Del: 15 Febbraio 2025 Di: Redazione Commenti: 0

Negli ultimi giorni si è riacceso lo scontro sul DDL Sicurezza, considerato da diverse organizzazioni nazionali e internazionali (tra le quali OSCE e Antigone) un pericoloso attacco allo Stato di diritto. In ambito accademico desta particolare apprensione l’articolo 31 del disegno di legge, che costringerebbe non solo la Pubblica Amministrazione, ma anche Università ed enti di ricerca a collaborare con le agenzie di Intelligence italiana, fornendo informazioni su studenti e personale universitario anche in deroga alle normative in materia di riservatezza.

Tali preoccupazioni sono emerse sia tra diverse associazioni studentesche, sia nel corpo docenti,

come testimonia la mozione presentata da Studenti Indipendenti e Link al Senato accademico dell’Università degli Studi di Milano, ma anche l’appello alla rettrice dell’Università degli Studi di Firenze, sottoscritto da ben 200 ricercatori, docenti e tecnici amministrativi.

La risposta da parte delle due rettrici è stata piuttosto tiepida: la rettrice Brambilla (Unimi) ha bocciato la mozione, ritenendo opportuno esprimersi solo dopo l’eventuale approvazione del disegno di legge in Senato, mentre la rettrice Petrucci (Unifi) ha affermato che «le valutazioni di natura politica e legislativa rientrano nel dibattito della rappresentanza politica», dichiarando, in sostanza, la materia estranea al suo ruolo istituzionale.

Più decisa, invece, la presa di posizione del rettore dell’Università di Pisa, Riccardo Zucchi, che, in un’intervista al quotidiano La Nazione, ha espresso dei dubbi sul disegno di legge.

Il professor Zucchi, pur riconoscendo la necessità di una collaborazione tra Università e Servizi allo scopo di tutelare i risultati della ricerca Made in Italy contro possibili infiltrazioni dello spionaggio straniero, ha ribadito che «l’obbligo di riferire a tappeto qualunque attività inerente la ricerca e la collaborazione tra atenei sarebbe una violazione della libertà della ricerca e dell’autonomia dell’Università».

Ma quali modifiche porterebbe il nuovo disegno di legge alla normativa vigente?

Secondo l’attuale art. 13, comma 1, della legge 124 del 2007, l’AISE e l’AISI (ovvero le due agenzie di intelligence nazionali) e il DIS (il dipartimento a cui fanno capo, a sua volta alle dipendenze della Presidenza del Consiglio) possono richiedere la collaborazione della Pubblica Amministrazione e degli organi di pubblica utilità, tra i quali Università ed enti di ricerca. Il DDL renderebbe obbligatoria questa collaborazione.

Mentre le convenzioni stipulate potrebbero prevedere la fornitura di informazioni anche «in deroga ai vincoli di riservatezza previsti dalla normativa di settore»,

In sostanza le convenzioni renderebbero i dati personali di tutto il corpo docenti e del corpo studentesco accessibili ai Servizi. Tale approccio invasivo sembra motivato da preoccupazioni in materia di protezione del Knowhow prodotto dalla ricerca nostrana, minacciato da agenti di paesi stranieri e istituti vicini a Stati – alleati e non – pronti a impadronirsi dei risultati ottenuti dai nostri ricercatori.

Ricercatori e studenti, oltre ad essere una fonte di dati da proteggere, potrebbero essere oggetto di particolari attenzioni anche da parte dei nostri Servizi.

Già in un articolo del 2003, infatti, il presidente della Società Italiana di Intelligence (SOCINT), il professor Mario Carigiuli, lamentava le lacune del nostro apparato di intelligence in materia di reclutamento e proponeva un approccio «anglosassone».

Il professore, riconosciuto come uno dei massimi studiosi europei di Intelligence, si riferiva alla pratica dei servizi segreti di USA, Regno Unito, Australia e Nuova Zelanda di reclutare parte del personale nelle Università; tale pratica sarebbe confermata dalle parole di Tom Crispell, ex portavoce della CIA, che nel 2002 aveva dichiarato al Christian Science Monitor che l’agenzia stava reclutando in ben 66 Università.

Dunque, se la dottrina già più di 20 anni fa spingeva in questa direzione, non è inverosimile pensare che il nuovo DDL Sicurezza potrebbe consentire l’uso dei dati personali di docenti e studenti anche a scopo di reclutamento.

Il professor Caligiuri, dopotutto, proponeva espressamente nel suo articolo «l’individuazione degli studenti più capaci nelle discipline d’interesse per l’intelligence e la formazione del personale già in servizio».

Inoltre, dalla riunione del Consiglio europeo del 23 maggio scorso è emersa la volontà degli Stati membri di potenziare la sicurezza della ricerca negli atenei, con particolare riferimento alla «urgente necessità di compiere opera di sensibilizzazione e rafforzare la resilienza tra i ricercatori e gli accademici di tutta Europa».

Alla luce delle possibili implicazioni dell’approvazione del disegno di legge in Senato e degli ultimi scandali in tema di intercettazioni di giornalisti e attivisti (come il caso Paragon, di cui abbiamo parlato nell’ultima puntata del Podcast Magma Vulcano) e di spionaggio di figure governative (come nel caso del Capo di Gabinetto Gaetano Caputi), sarebbe dunque più che auspicabile il rafforzamento del COPASIR, cioè dell’organismo parlamentare che vigila sull’attività dei Servizi, richiesto dalle opposizioni per compensare la crescita dell’influenza delle agenzie.

Voci di condanna riguardanti alcune parti del DDL si levano anche dal mondo giuridico.

In particolare il dottor Armando Spataro, ex componente del CSM, contesta la possibilità di svolgere un’attività di esclusiva competenza della polizia giudiziaria, concessa dal disegno di legge alle Agenzie di informazione.

In attesa dei prossimi sviluppi, vale la pena ricordare che i nostri dati personali sono spesso in mano ad aziende, alle quali li concediamo ogni giorno senza nemmeno rendercene conto. Sono dati di cui le aziende possono liberamente disporre entro un certo limite e che accumulano in gran quantità, riuscendo a mappare la popolazione a scopo di marketing e selezione dei contenuti. Basti pensare a quello che scriviamo e postiamo sui social ogni giorno, o alle nostre interazioni con i motori di ricerca come Google. I nostri dati non sono mai stati così poco privati.

Articolo di Giacomo Pallotta

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