Del: 10 Febbraio 2025 Di: Francesco Sossi Commenti: 0

Con un presente caratterizzato da un terribile scenario di guerra e dall’insorgere dei nazionalismi e della xenofobia e un futuro ancora più oscuro, the Wall sembra molto attinente al contesto sociale che stiamo vivendo. Le angosce, le paure, le ansie che stanno interessando il nostro modo di vivere la società, erano state cantate da Roger Waters con un’incredibile potenza descrittiva. Cogliendo gli importanti cambiamenti del suo tempo, il chitarrista e il front man dei Pink Floyd non può esimersi dall’utilizzare come allegoria del proprio messaggio l’elemento più caratterizzante dello scenario internazionale del tempo: la costruzione del Muro di Berlino, avvenuta nel 1961.

The Wall è l’undicesimo album dei Pink Floyd, un gruppo rock fondato a Londra nel 1965 da Syd Barrett; Roger Waters; Nick Manson; Richard Wright e David Gilmour.

Uscito nel 1979, l’album è stato interamente scritto da Roger Waters attingendo dalle sue esperienze personali e da quelle di Syd Barret, allontanato dalla band già nel 1968. L’album è un’opera narrativa, che racconta la storia e i conflitti interiori della star del rock britannico, noto al pubblico come Pink. Il filo narrativo viene giustificato dalle transizioni delle tracce, che sono tenute assieme dai pianti del piccolo Pink, i bombardamenti e le grida che sentiamo all’inizio e alla fine di ogni traccia. Questo strumento artistico rende l’ascolto dell’album fluido e profondamente immersivo.

L’obiettivo di The Wall è l’esposizione di tutte le paure del protagonista, che lo hanno portato a costruire il proprio muro, metafora del proprio isolamento. I traumi vissuti nella propria vita diventano i mattoni della sua condizione: la morte del padre; il maltrattamento e l’isolamento vissuto a scuola; una madre iperprotettiva; il rapporto complicato con la moglie; la società che non vuole compromessi quando si parla di successo.

The flesh? è la traccia d’apertura dell’album e che dà inizio allo spettacolo. L’incipit della canzone è rappresentato da una frase troncata pronunciata da Waters che è «…we came in», il cui significato ci verrà svelato alla fine dell’album. Inoltre, è il brano che ci avvisa che ci stiamo addentrando nella mente di Pink, conflittuale che lo rendono triste e dagli «occhi gelidi» (cold eyes). Pink è presto orfano quando perde il padre nella battaglia di Aprilia. La scomparsa prematura del padre avrà l’effetto di fargli subire tutte le paure e le preoccupazioni della madre iperprotettiva. Un padre assente (non per sua volontà) e una madre troppo ossessiva nei confronti della vita di Pink hanno l’effetto di insinuargli ogni paura della vita moderna e ogni paranoia che lo rendono fragile al mondo e alla società che lo circonda. The sea may look warm to you, babe (thin ice), ma la realtà è ben diversa. Dietro il mare caldo e il cielo blu si nascondono i mostri della società moderna.

Ecco, quindi, il primo mattone del muro: la morte del padre (another brick in the wall, pt.1). Se la vita a scuola dovrebbe essere i migliori anni della vita di Pink, in realtà, anch’essi si trasformano in incubi.

In the happiest day of our lives, vengono raccontate le vicende dei professori che feriscono i propri alunni deridendo qualsiasi cosa facciano: scrivere poemi oppure provare emozioni umane (che sarà l’accusa mossa contro Pink nella traccia the trial). I compagni e gli stessi professori diventano ulteriori mattoni: i professori sminuiscono le doti artistiche di Pink e i compagni ne fanno oggetto di scherzi e battute. Come forma di protezione, il muro viene nuovamente rialzato (another brick in the wall, pt.2). Inoltre, non c’è pace nemmeno a casa. La madre controlla ogni aspetto della sua vita, fin tanto che il Pink adulto ricerca continuamente la sua approvazione: dalla paura sul futuro incerto al tipo di vita che dovrebbe condurre, fino ad arrivare, addirittura, a scegliere la ragazza perfetta per lui. La madre svolge due funzioni: è, contemporaneamente, mattone e contributrice attiva alla costruzione del muro (Mother). Il muro è già diventato molto grande, al punto che non si riesce nemmeno vedere il cielo blu (Goodbye, Blue Sky). Il protagonista ha preso piena consapevolezza che non ci sarà nessun “nuovo coraggioso mondo” e il cielo non è poi così blu (come gli ricordava spesso sua madre).

Tuttavia, per completare il muro, manca un ultimo importante tassello: la moglie.

A caratterizzare il rapporto tra i due coniugi sono le parole non dette, le conversazioni mai iniziate e mai concluse. Per tutta la sua vita, Pink aveva interagito con persone che gli avevano lasciato qualcosa, seppur esso fosse un mattone. Mentre, con la moglie, non ha niente e non riesce a concludere il muro. È questo il suo più grande rimpianto: aver lasciato uno spazio vuoto nella sua gargantuesca costruzione (Empty spaces). Ma il muro non può rimanere concluso. È necessario trovare un sostituto. Così, il giovane e lussurioso Pink si abbandona ad un’avventura amorosa (young lust), ma che non ha successo. Infatti, raggiungendo l’apice della propria pazzia, la giovane ragazza fugge lasciandolo solo (one of my turns). Il tradimento della moglie è l’atto conclusivo del processo di isolamento di Pink (Don’t leave me now). Il muro è completo (another brick in the wall, pt.3), convincendosi erroneamente del fatto che non abbia bisogno di un aiuto esterno. Il primo disco si conclude con goodbye cruel world, che si traduce nell’accettazione della propria condizione di isolamento.

Ma Pink è davvero soddisfatto della sua decisione?

La risposta è negativa. Il secondo disco, infatti, si apre con Hey you che è una richiesta d’aiuto verso chi sta all’esterno del muro. Tuttavia, la richiesta non ha successo. La seconda parte dell’album è una narrazione all’interno della mente perversa e oscura di Pink. Si presta a mostrare agli ascoltatori le conseguenze che la costruzione del muro (a cui lui stesso direttamente ha collaborato) stanno avendo nella sua vita. Isolamento, paura, paranoia, incertezza, odio sono le fondamenta del periodo “fascista” di Pink. Al centro del secondo disco, viene descritta anche il dualismo della vita dell’artista, che nonostante le varie difficoltà, deve continuare a mostrarsi al pubblico. Mentre il Pink artista è spaventato e si nasconde dietro al muro, il Pink fascista sfrutta la propria notorietà per modificare la società. Il suo programma politico è rendere la Gran Bretagna di nuovo grande (un’affermazione che ritorna nella storia): riportare i soldati a casa e rendere la nazione unica.

Per raggiungere questo obiettivo, Pink decide di eliminare tutti coloro che non si conformano con la sua idea di società: omosessuali, ebrei, nemici del regime di Pink in generale.

Come i professori isolavano il piccolo Pink perché diverso, egli agisce alla stessa maniera. Questo sogno non dura a lungo per fortuna e Pink prende consapevolezza di quello che ha fatto. Ma, finché non subirà il giudizio, non sarà contento. Al processo contro Pink (the trial) ci sono tutti: la società rappresentata dal giudice; i professori; la moglie e la madre. Ognuna porta la propria testimonianza e il miglior modo di risolvere la questione. Il professore, per esempio, suggerisce delle punizioni corporali. La moglie spera che lo rinchiudano per sempre e buttino via la chiave. La madre chiede di portarlo a casa. Ma la sentenza del giudice è definitiva e imperativa: bisogna abbattere il muro (tear down the wall). Pertanto, il Pink fascista viene giudicato e il Pink cantante viene liberato.

L’abbattimento del muro è descritto come una punizione perché, per una persona che ha vissuto per tanto tempo nella solitudine e con pensieri pessimisti verso l’esterno, si presentava come l’unico modo di sopravvivere.

Abbatterlo significava mettere in pericolo la vita stessa di Pink. Tuttavia, alle volte, uscire dalla solitudine è la soluzione, e ci sono delle persone che ci possono aiutare. Il disco si conclude con una dichiarazione positive a chi sta ascoltando il disco: the ones who really love you / walk up and down, outside the wall (outside the wall). Quindi l’autore ci ricorda che non è tardi per spezzare questo circolo, offrendoci un bagliore di luce in mezzo a tutta questa tristezza: fuori dal muro, ci sono persone che ci vogliono bene e che ci aiuteranno a buttarlo giù. L’outro di Richard Wright si conclude con una domanda troncata che si ricongiunge con la intro inziale della prima traccia all’inizio del disco, rendendolo circolare: is there where…?

A rendere immortale l’album è proprio la sua saggezza nell’affrontare il problema in maniera così universale.

In pratica, da quando l’uomo ha dato vita alla propria società, ha sempre cercato di delimitare confini ed erigere muri, così da rafforzare la propria identità. Tuttavia, questa decisione ha avuto l’effetto perverso di commettere le azioni più atroci della storia dell’uomo. Se ogni singolo individuo inizia ad isolarsi, a costruire il proprio muro come atto di autodifesa, il risultato è disastroso: si assiste alla perdita della propria identità. Ci si perde in un vortice di paranoia e ansie che, alla fine, avrà l’effetto di odiare tutto ciò che ci circonda. È un sistema che si auto-alimenta, un circolo vizioso composto da tre componenti che sono il male ricevuto dagli altri, l’isolamento che produce odio e il male perpetrato verso l’esterno.

In conclusione, The Wall rappresenta un avvertimento per il futuro. Le guerre di oggi, i massacri, la tendenza dei giovani ad isolarsi dalla vita sociale e gli Stati che si chiudono sempre di più, sono azioni che non promettono nulla di buono. Tuttavia, il cielo è ancora azzurro, l’acqua è ancora calda e c’è ancora speranza. In fondo, ci sono ancora i mezzi per costruire i ponti necessari per creare una società unita e attenta ai bisogni degli individui, diplomatica. Per questo motivo, dinanzi al nuovo scenario internazionale, l’album merita di essere nuovamente ascoltato con la speranza che, ancora una volta, abbia un effetto positivo e riesca a distruggere il muro in costruzione.

Francesco Sossi
Studente di SIE, che ha visto troppi film. Interessato alla scrittura e sognatore.

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