
Esattamente come la società umana ha sempre fatto uso di strutture sociali piramidali con dei soggetti al vertice, la società degli Stati è sempre stata definita in base agli Stati che la guidano, a quei Paesi che, più degli altri, detengono potere e influenza. Nella scienza politica si parla di multipolarismo riferendosi al termine in cui un numero di potenze superiori a tre ha guidato gli andamenti delle relazioni internazionali, indicativamente tra il XVII secolo e il 1945, poi è stata la volta del bipolarismo negli anni della Guerra Fredda, in cui due (super)potenze – Stati Uniti e Unione Sovietica – erano in cima alla piramide.
Con la fine della Guerra Fredda si è aperta una fase singolare, in cui per almeno dieci anni è stato indiscutibile come la guida del mondo fosse unicamente in mano agli Stati Uniti; tuttavia, a partire dai primi anni 2000 questo modello ha iniziato a entrare in crisi, minacciato sia da un numero crescente di Stati che si sono progressivamente “ribellati” a quest’ordine politico a guida unica, sia dall’incapacità dell’egemone di giocare con successo su tutti i tavoli e controllare l’intero mondo – fatto a cui ben si applica il concetto di “Imperial overstretch” , che si riferisce proprio a quella situazione in cui gli imperi si estendono oltre le proprie capacità e collassano per i troppi impegni presi. Da qui si arriva a una fase confusa, quella attuale, in cui è difficile capire se ci si trovi in un mondo ancora unipolare a guida esclusivamente statunitense, bipolare – con la Cina che si porrebbe come controparte degli USA – o multipolare – con un agglomerato di Stati che si manifesterebbero come potenze.
In questo quadro confuso si fa strada un’ipotesi inedita e sconvolgente, ma soprattutto sempre meno remota: quella di un mondo senza leaders.
Questa prospettiva – cioè una società internazionale non più guidata da un numero limitato di potenze ma, caratterizzata da un sostanziale isolamento degli Stati e delle dinamiche globali, e a un atteggiamento aggressivo verso gli altri grandi Stati – è parsa a lungo qualcosa di concretamente inimmaginabile e studiabile solo in chiave teorica, come un ipotetico modello astratto.
Oggi però questa ipotesi sembra essere più concreta. Gli Stati Uniti riconoscono che la propria posizione globale è cambiata rispetto a quella di 25 anni fa e, con le modalità di Trump, si stanno allontanando da una serie di dinamiche alle quali erano storicamente legati, in primis abbandonando gli storici alleati europei per concentrarsi esclusivamente nelle aree di maggior interesse geopolitico e commerciale per Washington, come il Pacifico.
Ciò sta producendo l’aumento della compattezza dell’Europa in termini politici e sta dando spazio ai desideri di quegli Stati che ambiscono al rafforzamento nelle proprie aree regionali e strategiche, ma allo stesso tempo rischia di gettare un’ombra incancellabile sull’intero apparato multilaterale che è riuscito, nel corso di decenni, a collegare un mondo che altrimenti ne uscirebbe isolato e più teso.
Tutto questo si connette all’atteggiamento dell’amministrazione Trump verso la collaborazione multilaterale organizzata, fatto di recessi da accordi multilaterali, come nel caso dell’Accordo di Parigi sul cambiamento climatico e uscita da organizzazioni internazionali originariamente promosse dagli stessi Stati Uniti, come accaduto rispetto all’OMS , voltando pagina rispetto alle storiche strategie volte a intrecciare gli interessi globali e infittire le reti politiche, economiche e sociali tra le Nazioni.
Se il mondo divenisse definitivamente senza leaders, sarebbe difficile immaginare cosa potrebbe succedere. Offre degli spunti interessanti il politologo statunitense Ian Brenner, tra i primi a creare una teoria completa sul tema col suo concetto di “G-Zero World” , un ipotetico mondo in cui nessuno Stato o gruppo di Stati è in condizione di guidare la politica internazionale e tutti agiscono individualmente. Come ha commentato in un recente video – in cui ha posto la possibilità che “il G-Zero vinca” come la maggiore minaccia al mondo nel 2025 –, il G-Zero potrebbe essere causato da vari fattori che hanno spinto gli Stati alla collusione, come il desiderio di emergere di alcuni Stati in ascesa, prima fra tutti la Cina, e l’opposizione di chi non accetta ciò di fronte alla mancata adesione ai propri principi e modi operandi, gli Stati Uniti.
Di fronte a ciò, gli Stati “non occidentali” vedono negativamente agli Stati Uniti e ai loro alleati, perdendo la fiducia anche nel modello di comunità internazionale corrente e nell’idea di regole comuni. Bremmer sottolinea come un mondo senza leaders si svilupperebbe fondendo l’”America First” e l’atteggiamento isolazionista di Trump alla tensione degli altri attori del panorama politico globale, causando una forte instabilità.
Inoltre si perderebbe la percezione della presenza di un controllo terzo nelle dinamiche locali e regionali. A ciò conseguirebbe un forte aumento della violenza incontrollata in tutti quei territori in cui persistono forti tensioni . Sarebbe un mondo caratterizzato non dall’ascesa degli altri Stati a discapito di chi ha avuto il potere fino ad ora, ma dalla caduta in uno status di disordine senza precedenti . Ciò ha senso se si pensa a come, in effetti, le potenze in ascesa come Cina, Iran e Russia presentano delle forti criticità interne e strategiche e non sembrano realmente pronte alla leadership globale.
Capire se la situazione politica internazionale degenererà al punto da giungere alla reale istaurazione di un mondo senza leaders è difficile; ciò che è certo è che oggi appare più possibile che mai.
Il mondo in cui viviamo è stato basato sulla competizione sia interna sia tra attori internazionali e appare che le relazioni internazionali si siano irrigidite forse proprio per l’atteggiamento iper-individualistico degli attori;
se la tensione continuasse ad aumentare in questo modo, potrebbe davvero causare la conclusione del sistema di diritto internazionale, di dialogo globale e di relazioni tra Stati che oggi conosciamo e di cui quotidianamente sfruttiamo i benefici, a favore di uno scivolamento verso uno stato di natura hobbesiano. Tuttavia non si tratterebbe ancora di una situazione irreversibile, se i leaders realizzassero l’importanza della loro funzione nel mondo e il peso dell’assenza di collaborazione tra potenze nella politica internazionale.