Del: 21 Dicembre 2024 Di: Redazione Commenti: 0


Imprenditore, politico, intellettuale. Nessuno di questi sostantivi è adeguato e sufficiente a descrivere la politropa personalità di Adriano Olivetti.

Definito un precursore capace di superare i confini del suo tempo, oggi, salvo sporadiche eccezioni, è pressoché dimenticato, e il suo nome non evoca altro che il celebre marchio di macchine da scrivere. Eppure, la sua opera e il suo pensiero hanno segnato profondamente lo sviluppo industriale e sociale italiano, e le sue idee di comunità, lavoro dignitoso e cultura offrono spunti di straordinaria attualità per affrontare le sfide della società contemporanea.

Adriano Olivetti nacque nel 1901 a Ivrea e trascorse la giovinezza in un periodo storico carico di trasformazioni e tensioni politiche, segnato dalla Prima Guerra Mondiale e dall’ascesa del regime fascista. Studiò ingegneria chimica e dopo la laurea intraprese un apprendistato “al banco” nella fabbrica paterna, lavorando come semplice operaio, senza mostrare un reale interesse per il futuro dell’impresa di famiglia. Solo dopo il primo viaggio negli Stati Uniti, durante il quale entrò in contatto con la vibrante società industriale americana degli anni Venti iniziò ad occuparsene realmente. L’America del boom economico, delle automobili, della produzione di massa e del consumismo emergente lo affascinò e lo influenzò profondamente.

Ma Adriano Olivetti non si limitò ad osservare; nelle lettere inviate in Italia, espresse anche giudizi critici: «il dollaro è veramente il dio», scriveva, denunciando un materialismo che trovava essere distintivo del «carattere superficiale» degli americani rispetto alla profondità culturale europea.

Eppure, Adriano da quel viaggio importò elementi e conoscenze, tra cui l’efficienza e l’organizzazione fordista del lavoro, che gli permisero di innovare la struttura della fabbrica in Italia. Tuttavia, alla Olivetti, il modello americano sarà adottato in modalità differenti: conformemente al divieto di licenziamenti imposto dal padre, la nuova direzione sarà attuata con il fine di preservare la dignità e ad evitare l’alienazione degli operai, in un’ottica di umanizzazione del lavoro.
Una volta tornato in Italia, si dedicò pienamente all’azienda di famiglia, che sotto la sua operosa guida divenne leader del mercato delle macchine da scrivere, avviando inoltre una pionieristica espansione nel settore dell’elettronica.

Tuttavia, ciò che distingue Adriano Olivetti da un qualsiasi imprenditore di successo è la sua concezione di lavoro: il suo interesse non risiede tanto nella fabbrica, intesa come fatto produttivo stesso, quanto nell’impresa, un insieme più organizzato ed articolato posto al servizio della società e del territorio.

Tale visione prende forma nell’idea di «industria complessa di massa», dove la complessità sta in un sistema che non può esaurirsi nella produzione e nel profitto, perché presenta compiti e obblighi che si estendono verso l’ambiente circostante e la società. La fabbrica è il posto dove si accumula ricchezza: non la ricchezza personale, ma la ricchezza sociale.

Per questo motivo, i servizi per i dipendenti costituivano un elemento caratterizzante della Olivetti, che fu tra le prime aziende italiane ad introdurre la settimana di lavoro corta (45 ore) ed a sviluppare un sistema di welfare: il congedo di 9 mesi per le madri lavoratrici, gli asili nido di fabbrica, sistemi di prestiti e fideiussioni per acquisti di prime case, cure mediche e psicologiche sono solamente alcune delle opportunità messe a disposizione. Era convinzione di Adriano che solamente attraverso una cura della Persona si potesse dare spazio alla libertà di pensare, progettare e creare da parte di tutti, massimizzando la capacità di innovare.

A testimonianza di ciò, in tutti i suoi scritti si trovano tre termini congiunti per definire il concetto di fabbrica: lavoro, cultura, democrazia.

Oltre al welfare, una parte centrale dei servizi offerti dall’azienda faceva parte del c.d. “svago attivo”: momenti dedicati alla cultura, all’istruzione continua ed alla partecipazione comunitaria. La formazione culturale dei dipendenti e delle loro famiglie era promossa attraverso biblioteche di fabbrica, laboratori, ed altri spazi dove esprimere le proprie vocazioni artistiche. In questo senso, le sue aziende erano veri e propri centri di vita collaborativa e ampia diffusione culturale, che davano spazio all’evoluzione delle Persone.

Infine, la democrazia industriale, incarnata nel concetto di costituzione in fabbrica, era il centro del pensiero olivettiano, volto al superamento della concezione endiadica di imprenditore e capitalista proprietario. I diritti del cittadino dovevano entrare nell’azienda, integrandosi e unendosi con i diritti del produttore; l’impresa avrebbe dovuto essere socializzata mediante l’adozione di modelli di governance partecipativa fondati su un consiglio di gestione pienamente rappresentativo con cui i lavoratori potevano contribuire alle decisioni aziendali.
Di qui nasceva l’esigenza di mettere in pratica una politica conseguente con tali fini: il ruolo dell’imprenditore, la responsabilità sociale dell’impresa e l’inserimento delle scienze sociali all’interno dell’industria trovavano voce in un movimento politico, il Movimento Comunità, capace di dare attuazione alle idee olivettiane.

Oggi, in un Paese dove, mediamente, si registrano ogni giorno tre morti sul lavoro e dove tra l’8 ed il 14% dei lavoratori vive in condizioni di povertà (c.d. working poor), le idee di lavoro umano e imprese sociali paiono utopiche, ma più necessarie che mai. Come ricordato anche dal Presidente Mattarella, la frammentazione dell’occupazione, cui corrispondono salari insufficienti e precariato «costituiscono elementi preoccupanti di lacerazione della coesione sociale». L’isolamento, la mancanza di solidarietà e la crescente polarizzazione contribuiscono ad una crisi che potrebbe trovare risposte ispirate ai principi del comunitarismo olivettiano.

Una società coesa non può esistere senza un dialogo autentico tra i suoi membri e senza il riconoscimento del valore di ogni Persona. In un’epoca mutata, dove il commercio è più di servizi che di beni, è necessario ripensare sia il modo di lavorare sia la funzione che questo ha nella società.

L’esperienza olivettiana, seppur contestualizzata in una definita epoca storica caratterizzata da una capillare diffusione di fabbriche e lavoro manuale, rimane una preziosa fonte di ispirazione per idee applicabili nel campo della ricerca di nuove opportunità di lavoro con l’obiettivo del benessere dei dipendenti e del business with purpose.

Articolo di Filippo Belgrano

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