Del: 7 Gennaio 2025 Di: Alessandra Telesco Commenti: 0

Come nell’inverno del 2014 si combatte a Kobane, con le difese curde schiacciate fra l’avanzata dell’ISIS e il confine turco.

Dopo la caduta dell’ex presidente siriano Bashar al-Assad è stata lanciata l’ennesima offensiva contro i curdi da parte delle forze turche nell’operazione militare nel Nord della Siria.

Le YPG sono le Unità di Difesa del Popolo che si sono formate durante la guerra civile siriana nel 2011: sono formate dai curdi siriani che durante la guerra non si erano schierati né con il governo né con i ribelli. Hanno affrontato l’invasione dello Stato Islamico e assunto gradualmente il controllo dell’area, abbandonato dall’esercito nazionale. Sono stati sostenuti dagli Stati Uniti proprio per prevenire l’inasprimento dell’Is, riuscendo a liberare Raqqa, la loro ‘capitale’.

Tuttavia, durante quella guerra in Siria, Erdogan ha bombardato i curdi della regione del Rojava, quei curdi che hanno combattuto l’ISIS, che erano alleati con gli Stati Uniti e che poi sono stati traditi. La Turchia considera da sempre i curdi siriani alleati del Partito dei Lavoratori del Kurdistan, un’organizzazione nazionalista militante curda considerata terroristica dalla Turchia, dalla NATO e dall’UE, anche se, per esempio, la Corte Suprema belga ha stabilito, nel 2021, che il PKK non può essere definito un’organizzazione terroristica.

Inoltre, Ankara non ha mai perdonato l’asilo politico dato dalla Siria al leader politico e fondatore del PKK Abdullah Öcalan, che dal 1999 sconta il suo ergastolo nell’isola-prigione di Imrali.

L’esercito turco ha colpito più volte la Siria: nell’agosto del 2016 conquistando la città di Jarablus, all’inizio del 2018 con l’Operazione ramoscello d’ulivo ha preso il cantone di Afrin e nell’ottobre del 2019 con l’Operazione sorgente di pace nel nord-est per garantirsi una zona cuscinetto tra la Turchia e la Siria.

La battaglia di Kobane rappresenta un punto di svolta nella guerra contro l’ISIS. Kobane è una città curda nota per la sua tenace resistenza opposta allo Stato Islamico che la tenne sotto assedio da settembre 2014 a marzo 2015. Nel 2014 l’ISIS riuscì a occupare villaggi e città nelle zone limitrofe di Kobane, portando alla fuga di migliaia di civili curdi. A quel punto le YPG si coordinarono insieme ad alcune forze dell’Esercito siriano libero, ad alcuni Peshmerga iracheni e ai combattenti del PKK, nonché agli Stati Uniti e ai suoi alleati arabi, riuscendo a riconquistare la città e portando lo Stato Islamico a ritirarsi costantemente, facendo subire enormi perdite.

Quattro anni dopo, con la caduta di Baghuz nel 2019, l’ISIS venne definitivamente sconfitto a Kobane e il califfo Abu Bakr al Baghdadi fu ucciso nell’operazione speciale statunitense nell’ottobre dello stesso anno. Kobane divenne poi parte dell’Amministrazione autonoma del Rojava (la Siria del nord-est).

In queste battaglie hanno assunto un ruolo da protagoniste le donne: le Unità di difesa femminile (YPG) e il contingente più grande di donne militanti armate al mondo facente parte del Partiya Karkerên Kurdistan.

La guerra in Siria di per sé non si è mai conclusa, anche se era stata temporaneamente vinta, come afferma il ministro turco Hakan Fidan.

Il regime di Assad era riuscito a riconquistare le più grandi città del paese e a mandare alcuni ribelli nelle aree periferiche. Con altri si è optato per dei patti di desistenza, con la speranza di arrivare a una situazione più stabile all’interno dell’area.Il Kurdistan siriano era invece rimasto ai curdi. Questo fino all’inizio del mese di dicembre: i ribelli islamisti di Idlib si sono scagliati contro Aleppo, scatenando una rivolta in tutta la Siria[MC1] , la caduta del regime di Assad e la conquista del potere da parte dei ribelli jihadisti.

Nel 2011 il dittatore Assad era in una situazione simile a quella di adesso, ma poteva contare su «amici […] meno indaffarati»: i russi nei cieli e l’Iran via terra.

La Russia poteva permettersi di mettere a disposizione di Assad più aerei militari perché non era impegnata nella guerra in Ucraina, Hezbollah era all’apice in Libano e più forte di Beirut, Hamas aveva il controllo della Striscia di Gaza, «gli Houthi avanzavano in Yemen e conquistavano la capitale. L’asse della Resistenza era al suo apice, ora è nel suo momento più basso. Hezbollah in Libano ha subito la prima sconfitta militare della sua storia»; Hamas e Gaza sono in una situazione critica, l’Iran ha perso Qasem Soleimani e ha perso i generali che organizzavano il campo di battaglia in Siria. Teheran è stata attaccata per la prima volta in 40 anni dagli israeliani; quindi, anche per l’Iran la priorità oggi non è più la Siria. Così Assad oggi si ritrova solo, a Mosca, mentre i civili festeggiano non per il futuro che li aspetta, ma per la fine della prigione politica di Damasco, del regime che utilizza i gas contro il popolo e che costituisce larga parte del bilancio dello Stato con le fabbriche di droga.

Durante la guerra i curdi siriani costituirono un proprio esercito, le forze di sicurezza democratiche (SDF), guidate dalle Unità di protezione popolare (YPG), che si vede come un’estensione del PKK e, riporta AlJazeera: “sono sostenute da Washington nella sua lotta contro l’ISIS, ma Ankara la considera un’organizzazione terroristica sostenendo legami con il Partito dei Lavoratori del Kurdistan e smentisce le affermazioni americane di cessate il fuoco contro i combattenti curdi siriani”.

La Turchia vede la presenza dei curdi siriani ai propri confini come un pericolo, in particolar modo per la vicinanza tra le SDF e il PKK.

Attorno al 2017 la guerra in Siria si stabilizzò e il paese entrò in una fase di equilibrio perché la Turchia si trovò nell’impossibilità di lanciare un attacco contro i curdi siriani, principalmente per il controllo russo sullo stesso spazio aereo, alleato di Assad, e per il timore che qualsiasi azione destabilizzante potesse riaccendere il conflitto, con il rischio di generare un nuovo flusso di rifugiati siriani verso la Turchia.

Oggi i curdi non ripongono molte speranze nel supporto degli Stati Uniti e nella presenza di truppe americane in Rojava, consapevoli di come nel corso degli anni, gli Stati Uniti abbiano più volte usato i curdi come alleati per poi tradirli. Un episodio emblematico di questo abbandono si verificò nel 2019, quando l’amministrazione Trump decise di ritirare una parte significativa delle forze statunitensi dalla Siria, dando di fatto il via libera alla Turchia per lanciare un attacco contro i curdi e conquistare la zona cuscinetto a nord-est del paese.

Mentre Hayat Tahrir al-Sham muoveva l’offensiva che ha fatto crollare il regime di Assad, si sono mosse a nord le milizie della Syrian National Army (SNA): il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan ha approfittato della nuova situazione per lanciare i ribelli filoturchi dell’Esercito nazionale siriano all’assalto di diverse città del nordest della Siria, precedentemente controllate dalle forze curde.

I combattenti curdi -in particolare le SDF- sono stati scacciati da Manbij il 9 dicembre e rischiano ora di esserlo da Kobane.

Si è aperta un’opportunità per la Turchia di Erdogan dopo il ritiro delle SDF da Manbij: creare una zona di sicurezza di 22 miglia lungo il confine siriano per operare contro quelli che definisce “i terroristi del PKK”. La tregua mediata dagli Stati Uniti a metà dicembre ha riportato i miliziani islamisti di nuovo in prossimità di Kobane.

Con questi nuovi movimenti le SNA hanno rotto la tregua. I turchi hanno iniziato a smantellare quel muro sul confine di Kobane, concentrandone incursori e artiglieria. L’obiettivo è spazzare via l’autogoverno curdo a est dell’Eufrate, impedire la nascita di una regione curda siriana autonoma, acquisendo 120km di confine. Con questa mossa, la Turchia si propone di prendere in carico la campagna anti-Isis in Siria, muovendo tutti i fili che controlla nella regione, incluse le fazioni curde tradizionaliste e i clan politici che governano la regione autonoma del Nord dell’Iraq. Nel frattempo, i leader ‘terroristi’ del Rojava accettano la nuova bandiera della rivoluzione siriana e si appellano a Trump per fermare Erdogan. Ancora non si sa se Washington lascerà ai turchi lo spazio aereo per le operazioni militari.

Per Erdogan il PKK è una questione fondamentale, mentre per gli Stati Uniti è marginale, perché Erdogan non cederà e gli Stati Uniti si trovano in un periodo di transizione, afferma Gilles Dorronsoro, esperto di Turchia e docente alla Sorbona di Parigi.

Alessandra Telesco
Curiosa e intraprendente, sempre pronta a partire per un nuovo viaggio e a imparare qualcosa in più sulla complessità del nostro mondo, con una particolare attenzione per il Medio Oriente.
Iscritta alla magistrale in geopolitica, amo raccontare il mio punto di vista sul mondo, a volte in prosa, a volte in poesia.

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