Del: 9 Gennaio 2025 Di: Carlotta Brugin Commenti: 0

Il 4 gennaio 2025, a dieci anni dalla scomparsa di Pino Daniele, è arrivato nelle sale italiane il docufilm Pino Daniele – Nero a metà. Diretto da Marco Spagnoli e narrato da Stefano Senardi, il film rende omaggio al celebre cantautore napoletano, ripercorrendone la vita e la carriera attraverso i ricordi di amici e colleghi.

Daniele cominciò ad appassionarsi alla musica in tenera età: a nove anni acquistò la sua prima chitarra classica, e per il diploma di ragioneria ricevette una chitarra elettrica identica a quella di Eric Clapton, il suo idolo. Imparò a suonare praticamente da autodidatta. Le sue prime esperienze musicali inclusero la fondazione della band New Jet e dei Batracomiomachia, dove collaborò con talenti come Enzo Avitabile e Rino Zurzolo.

Fondamentale fu l’incontro con James Senese, di cui Pino era un grande fan per via della band Showmen, un gruppo dallo stile soul e blues che mescolava la musica nera americana con influenze napoletane, di cui Senese faceva parte. James, per permettergli di suonare insieme, costrinse Daniele a imparare il basso, cosa che fece grazie ai suoi insegnamenti.

Nel 1977, il produttore Claudio Poggi scoprì Daniele, che grazie all’interesse di Bruno Tibaldi poté produrre il suo primo album per l’EMI, Terra Mia, che segnò una svolta per la musica napoletana., affrontando temi sociali e mescolando tradizione e modernità. Nonostante avesse appena 22 anni, Pino Daniele mostrò già allora determinazione e talento. Credeva fermamente che Napoli fosse un crocevia da cui sarebbe partito qualcosa di grande, soprattutto attraverso la canzone, che da sempre ha accompagnato i momenti di ribellione. 

Dopo l’uscita di Terra mia, Daniele incontrò Tullio De Piscopo, con cui formò il gruppo Neapolitan Power, simbolo di un movimento culturale che includeva anche James Senese, Joe Amoruso, Tony Esposito e Rino Zurzolo, e che si faceva portatore del desiderio di creare una musica autentica, capace di raccontare la sua terra e la sua vita. 

Neapolitan Power rinnovò un genere, quello della canzone napoletana, che fino agli anni ’60 era stato svilito, poiché associato erroneamente alla malavita e a tematiche di cui si pensava ci fosse poco da dire. Unendo i dialetto napoletano al jazz e blues, nacque un nuovo sound che spazzò via tutti i preconcetti negativi. 

Nello stesso anno, Pino Daniele e la sua band furono protagonisti di un servizio del programma L’altra domenica di Renzo Arbore, mentre si esibivano al Broadway Club, noto per la sua componente americana. Lì, durante una diretta, Daniele interpretò A tazzulella de caffè, una canzone che si distaccava completamente dall’immagine romantica e superficiale della città e dal “tirare a campare” di Pulcinella, raccontando che oltre il sole e il mare di Napoli c’era molto di più: una realtà più dura, ma anche più autentica, raccontata senza passività, ma con un profondo desiderio di riscatto per sé, per Napoli e per i suoi cittadini. 

Già con canzoni come Napule è, Pino Daniele paragonò la sua città a “carta straccia”, raccontando lo stato di degrado sociale e politico in cui Napoli si trovava, ma che non le vietava, al contempo, di conservare una ricchezza culturale e umana indistruttibile. La canzone non era solo un lamento, ma un atto di resistenza e affermazione di un’identità che non poteva essere cancellata. 

Nel 1979 uscì il secondo album dell’artista (intitolato semplicemente Pino Daniele), ma è all’anno seguente che risale il disco più importante della sua carriera: Nero a metà. L’opera avrebbe dovuto rappresentare un punto di incontro tra diversi mondi e culture: la napoletanità tradizionale e quella moderna, il popolare e l’intellettuale, il passato e il futuro. Il titolo stesso racchiude la tensione tra identità diverse, simboleggiando la complessità e la rivoluzione musicale che Daniele aveva portato. 

Purtroppo, però, la gioia dovuta all’uscita dell’album fu breve: nel novembre del 1980 il terremoto dell’Irpinia colpì Campania e Basilicata. Per risollevare il popolo colpito dalla tragedia, i Neapolitan Power organizzarono un concerto a Piazza del Plebiscito, con circa duecentomila partecipanti. Questo fu un punto di svolta decisivo nella carriera dell’artista napoletano. Come racconta Tullio De Piscopo, dopo quella sera, Pino Daniele si rese conto del cambiamento che stava avvenendo: il popolo napoletano si era riscattato attraverso la sua musica. 

Negli anni ’80 e ’90, Daniele consolidò la sua carriera e iniziò a collaborare con artisti come Lucio Dalla e Jovanotti, oltre a scrivere la colonna sonora per il film Pensavo fosse amore… invece era un calesse di Massimo Troisi (1991). 

Il docufilm Pino Daniele – Nero a metà si conclude con un focus sugli anni ’90 – senza quindi soffermarsi sugli ultimi anni di vita del cantautore, scomparso nel 2014. Tuttavia, è chiaro che quanti hanno fatto parte della sua vita e carriera lo considerano ancora presente, considerando il suo genio artistico e la sua capacità di onorare la tradizione musicale napoletana, infondendole nuova linfa. 

Per Pino Daniele, Napoli è sempre stata tutto. La sua musica, nonostante le radici partenopee, è riuscita a essere universale, coinvolgendo chiunque. Come ricordava Tony Cercola, “un uomo senza radici è zero”: Daniele cantava Napoli nella sua autenticità, con pregi e difetti, senza filtri. “Io canto la Napoli di oggi, con tutti i suoi problemi, e lo faccio in un modo particolare… canto in dialetto su un certo tipo di musica”, ebbe a dire. Proprio questa fusione tra dialetto e modernità ha permesso al suo linguaggio musicale di arrivare a chiunque. 

Pino Daniele è stato ed è tuttora molto amato dal pubblico, perché rappresenta la voce del popolo; come sottolineato nel docufilm, la musica popolare è democratica. Anche chi non ha mai visitato Napoli, riesce a farsi completamente trasportare dalle sue canzoni, come se si venisse catapultati tra i vicoli di Spaccanapoli o sul lungomare di Mergellina al tramonto. 

D’altro canto, come riporta Marco Spagnoli in una intervista per MOW, a Daniele non importava della fama: cantava per il bisogno di trasmettere emozioni, senza preoccuparsi di essere compreso letteralmente, ma con il solo scopo di comunicare sentimenti. “Non è importante che tutti capiscano ogni parola, l’importante è che si capisca il sentimento che c’è dietro, il modo di vivere che esprime quella musica”, affermava. Le sue canzoni raccontavano la Napoli contemporanea, con le sue contraddizioni e la sua bellezza nascosta, toccando l’animo di chiunque le ascoltasse. 

Questo connubio tra autenticità e universalità ha fatto di Pino Daniele un artista unico e immortale, che a 10 anni dalla sua morte ricordiamo con immenso affetto, consacrandolo come il re della musica partenopea. 

Carlotta Brugin
Studentessa di Comunicazione e Società, con una passione per i viaggi, la musica, l'arte, il cinema e l'attualità.

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