
Oggi, 24 febbraio, ricorre il terzo anniversario dell’inizio del conflitto russo-ucraino, presto trasformatosi in una vera e propria guerra di logoramento, a dispetto dei desideri del Cremlino di ottenere una rapida vittoria. Nessuna delle due parti sembra al momento far progressi significativi sul campo di battaglia, con le forze russe che, negli ultimi mesi, hanno registrato solo modeste conquiste territoriali e non sono riuscite a espellere l’esercito ucraino dalla regione di Kursk, occupata dal mese di agosto.
Le vere origini della guerra risalgono a undici anni fa con l’occupazione russa della Crimea nel febbraio 2014.
L’invasione era stata giustificata con la necessità di proteggere la popolazione russofona locale, in un contesto d’instabilità politica dovuto alla destituzione del presidente ucraino filorusso Viktor Janukovyč e all’insediamento di un governo provvisorio filo-occidentale a Kiev, che mirava a divenir parte dell’Unione Europea.
Su simili pretesti la Russia di Vladimir Putin è stata coinvolta, nel successivo decennio, in sabotaggi e combattimenti nella regione del Donbass, abitata prevalentemente da popolazione di lingua russa, arrivando a conquistare anche parti di Donetsk e Lugansk nell’Ucraina orientale. Ad oggi l’esercito russo è riuscito ad avanzare fino ai pressi di Kurakhove e Velyka Novosilka – città appartenenti alla contesa area del Donetsk – e a occupare un insediamento a sud di Pokrovsk.
Si tratta di avanzamenti di fatto poco significativi territorialmente.
Nel corso del 2024 l’esercito russo ha aggiunto al 18% del territorio ucraino, che già controllava, quasi 400.000 km² che ammontano, tuttavia, a meno dell’1% dell’Ucraina.
Nel 2022 le ambizioni russe erano assai più grandi: i due obiettivi principali erano prendere rapidamente Kiev e occupare due terzi dell’Ucraina sul fronte orientale.
Le forze ucraine sono state, però, in grado di fermare l’esercito russo alle porte della capitale, mantenendo da novembre una posizione fissa, nonostante le fortificazioni difensive russe ostacolino operazioni di recupero territoriale più significative.
L’esercito ucraino, che si compone di 900mila unità rispetto al milione e 300mila di quello russo, da anni fronteggia anche un problema di reclutamento.
Dopo perdite consistenti nei primi mesi del conflitto e la fuga di molti civili in Paesi adiacenti, lo Stato ucraino sta avendo difficoltà nel trovare nuovi metodi per attrarre reclute, al di là dell’arruolamento volontario di veterani o dell’assoldamento mercenario: usando quest’ultima tecnica il Cremlino ha spesso reclutato soldati del Warner Group, ribellatisi nel 2023 in un tentato colpo di Stato e poi congedati con la morte del loro comandante Yevgeny Prigozhin in un incidente aereo.
Fin dal 2022, quindi, gli ucraini rimangono criticamente dipendenti da armi e rifornimenti occidentali (europei così come statunitensi) per mantenere la propria posizione.
Secondo le informazioni disponibili, l’UE ha impegnato oltre 88 miliardi di euro in aiuti complessivi all’Ucraina
di cui 2 miliardi destinati a sostenere la sicurezza energetica del Paese e oltre 50 miliardi derivati dai profitti ottenuti con il congelamento dei beni russi.
La seconda amministrazione del presidente Donald Trump non ha, invece, cercato nuovi finanziamenti del Congresso per l’assistenza militare a Kiev: è evidente che il flusso di armi dagli Stati Uniti è destinata a cessare, nello stesso modo in cui sono cessati i finanziamenti monetari nel 2023. La base industriale della difesa europea si troverà, dunque, ad attraversare un periodo difficile nel caso in cui volesse continuare a soddisfare le esigenze ucraine senza il sostegno statunitense.
Fondamentalmente Putin non accetta il diritto dell’Ucraina di esistere come uno Stato sovrano e indipendente.
Dopo aver richiesto la smilitarizzazione del Paese, ha posto come sua condizione principale che la Crimea sia accettata come regione russa e che le cosiddette repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk come Stati indipendenti. Queste aree di contesa, occupate nel settembre 2022 insieme a Zaporizhzhya e Kherson, sono spesso definite come un «inferno totalitario» dove tutte le tracce d’Ucraina sono state cancellate con la forza.
Le principali richieste del presidente ucraino Volodymyr Zelensky, invece, nel 2022 erano il ritiro completo della Russia e il ripristino dei confini dell’Ucraina
come stabilito al momento della sua indipendenza dall’URSS nel 1991, oltre al risarcimento dei danni monetari e territoriali e la piena condanna dei criminali di guerra russi (tra cui Putin stesso, incriminato dalla Corte penale internazionale per la deportazione forzata di bambini ucraini in Russia.
I sondaggi più recenti suggeriscono che la maggioranza degli ucraini è favorevole ai negoziati, anche se una parte significativa della popolazione si oppone a qualsiasi concessione territoriale. Alla fine del 2024 sembrava possibile che i combattimenti potessero finire con la restituzione delle terre ucraine, da perseguire attraverso mezzi diplomatici, a condizione che l’Ucraina aderisse alla NATO
Con l’ascesa di Trump alla Casa Bianca, tuttavia, la prospettiva di un accordo di pace si dimostra più lontana che mai.
Non si tratta solo di una generalizzata indifferenza dell’amministrazione trumpiana – il Segretario della Difesa Pete Hegseth avrebbe, infatti, definito irrealistica la possibilità di recuperare interamente il suo territorio e aderire alla NATO – ma addirittura d’una più aperta ostilità politica, che impedirebbe il pieno svolgimento delle trattative.
Questo 18 febbraio Trump stesso ha affermato che l’Ucraina «non avrebbe mai dovuto iniziare la guerra» tre anni fa, provocando un’ondata di critiche a livello internazionale. Il venerdì successivo, durante un’intervista a Fox News Radio, ha riconosciuto che era stata effettivamente la Russia ad aver invaso l’Ucraina aggiungendo, però, che Zelensky e l’allora presidente degli USA Joe Biden avrebbero dovuto adottare maggiori misure per evitare l’invasione.
Zelensky è stato anche accusato di essere un «dittatore» incapace di muoversi con la necessaria rapidità in opposizione alla Russia.
Il cambiamento di tono da parte degli Stati Uniti, fino a quel momento il più importante sostenitore dell’Ucraina, ha allarmato i funzionari europei e alimentato i timori che Kiev potesse essere costretta a un accordo di pace favorevole a Putin.
Trump, storico simpatizzante del presidente russo, si è finora astenuto da commenti eccessivamente negativi sul Cremlino: «Ho avuto ottimi colloqui con Putin, e non ho avuto così buoni colloqui con l’Ucraina» ha affermato nel corso di un evento alla Casa Bianca. Ha continuato dicendo che Zelensky «ha partecipato a incontri per tre anni, e non [ha] fatto nulla […] Rende molto difficile fare accordi. Guardate cosa è successo al suo Paese, è stato demolito».
Il recente avvio di trattative, fondate essenzialmente su un accordo minerario che gioverebbe economicamente agli Stati Uniti a scapito del suolo ucraino, non contraddice l’ipotesi di una diplomazia poco neutra.
Zelensky, però, ha respinto le richieste degli USA: 500 miliardi di dollari in ricchezza mineraria per rimborsare gli aiuti in tempo di guerra. Secondo il leader ucraino gli Stati Uniti non hanno fornito una simile somma; i numeri si aggirano più accuratamente intorno ai 67 miliardi di dollari in armamenti e 31.5 miliardi in aiuti diretti nel corso dei tre anni di conflitto.
L’Ucraina vanta preziosi giacimenti di minerali come uranio, litio, cobalto e terre rare, utilizzati nell’industria tecnologia e aerospaziale come componenti essenziali delle batterie.
Il favoritismo nei confronti di Mosca si potrebbe spiegare, in parte, con l’obiettivo statunitense di allontanare la Russia dalla Cina.
Se così fosse, l’amministrazione di Trump fraintenderebbe lo stretto rapporto tra Putin e Xi Jinping e la dipendenza russa dalla Cina per quanto riguarda scambi energetici e commerciali (arrivati a 237 miliardi di dollari nel 2024).
Con l’incombere del quarto anno di guerra, il conflitto tra Russia e Ucraina è a un punto critico. Mentre l’UE continua a sostenere Kiev, la posizione più incerta degli Stati Uniti di Trump rischia di alterare significativamente il corso della guerra. Il crescente disinteresse americano verso un supporto incondizionato a Zelensky, unito alla volontà di favorire rapporti più distesi con Mosca, rischierebbe di minare l’integrità territoriale e la sovranità dell’Ucraina.
L’Europa si trova ora chiamata a mettere alla prova la propria coesione, in un clima politico che, però, tende sempre più verso ideali nazionalistici d’estrema destra: il suo interesse, così come la sua capacità, nell’affrontare spese e conseguenze del conflitto dipenderanno largamente dalla volontà di Russia, Ucraina e USA di mantenere un equilibrio che appare sempre più fragile.