Del: 4 Febbraio 2025 Di: Michele Cacciapuoti Commenti: 0
Se non lo vedo non esiste. Rwanda, Albania, remigrazione

Fra il I e il VII secolo, Romani e Bizantini usavano la città di Chersoneso (sperduta sulla punta della Crimea) come luogo d’esilio dei propri oppositori. E poi le isole d’Elba e di Sant’Elena con Napoleone, il Castello d’If del Conte di Montecristo o l’Isola del Diavolo di Papillon, il penitenziario di Alcatraz, la colonia penale in Australia, il confino fascista a Ponza, Ventotene e Ustica, il trasferimento dei “sovversivi” in Sardegna secondo il progetto golpista del Piano Solo, nel 1964.

Sono diversi i motivi che spingono a scegliere luoghi isolati (se non vere e proprie isole) come luogo di detenzione dei prigionieri, criminali o politici: la difficoltà di fuga; la punitiva asperità del luogo; la possibilità di costruzione ex novo; l’allontanamento dagli occhi altrui.

Gli hotspot per persone migranti delle isole di Lampedusa e Lesbo (benché sottoposti invece a una certa attenzione mediatica) sono stati descritti dall’ex-sindaca Nicolini e da HRW come «carceri a cielo aperto». Un anno fa, il Guardian ha rivelato che il ministro israeliano Katz avrebbe proposto all’UE di costruire un’isola artificiale dove deportare temporaneamente i cittadini palestinesi, notizia poi in parte smentita ma paragonata dallo studioso Jeff Halper all’apartheid coloniale.

Uno solo dei sopracitati fattori – l’allontanamento dagli occhi altrui – sembra motivare il vano tentativo di alcuni governi occidentali di dirottare le persone migranti in luoghi lontani o isolati.

Nel 2022 Priti Patel, ministra dell’interno del governo britannico di Boris Johnson, ha siglato un patto con il Rwanda: la nazione africana avrebbe ospitato i richiedenti asilo giunti nel Regno Unito, valutandoli ed eventualmente accogliendoli. Il primo volo è stato bloccato all’ultimo momento dalla Corte Europea dei Diritti Umani; tuttavia, Liz Truss è stata scelta come nuova premier anche dopo una campagna a favore dell’accordo e l’Alta Corte di Giustizia ha approvato il piano.

I tentativi della nuova ministra dell’interno sotto Truss e Sunak, Suella Braverman, sono stati ostacolati nel 2023 dalla Corte d’Appello, non essendo il Rwanda definito “sicuro”; fallito il ricorso di Sunak alla Corte Suprema, nel 2024 il governo ha semplicemente ridefinito il Rwanda un “Paese sicuro”, tramite una nuova legge. Dopo i primi arresti, però, Sunak ha rimandato i voli a dopo le elezioni, che ha perso: il suo successore, il laburista Starmer, ha subito annunciato un dietrofront.

Suella Braverman

Nel 2018 la Corte Suprema israeliana aveva bocciato un analogo patto con il Rwanda, mentre un tentativo di accordo con la stessa nazione africana è stato portato avanti nel 2022 dal governo socialdemocratico danese di Frederiksen.

Sky News ha citato, come potenziale ispirazione del piano britannico, il tentativo australiano nel 2001 di accordarsi con i circostanti arcipelaghi; la stessa testata menziona il trasferimento di almeno 3000 persone migranti dalla Libia al Niger, da parte di UE e UNHCR dopo il 2015. Ancora, gli Archivi Nazionali britannici hanno rivelato nel 2023 che vent’anni prima il governo laburista di Tony Blair aveva pensato di spostare i richiedenti asilo prima nelle isole scozzesi Ebridi e poi in Turchia o in Africa, ma c’è anche il caso delle isole Chagos.

Nel 2024, 15 governi (Italia inclusa) hanno chiesto alla Commissione Europea di considerare questo tipo di “esternalizzazione” dei flussi migratori: erano in maggioranza governi di centrodestra, ma non mancavano i liberali estoni e nederlandesi di Kallas e Rutte, i socialdemocratici danesi, il centrosinistra romeno e i laburisti maltesi. Pochi mesi prima, il PPE aveva incluso queste proposte nel suo programma elettorale.

La risposta è stata negativa: l’UE non avrebbe potuto replicare questo modello, “limitandosi” agli accordi di prevenzione dei flussi con i Paesi limitrofi, sulla scorta dei memorandum Italia-Libia e Italia-Tunisia. Eppure, a fine 2023, Von der Leyen aveva lodato un altro tipo di “esternalizzazione” facilmente paragonabile a quella britannica in Rwanda: il patto Italia-Albania.

Il terreno era stato preparato da Meloni, plausibilmente, a neanche due mesi dal suo insediamento; dopo qualche timidezza del premier albanese Rama e una protesta di Magi (+Europa), il centro per persone migranti in Albania è stato effettivamente creato (ma, a differenza del caso britannico, la valutazione e l’esecuzione dell’eventuale asilo o rimpatrio restano in mano all’Italia, che dovrebbe spendere oltre 100 milioni di euro annui).

Come con il Rwanda, il Tribunale di Roma ha sospeso la detenzione delle prime persone a fine 2024 (perché sarebbero state rimpatriate in Paesi non universalmente sicuri, secondo una recente sentenza europea); ciò si è ripetuto poco dopo con il Tribunale di Palermo e, a gennaio 2025, con la Corte d’Appello di Roma. Questi tribunali, come la Corte di Cassazione, hanno rinviato alla Corte di Giustizia Europea.

Nel frattempo il governo italiano (prima con il decreto-legge Paesi sicuri, poi confluito nel decreto-legge Flussi) ha riallargato la lista anche ai Paesi non universalmente sicuri, un po’ come il governo Sunak.

Rispetto a tutte le istanze menzionate finora, la cosiddetta remigrazione è qualcosa di ben diverso: si intreccia anch’essa a quell’infantile desiderio dell’opinione pubblica di allontanare dalla vista quanto viene ritenuto problematico e disagevole, ma le sue implicazioni sono molto più profonde.

Nato per indicare esodi e rimpatri volontari (quale quello sionista), secondo la politologa austriaca Goetz il termine remigrazione nel decennio scorso è stato utilizzato nell’ambito dell’estrema destra germanofona come sostituto “innocuo” delle novecentesche deportazioni: sarebbe insomma una buzzword, un dog-whistle capace di risuonare solo alle orecchie degli iniziati.

Il tema della remigrazione è stato sviluppato negli anni Sessanta (sotto forma di rapatriement) dall’Europe Action francese e in seguito dalla Nouvelle Droite, con una prosecuzione nel Front National. La vera accelerazione nel suo utilizzo è però da datare al decennio scorso.

La remigrazione è uscita dalla “bolla” dell’estrema destra un anno fa, quando la redazione investigativa non-profit Correctiv ha rivelato che, nel 2023, il partito di estrema destra tedesco AfD e altri movimenti si sono incontrati a Postdam, per discutere di un «piano» che permettesse la remigrazione.

Se i (pur controversi) rimpatri di cui sopra vengono almeno retoricamente motivati da ragioni di ordine pubblico (si vedano le prime espulsioni di Trump nei confronti di chi ha reati alle spalle) e riguardano persone migranti anche irregolari, rifugiati e richiedenti asilo, la remigrazione prevede qualcosa di ancora più grave: si motiva su basi culturali e riguarda anche chi, provvisto di cittadinanza, non viene considerato sufficientemente “integrato” negli usi e nelle tradizioni locali.

Si tratterebbe della deportazione di cittadini tedeschi su basi arbitrarie, un’idea definita dal giornalista Leonardo Bianchi «razzista e genocidaria […] da etno-Stato bianco». Il tema è stato molto seguito da Jacopo Di Miceli, curatore dell’Osservatorio sul Complottismo, che si è soffermato su uno dei movimenti presenti a Potsdam: il Movimento Identitario d’Austria di Martin Sellner, sezione locale della Generazione Identità nata in Francia e che parla di remigrazione dal 2015.

Martin Sellner

Come scriveva anche Vulcano, l’idea ricorda da vicino le espulsioni di massa e le varie reconquista della storia occidentale, ma in particolare quella nazista e la prima versione della “soluzione finale”, che prevedeva il trasferimento degli Ebrei in Madagascar.

Un anno dopo, AfD ha candidato Alice Weidel a cancelliera, con un comizio in cui ha esplicitato il tema della remigrazione. Poco dopo, il partito ha stampato 30.000 finti biglietti aerei di rimpatrio, destinandoli innanzitutto ad alcune comunità e persone immigrate nella città di Karlsruhe, azione paragonata da Di Miceli ai metodi nazisti e a dei volantini stampati dai neonazisti di NPD nel 2011-2013.

Nel frattempo, a inizio 2025 la locuzione e il tema della remigrazione sono arrivati in Italia.

Il 2 gennaio Corbetta, capogruppo leghista in Regione Lombardia, ha esposto su Facebook la necessità di remigrare non solo «clandestini» e «criminali», ma anche chi non è integrato, pur godendo di piena cittadinanza – il casus belli sarebbero le indagini su molestie e caos avvenuti a Milano a capodanno 2025, dopo i fatti di capodanno 2022.

La remigrazione è stata poi rilanciata su La Verità da Belpietro, che l’ha però smorzata come mero rimpatrio degli «stranieri», riconducendola alle espulsioni trumpiane e all’accordo con l’Albania. Il suo articolo è subito stato ripreso su Instagram da Delmastro (FdI), sottosegretario nel governo Meloni.

Sullo stesso social, il 4 gennaio il consigliere regionale lombardo Pase (Lega) ha ribadito il significato di remigrazione: «rimpatriare non solo i clandestini, ma anche chi non vuole integrarsi». Il giorno prima, su X, il deputato leghista Sasso ha sostenuto il progetto in tutta la sua pericolosità: la remigrazione non dipende dai tuoi documenti o dalla tua fedina penale, ma dalla tua cultura – Sasso si esprime contro «La loro musica. Le loro bandiere».

A questo punto della storia si inserisce un elemento peculiare, quello generazionale.

Il 4 gennaio, sempre in riferimento a capodanno, la giovanile milanese della Lega –tramite il capogruppo in consiglio comunale Verri, quasi trentenne – ha rilanciato la remigrazione; entro il 6 gennaio, anche Mauri (coordinatore della giovanile comasca della Lega, ventottenne) ha accostato con questo termine il rimpatrio di criminali e non-integrati, ricevendo il plauso dello stesso sopracitato ideologo Sellner, trentaseienne.

La giovanile comasca ha poi erroneamente ridimensionato la remigrazione alle espulsioni trumpiane, ma ormai il tema era arrivato anche alla giovanile lombarda, mentre da Mauri si distanziavano la giovanile comasca di FdI e il sottosegretario Molteni (Lega). Non solo: a illustrare la remigrazione in TV a Fuori dal coro il 15 gennaio c’era, insieme a Vannacci, il sindaco ventiduenne Scaramella (Lega). Dello sdoganamento di questo concetto, Corbetta si diceva «orgoglioso».

L’ultimo approdo di questa storia è nuovamente Milano: l’8 gennaio, il sopracitato Sasso ha invocato la remigrazione in un intervento alla Camera dei Deputati. L’indomani, su Twitter Andrea Ballarati si è complimentato e ha preso contatto con lui in vista del suo Remigration Summit 2025, per cui sostiene di aver già raccolto quasi 3.000€ di donazioni.

Ballarati (diciottenne, fuoriuscito dalla giovanile di FdI e fondatore della comasca Azione Cultura Tradizione) esplicitava già come il criterio della remigrazione non riguardasse che la persona migrante fosse «legale o illegale, clandestini o regolari» – è la problematicità di una concezione culturale di integrazione in Italia, segnalata dalla giornalista Belhadj Mohamed.

Per il 17 maggio, Ballarati ha organizzato con Sellner questo summit in una non meglio specificata località di Milano, incontrando la preoccupazione del sindaco Sala e del PD milanese di Majorino. Di Miceli ha chiesto che Sellner sia bandito dall’Italia, come avvenuto nel 2024 in Germania e Svizzera.

Resta che, se c’è chi smorza la remigrazione verso il basso paragonandola alle espulsione trumpiane, queste tendono in potenza verso l’alto rischio di non limitarsi ai criminali, mentre negli USA il problema delle gabbie per famiglie migranti non è mai stato davvero risolto.

Michele Cacciapuoti
Laureato in Lettere, sono passato a Storia. Quando non sto guardando film e serie od osservando eventi politici, scrivo di film, serie ed eventi politici.

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