Del: 10 Marzo 2025 Di: Redazione Commenti: 0

Che cosa rende un album “storico”? alcuni potrebbero dire la bellezza, che cattura le masse e porta alla vendita di copie su copie. Altri affermerebbero l’innovazione, la sperimentazione e la fusione tra più generi musicali. Altri ancora proporrebbero il messaggio, in grado di scaturire riflessioni sull’attualità e dar vita a vere e proprie rivoluzioni culturali.

E se un singolo album fosse in grado di convogliare, in parte o totalmente, a discrezione dell’ascoltatore, questi tre aspetti?

Sono ormai passati 10 anni dalla pubblicazione, il 16 marzo 2015, di To Pimp a Butterfly, terzo album in studio del rapper statunitense Kendrick Lamar, da molti considerato pietra miliare e definitiva consacrazione della sua carriera. Un disco storico, a tutti gli effetti: storico perché diventa il primo album del rapper californiano a raggiungere la vetta della classifica di vendite negli USA, 324.000 solo nella prima settimana, e raggiungerà il milione nel giro di due anni. Storico perché crea un punto di non ritorno, che va a definire un prima e un dopo nella scena hiphop statunitense e mondiale: da quel momento in poi nessun rapper (e non solo, come vedremo) potrà più ignorare l’influenza musicale di Kendrick. Ma storico anche per quelli che sono i temi trattati all’interno delle sue tracce.

Il disco si prefigura infatti come un concept album, dove un argomento ricorrente funge da file rouge e interconnette tutte le tracce. Il tema cardine è quello della condizione socio-economica, passata e presente, della comunità afroamericana, che sfocia poi in una cosciente analisi delle problematiche che affliggono la società statunitense più in generale: razzismo, brutalità delle forze dell’ordine, abuso di sostanze, ecc. Tutto questo è poi accompagnato da un sottofondo musicale ugualmente storico, nel vero senso della parola: si va ad attraversare buona parte di quella che è stata ed è la black music americana, dal jazz al soul al west coast hip hop moderno, creando quindi un’opera comprensiva di tutti quei diversi generi musicali ideati dalla comunità nera, simboli di un’emancipazione anche dal punto di vista artistico.

E’ poi necessario ricordare il periodo storico in cui si colloca questo disco, per poter comprenderne a pieno il messaggio. Nel 2015 si assisteva ai primi passi di quello che è il movimento Black Lives Matter, nato nel 2013, allora un fenomeno prettamente statunitense, che avrebbe raggiunto rilievo mondiale solo anni dopo con l’omicidio di George Floyd. In carica come presidente vi era ancora Barack Obama, primo presidente nero degli USA. Ciò veniva visto da molti come segno di grande avanzamento culturale del paese, finalmente in grado di abbattere importanti barriere sociali che resistevano da secoli,ma al contempo era interpretabile come segno di ipocrisia, di una nazione che celebra il raggiungimento della presidenza da parte di un individuo della comunità nera ma che al contempo confina, nolente o dolente, questa stessa comunità a uno stato di subordinazione sociale ed economica. Da lì a poco sarebbe poi iniziata la prima presidenza Trump, che avrebbe notevolmente accentuato la rilevanza mediatica e la polarizzazione nei conflitti sociali, e forse in questo l’album di Kendrick è quasi servito da premonitore.

Tornando all’aspetto musicale, come detto To Pimp a Butterfly è un coerente incontro tra vari stili di musica nera americana, che vanno ad accompagnare i testi rappati del cantante. Per far funzionare al meglio questo collage di generi Kendrick si è asservito della sapienza di un notevole numero di musicisti della scena californiana dai più disparati background musicali, alcuni dei quali con storiche carriere alle spalle, altri che avrebbero visto proprio in quegli anni l’ascesa della propria fama. Per elencarne alcuni, troviamo nell’album i cantanti Snoop Dogg e George Clinton, storico frontman dei Parliament-Funkadelic. Ma anche il comparto strumentale vanta dei nomi di spicco: alcune basi sono ideate dal visionario producer Flying Lotus, che collaborerà poi spesso in futuro con Kendrick. In certi brani si può notare il sax di Kamasi Washington, virtuoso sassofonista jazz che, proprio a seguito della partecipazione in questo disco, intraprenderà una fiorente carriera da solista e compositore. Al basso si ritrova spesso Thundercat, anche egli musicista annoverante vari lavori da solista o come collaboratore, e alla batteria partecipa Robert Searight, ideatore delle elettrizzanti parti percussive di gruppi come Snarky Puppy e Ghostnote.

L’ideazione e la creazione di questo album rappresentano già di per sé un lavoro mastodontico, che occupa per quasi tre anni il rapper e vede coinvolti ben cinque diversi studi di registrazione e varie decine tra produttori e musicisti.

Tra i brani più significativi e di successo possiamo trovare: King Kunta, traccia dal marcato carattere funk, dovuto soprattutto alla incalzante linea di baso di Thundercat, che omaggia il personaggio letterario, ideato dallo scritore Alex Haley, di Kunta Kinte, uno schiavo che rifiuta di abbandonare il suo nome originario per acquisirne uno anglicizzato, diventando così simbolo di ribellione nei confronti dei padroni bianchi. Institutionalized, che assume sonorità più pertinenti al soul, è una denuncia rivolta da Kendrick allo stile di vita dei giovani neri che in poco tempo raggiungono fama e successo, includendo anche se stesso in questa categoria:

benché siano riusciti a scappare dai ghetti di povertà e degrado, la loro logica e il loro modus operandi rimangono sempre legati a dinamiche di quartiere, impedendo loro la completa integrazione nell’alta società e l’emancipazione da stereotipi.

In questa condizione le catene che impediscono la liberazione della comunità afroamericana non sono più materiali o economiche, ma sociali, e ciò è indicizzato come metodo della società capitalistica americana per mantenere lo stato subalterno tra neri e bianchi. These Walls vira invece su una nota più autobiografica: viene descritto un rapporto sessuale tra il rapper e una donna non meglio specificata, raccontando al contempo la prigionia del cantante tra le mura (walls) dei piaceri del sesso e dell’alcol, ma prigionia anche sociale, dovuta dalla sua provenienza dal quartiere ghettizzato di Compton. Infine si scopre che la donna è moglie dell’uomo che in passato assassinò un amico di Kendrick (fatto realmente accaduto): il rapper ha quindi portato a termine una rivalsa personale, ma nel far ciò ha rafforzato la sua attaccatura a dinamiche “da strada”, come appunto la vendetta. Alright è un brano invece dalle sonorità meno cupe e più ballabili, che va a descrivere la sensazione di ottimismo, forse mal riposto, da parte dei neri nella speranza di un futuro in cui discriminazioni e razzismo istituzionalizzato finiranno. Questo è forse il brano che ha avuto più successo dell’album e scatenato più dibattito, a causa di alcune barre contenenti forti critiche verso le forze dell’ordine, poi riprese dalle proteste Black Lives Matter dell’estate 2015.

Il materiale prodotto è molto consistente: già di per sé l’album ha una lunghezza di quasi un’ora e venti, e parte delle tracce scartate che non entrano a far parte del progetto finale vengono raccolte nell’album Untitled Unmastered, uscito l’anno seguente.

Buona parte delle canzoni si concludono con versi tratti da una poesia di Lamar stesso, scritta appositamente per questo album. Nei brani iniziali ne vengono rivelati solo i primi versi, con il didascalico incipit “i remember you was conflicted”, che va già ad anticipare come la composizione tratti di un dialogo tra Kendrick e il se stesso del passato attorno ai conflitti interiori che lo affliggevano. Col susseguirsi delle tracce sempre più versi della poesia vengono rivelati, fino a che essa non appare completa nell’ultima registrazione dell’album, Mortal Man, un monologo di più di dieci minuti del rapper in cui egli riflette sull’eredità culturale che lascerà al futuro, chiedendosi se sarà mai in grado di considerarsi degno di portare il messaggio di eroi della comunità nera come Malcom X o Nelson Mandela.

To Pimp a Butterfly si configura come un album dall’elevata complessità, che spazia tra più generi, argomenti e riflessioni. Il suo ascolto è decisamente impegnativo, soprattutto se si intende approfondire le sue varie sfaccettature, ma rappresenta un’importantissima testimonianza per comprendere a fondo quelle che sono le dinamiche e le problematiche di una parte della società americana moderna, quella afro, che nell’ultimo secolo o più ha avuto un livello di influenza culturale ed artistica con pochi eguali.

Articolo di Lorenzo Bogo

Redazione on FacebookRedazione on InstagramRedazione on TwitterRedazione on Youtube
Redazione

Commenta