informato sul tema si possa esprimere a riguardo e ad oggi dare il proprio sostegno alla proposta. È importante che ci sia anche partecipazione femminile in questo senso e spero che col tempo questa possa essere più presente.”

“Ed il divario regionale?”

“Sia “Giovani Blu” che “Comitato nucleare e ragione”, di cui faccio parte, sono particolarmente attive tra il Nord e Centro Italia. Ogni anno organizziamo gli stand-up for nuclear banchetti localizzati in diverse città italiane (32 solo lo scorso anno) in cui si ha occasione di fare divulgazione e parlare apertamente coi cittadini sul nucleare. Questi eventi sono organizzati nelle varie città autonomamente dai membri locali, i quali essendo principalmente residenti nord centro Italia permettono un’attività più fervente in queste aeree. I sondaggi sulla provenienza dei nostri followers identificano come questi siano prevalentemente del nord Italia e, tra le università che in particolar modo contribuiscono alla formazione in campo ingegneristico nucleare, vi sono i Politecnici di Milano e Torino. Questo penso influisca particolarmente nel vedere come la maggior parte delle firme della proposta derivino da queste aree geografiche. Poi sicuramente anche questa è una tematica molto ampia le cui cause possono essere discusse ulteriormente.”

“Cosa ne pensi del panorama politico italiano attuale in merito al nucleare?”

“Il tema del nucleare in Italia rappresenta una questione cruciale, che dovrebbe essere affrontata con pragmatismo e spirito di collaborazione. È essenziale che entrambe le principali aree politiche, sia di sinistra che di destra, riconoscano il valore di un dibattito informato e basato sui dati scientifici. Da un lato, chi è a favore di una transizione energetica rapida potrebbe vedere il nucleare come una risorsa per garantire un mix energetico sostenibile, riducendo la dipendenza dai combustibili fossili e affrontando le sfide del cambiamento climatico. Dall’altro lato, chi esprime preoccupazioni per i costi, i tempi di realizzazione e la gestione dei rifiuti radioattivi solleva interrogativi a cui gli esperti rispondono da anni. Le recenti dichiarazioni di Meloni e del ministro Fratin su deposito nazionale e fusione nucleare mostrano anche la necessità di un confronto più approfondito con esperti del settore. È fondamentale chiarire, ad esempio, che la fusione nucleare è un’opzione di lungo termine, ancora in fase di sviluppo, mentre la fissione rappresenta la tecnologia attualmente disponibile e utilizzata con successo in molti paesi. Per costruire una strategia condivisa, occorre un dialogo bipartisan che coinvolga politici, scienziati, industriali e la società civile. Solo attraverso un approccio inclusivo e realistico si possono superare le divisioni ideologiche e gettare le basi per un futuro energetico sostenibile e sicuro. Credo che il nucleare debba essere visto non come un tema divisivo, ma come un’opportunità per lavorare insieme verso obiettivi comuni di sicurezza energetica e tutela ambientale.”

Francesca Vigezzi

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