Del: 20 Gennaio 2025 Di: Nicolò Bianconi Commenti: 0
L’ambasciata senza ambasciatore

Può capitare che l’ufficio di rappresentanza di uno Stato in un altro, quali sono le ambasciate, rimanga momentaneamente sprovvisto del proprio ambasciatore. Solitamente questa evenienza può capitare in attesa dell’inserimento del nuovo rappresentante o per ritardi nella sua nomina (specie nei Paesi in cui essa è frutto di un processo politico). In tempi di guerra o di alte tensioni tra due Stati è anche possibile che questa figura, di fondamentale importanza sul piano amministrativo e simbolico, venga ritirata fino al ripristino di pacifici rapporti.

È invece peculiare che un’ambasciata venga inaugurata con grandi celebrazioni, per poi rimanere da oltre un anno senza un ambasciatore in sede. Una sede che è, inoltre, sprovvista del servizio consolare. È ancora più peculiare se a fare ciò non è un cosiddetto “Stato in via di sviluppo”, ma gli Stati Uniti, e se la collocazione di questo ufficio non si trova in un teatro secondario, ma nella regione più calda del mondo: l’Indo-Pacifico. Più precisamente, l’ambasciata in questione si trova nelle Isole Salomone.

Le Salomone sono uno Stato composto da circa 900 isole, situato a nord dell’Australia e a est della Papua Nuova Guinea.

Gli oltre 730 mila abitanti risiedono principalmente sulle sei isole più grandi, tra cui la più estesa Guadalcanal, su cui si erge la capitale Honiara. I salomonesi vivono spesso in situazioni di povertà, con circa il 75% di essi impiegati nell’agricoltura di sussistenza e nella pesca. Il basso livello di sviluppo dell’economia nazionale ha portato le Salomone a far parte dell’elenco dell’ONU dei cosiddetti “Paesi sottosviluppati”. Tale lista è attualmente composta da 45 Stati con tre indicatori socioeconomici compromessi, quali povertà, debolezza delle risorse umane e vulnerabilità economica. Tuttavia, promettenti miglioramenti hanno portato all’iniziale decisione di “promuovere” le Salomone nel 2024, ovvero accertando il significativo miglioramento dei valori sopracitati. Tale passaggio fu poi rimandato al 2027, a causa della pandemia COVID-19, di forti proteste e di due terremoti.

Il quadro qui dipinto è quello di una nazione povera e di limitata potenza sul piano internazionale; caratteristiche che da sempre hanno portato l’arcipelago a essere soggetto a importanti influenze esterne. Infatti, mentre un Paese sufficientemente forte può respingere incursioni nei propri affari interni, le Salomone sono troppo dipendenti dagli aiuti stranieri per poter essere autonome. Questi interventi normalmente si configurano come aiuti umanitari, che compongono anche una parte significativa del budget governativo. Un’ulteriore forma di sostegno dall’estero è costituita dalle occasioni in cui il governo salomonese ha ricevuto forze di peacekeeping, al fine di ristabilire l’ordine in situazioni di crisi. L’ultima volta in cui ciò avvenne fu nel 2021.

Le motivazioni dietro questo interessamento sono da rintracciare nella posizione geografica delle Salomone, collocabili nella regione che gli Stati Uniti definiscono dell’Indo-Pacifico. Tale zona è universalmente considerata come il tavolo più importante di tutto il mondo, dato che è qui che Cina e Stati Uniti si scontrerebbero in caso di conflitto armato. Questa consapevolezza ha portato a un progressivo aumento delle risorse che entrambe le Parti destinano a rafforzare la propria posizione nell’area, sia con massicci investimenti in ambito bellico, che mediante la diplomazia.

È così inquadrabile l’organizzazione nel 2024 del secondo incontro tra il presidente Biden e i 18 membri del Forum delle isole del Pacifico, durante cui l’inquilino della Casa Bianca ha promesso 200 milioni di dollari in aiuti alla regione. Sempre legate a questo Forum hanno fatto scalpore le riuscite pressioni di Pechino, volte alla rimozione di ogni menzione a Taiwan dai documenti dell’organizzazione. In generale, le mosse di Washington nell’area vengono spesso succedute da una contromossa della Cina, anche se soventemente è l’esecutivo cinese ad assumere l’iniziativa. Si ha pertanto l’impressione che gli Stati Uniti stiano perdendo posizioni nello scontro di influenza nella regione dell’Indo-Pacifico, nonostante in passato avessero un ruolo di leadership pressoché indiscusso.

Nel 1991, con il collasso dell’Unione Sovietica, gli Stati Uniti portarono avanti una razionalizzazione dei propri impegni all’estero.

Con la fine della Guerra Fredda, non fu più ritenuto necessario continuare a sostenere certe spese ritenute superflue, tra le quali si identificò l’ambasciata nelle Salomone. Essa venne pertanto chiusa nel 1993 e l’interesse statunitense verso l’arcipelago rimase limitato per decenni, nonostante la progressiva ascesa cinese. Un primo cambiamento si ebbe a partire dal 2009 con la dottrina “Pivot to Asia” del presidente Obama, che portò a uno spostamento delle risorse americane da Medio Oriente e Europa alla regione Indo-pacifica (il disinvestimento dalla regione europea in sé risale al secondo presidente Bush). Un ulteriore cambiamento si ebbe con la presidenza Trump, che abbandonò la strategia dell’engagement con Pechino, in favore del confronto. Tale posizione internazionale è stata mantenuta anche con Biden.

Fu questo nuovo scenario a portare nel febbraio 2023 alla riapertura dell’ambasciata delle Isole Salomone, con un’importante cerimonia di inaugurazione, a cui però non è succeduta la soddisfazione di determinate aspettative. La più marcata di queste è relativa all’assenza di un ambasciatore all’interno della struttura. Essa è stata affidata all’ambasciatore della Papua Nuova Guinea, che però difficilmente è in grado di fornire l’attenzione che le Salomone necessitano in questo momento cruciale. Inoltre, come riportato da Le Monde, il servizio consolare non è operativo in questa sede diplomatica. Questa situazione costringe i salomonesi a recarsi all’ambasciata presente in Papua Nuova Guinea per ottenere un visto.

Un viaggio che, oltre a richiedere tempo e denaro a una popolazione povera, dimostra anche una certa lontananza di Washington agli interessi delle Salomone. Soprattutto se consideriamo che, al contrario, l’ambasciata di Pechino presente a Honiara è dotata di un ambasciatore, che può pertanto fornire il servizio consolare in sede.

Sempre secondo l’articolo di Le Monde, la ragione di questa importante mancanza è rintracciabile in dissensi interni al Congresso statunitense. Un impasse politico che il secondo mandato di Trump potrebbe scongelare. Il presidente eletto ha infatti esposto numerose volte la propria posizione anti-cinese, nonché il bisogno di investire di più nel teatro Indo-Pacifico. Tali risorse verranno presumibilmente ricavate dalla regione europea e mediorientale, generalmente in continuità alla strategia di Obama.

Tuttavia, il nuovo inquilino della Casa Bianca ha espresso di volersi spingere molto più in là in questo trasferimento. In particolare, arrivando a minacciare l’uscita degli Stati Uniti dalla Nato se i budget militari dei Paesi europei non dovessero raggiungere almeno il 2% del PIL nazionale e dichiarando la volontà di concludere la guerra in Ucraina prima ancora di entrare in carica.

È pertanto ipotizzabile che, con la nuova presidenza, si liberino le risorse necessarie per la nomina e l’insediamento dell’ambasciatore statunitense a Honiara. Rimane dubbio quanto questo cambiamento, nonché l’aumento dell’attenzione che Stati Uniti e Cina dedicano all’arcipelago, miglioreranno la vita dei salomonesi.

Nicolò Bianconi
Sono uno studente di Scienze internazionali al terzo anno. Ho una generale curiosità per il mondo, che mi porta ad avere molte passioni e innumerevoli interessi. Tra questi la scrittura occupa un posto speciale.

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