
Lo scioglimento dei ghiacci dell’Artico sta trasformando rapidamente l’ecosistema di una delle regioni più fragili del mondo. Tra le conseguenze più sorprendenti di questo cambiamento c’è l’incontro sempre più frequente tra orsi polari e grizzly, la cui sovrapposizione territoriale ha portato alla nascita di ibridi tra le due specie. Un fenomeno che sta sempre di più attirando l’interesse della comunità scientifica, preoccupata per le possibili implicazioni sul futuro degli orsi bianchi.
Nella totalità dei pochissimi casi conosciuti in natura, questi incroci hanno avuto un padre grizzly e sono pertanto chiamati “orsi grolari”.
Infatti, la prassi per la nomenclatura degli ibridi è quella di mettere prima il nome della specie del padre e poi di quello della madre. Per esempio, dagli accoppiamenti tra leoni e tigri abbiamo le “ligri” e i “tigoni”. Casi di orsi “pizzly”, quindi con padre polare, sono stati osservati solo in cattività.
Sul piano estetico l’orso grolare presenta un mix dei tratti dei genitori. Dall’orso polare prende un collo allungato, un muso scuro e una coda ben evidente. Del grizzly riconosciamo una gobba sul dorso, che però è meno accentuata rispetto a quella tipica della specie. Infine, possiamo osservare un mantello che presenta sia peli bruni che bianchi.
A testimonianza dell’estrema rarità di questi incroci, a lungo gli unici casi da noi conosciuti erano avvenuti in cattività. Le cose cambiarono nell’aprile 2006, quando un cacciatore sparò a un orso dal manto bianco con macchie marroni. La guida che era con l’uomo notò il pelo color caffelatte e altre caratteristiche inusuali dell’animale, così venne effettuato un test del DNA per stabilire a quale specie appartenesse. Ciò anche per dissipare il dubbio che si trattasse di un orso grizzly, dato che nel caso l’uomo avrebbe commesso un crimine penale e sarebbe pertanto stato condannato fino a un anno di carcere (la sua licenza di caccia pagata più di 45 mila dollari era solo per gli orsi bianchi). Da questa analisi si accertò che si trattasse di un orso grolare, il primo mai trovato allo stato brado. Tale scoperta scatenò un forte dibattito circa il timore che l’ibridazione in natura potesse rappresentare un’ulteriore pressione nei confronti dell’orso polare verso la sua estinzione. Ad alimentare maggiormente queste voci fu un nuovo ritrovamento quattro anni dopo, da parte di un altro cacciatore. Dalle analisi genetiche che seguirono si scoprì che l’esemplare era nato da un padre grizzly e da una madre anch’essa grolare. Ciò conferma la fertilità di questi ibridi, già appurata in cattività e possibile per la vicinanza genetica dei genitori.
La percezione di un numero rilevante di incroci ha portato, nel 2017, allo studio del genotipo di 25 esemplari tra grizzly e 8-10 grolari selvatici (due di questi è dubbio se fossero o meno frutto di incroci). Tale ricerca ha fatto scoprire una preferenza degli ibridi per un partner grizzly, permettendo di ipotizzare la presenza di una barriera comportamentale a protezione della diversità genetica dell’orso polare. Una barriera comportamentale è un tipo di isolamento riproduttivo, ossia un meccanismo con cui una specie evita di incrociarsi con un’altra. Un esempio di ciò è l’uso da parte di specie diverse di lucciole di pattern di luce unici per attrarre i partner.
Un altro aspetto che facilita la protezione della diversità genetica è la riproduzione in momenti diversi dell’anno e in luoghi diversi, rispettivamente sul ghiaccio gli orsi polari e sulla terraferma i grizzly. Gli orsi grolari sono sempre stati concepiti in eventi rari avvenuti sul ghiaccio o sulle isole, dove dei grizzly maschi si sono avventurati (le femmine tendono a non allontanarsi dal loro territorio naturale).
Non è chiaro perché gli orsi grizzly si stiano spingendo verso l’habitat dell’orso polare, ma la loro dominanza fisica e la loro aggressività non fanno che peggiorare la già precaria situazione che gli orsi polari affrontano.
Ciò perché allontanano i maschi dalle fonti di cibo e dalle femmine. Questi ultimi infatti vivono sul ghiaccio per la maggior parte dell’anno, ma con lo scioglimento delle calotte polari essi rimangono sempre più tempo sulla terra ferma. Qui la loro dieta vira su muschi, licheni, mirtilli, carcasse, roditori e rifiuti umani, che però non sono sufficienti al loro mantenimento. Anche gli orsi polari che non riescono a spostarsi sulla terraferma si ritrovano in una situazione deleteria, con un territorio di caccia con acque povere e troppo profonde.
Orso polare che nuota [crediti foto: Yomex Owo via Unsplash]
Un ulteriore elemento da considerare è che le specie polare e grizzly si sono separate circa 400 mila anni addietro da un antenato comune e che l’ultima occasione di passaggio di materiale genetico risale a decine di migliaia di anni fa. Sappiamo questo tramite analisi genetiche degli orsi grizzly dell’arcipelago di Alexander, che si è scoperto possedere del DNA mitocondriale di orso polare da almeno 40 mila anni. Inoltre, grazie a un fossile di orso bianco, è noto che il materiale genetico ha fatto anche il percorso inverso. Non si hanno quindi esempi di questo fenomeno in termini biologicamente recenti e oggi il processo sarebbe ancora più complicato a causa della sensibile diminuzione del numero di orsi bianchi. Probabilmente in passato le due specie potevano scambiarsi rispettivamente i geni specialisti dell’orso polare e quelli generalisti del grizzly per meglio adattarsi ai cambiamenti climatici. Tuttavia, anche se i geni grizzly permettessero agli orsi polari di evolversi, è stato calcolato che ci vorrebbero almeno 100 mila anni per la nascita di una nuova specie. Un tempo che gli orsi polari a causa nostra potrebbero non avere.
In conclusione, lo scarso numero di incroci e la mancanza di eventi di passaggio di materiale genetico recenti ci dicono che l’ibridazione non è al momento un rischio per gli orsi polari. Ciò che mette a repentaglio la sopravvivenza della specie è il riscaldamento climatico, che porta alla distruzione dell’habitat in cui l’orso bianco vive, mangia e si riproduce. Senza importanti misure a livello globale, rischiamo di causare danni che potremmo non essere in grado di riparare. Per cui è fondamentale cercare di fare il massimo nel proprio piccolo, sforzandoci di consumare di meno e spingendo per soluzioni sistemiche. Su questo fronte è stato fatto tanto, sia a livello locale, che europeo e mondiale, ma non è ancora abbastanza. È fondamentale che ci sia tutto l’impegno possibile, dato che potrebbe valerne la sopravvivenza dell’orso polare, di innumerevoli altre specie e forse anche della nostra. Saremo in grado di agire in tempo?
Articolo scritto insieme al laureando in Scienze Biologiche Manuel Margiotta.