Del: 11 Marzo 2025 Di: Elisa Basilico Commenti: 0

A più di una settimana dalla cerimonia, i 97esimi Academy Awards continuano a far parlare di sé. L’edizione di quest’anno resterà nella memoria, segnata da eventi singolari dentro e fuori dallo schermo. Dopo il rinvio dovuto ai devastanti incendi che hanno colpito Los Angeles e la California, la cerimonia si è finalmente svolta il 2 marzo al Dolby Theatre, con Conan O’Brien alla conduzione, permettendo al cinema di riaffermare il suo ruolo di intrattenimento e riflessione.

Tra momenti di spettacolo, discorsi accorati e inevitabili polemiche, l’evento ha restituito un ritratto chiaro delle tendenze e delle trasformazioni che stanno plasmando il mondo del cinema. 

Nonostante l’incertezza iniziale, alla fine la premiazione è andata avanti con alcuni adattamenti: il tradizionale Nominee Luncheon (il pranzo dei candidati agli Oscar) è stato cancellato e gli Academy Scientific and Technical Awards sono stati posticipati a data da destinarsi. Ma il cuore pulsante della serata è rimasto invariato, rendendo omaggio ai successi e alle novità del panorama cinematografico tra conferme, sorprese e record infranti.

A vincere la statuetta più ambita come Miglior Film è stato Anorapellicola indipendente che ha consolidato la reputazione del regista Sean Baker – premiato alla Miglior Regia – come una delle nuove voci del cinema hollywoodiano. Con il suo stile realistico e la predilezione per personaggi marginalizzati, Baker ha portato sul grande schermo la storia di Anora, una sex worker di Brooklyn che si ritrova coinvolta in un vortice di criminalità e manipolazione dopo aver sposato il figlio d’un oligarca russo. La scrittura incisiva di Baker è stata riconosciuta con l’Oscar a Miglior Sceneggiatura Originale, mentre l’interpretazione intensa della giovane protagonista ha portato la venticinquenne Mikey Madison alla vittoria come Migliore Attrice Protagonista, superando la favorita Demi Moore che concorreva con l’horror The Substance.

Un risultato storico, che rende Sean Baker il primo regista a conseguire quattro premi con un solo film: prima di lui solo Walt Disney, nel 1954, aveva ottenuto un numero così alto di statuette, ma per quattro pellicole differenti.

È stato invece Adrien Brody ad aggiudicarsi la vittoria come Miglior Attore Protagonista grazie alla sua performance in The Brutalist. Il film di Brady Corbet lo vede nei panni di un fittizio architetto ungherese sopravvissuto alla Seconda guerra mondiale, che cerca di ricostruire vita e carriera negli Stati Uniti. La performance di Brody è stata acclamata per la sua intensità e per la profondità emotiva con cui ha reso il tormento interiore del protagonista, László Tóth. Per Brody questa è stata la seconda nomination e la seconda vittoria, dopo un Oscar conseguito nel 2003 per Il pianista.

Dopo il trionfo ai Golden Globes, ai Critics’ Choice Awards, ai Bafta e ai SAG Awards, l’Oscar come Miglior attrice non protagonista è andato a Zoe Saldana per il ruolo di Rita Mora Castro in Emilia Pérez. Pellicola controversa e non ben accolta da tutti, Emilia Pérez è un musical recitato prevalentemente in spagnolo e in inglese. Il personaggio interpretato da Saldana è una praticante di uno studio legale. La sua vita non sembra avere molte prospettive di miglioramento, fino a quando non riceve una telefonata anonima che si scoprirà provenire da un boss mafioso, Manitas del Monte, deciso a voler diventare una donna. Rita sarà fondamentale in questo percorso di transizione di genere, dopo il quale Manitas, ormai Emilia, si vedrà costretta a riscrivere la propria vita.

Sono state criticate sia la rappresentazione della comunità transgender, quanto di quella messicana, definita troppo stereotipata.

Nonostante ciò Emilia Pérez ha collezionato molti premi, fino alla serata degli Oscar. Tredici nomination e solo due vittorie, una quella appena citata e la seconda come Miglior canzone originale per El Mal. La causa potrebbe essere anche il caos mediatico suscitato dal ritrovamento di vecchi tweet razzisti dell’attrice protagonista, Karla Sofìa Gascòn, oppure si sono semplicemente preferiti altri film.

Nonostante l’accaduto, Saldana accetta il proprio premio a testa alta, con un discorso toccante in cui ricorda di essere figlia di genitori immigrati negli Stati Uniti e sottolinea di essere la prima americana di origini domenicane a vincere un Oscar. L’augurio è che non sia nemmeno l’ultima.

Di nuovo, con poca, sorpresa, il Miglior attore non protagonista è andato a Kieran Culkin per il film A Real Pain, diretto da Jesse Eisenberg. Uscito in Italia il 27 febbraio, la pellicola ha come protagonisti due cugini interpretati proprio da Eisenberg e Culkin, che intraprendono insieme un viaggio per l’Europa.

Avendo vinto in tutte le precedenti premiazioni per cui era stato nominato per questo ruolo, la vittoria di Culkin era praticamente assicurata. 

Se la statuetta come Migliore sceneggiatura originale se l’è aggiudicata Anora, quella non originale è stata ritirata da Peter Straughan per Conclave. Il soggetto è tratto dall’omonimo romanzo di Robert Harris uscito nel 2016, la pellicola rimane abbastanza fedele al libro.

È l’unico premio che nella serata di domenica ha vinto Conclave, anche se le nomination erano diverse tra cui miglior attore protagonista per Ralph Fiennes e migliore attrice non protagonista per Isabella Rossellini. Quest’ultima sul red carpet ha voluto ricordare il regista, non che amico, David Lynch da poco venuto a mancare con un abito in velluto blu, per la pellicola del 1986 Blue Velvet.

Uno dei momenti più emozionanti della serata è stata la vittoria di Flow – Un mondo da salvare, che si è portato a casa la statuetta come Miglior Film d’Animazione, battendo il favorito Inside Out 2.

La consacrazione del film affonda le sue radici nel circuito festivaliero, dove ha esordito al Festival di Cannes 2024, nella sezione Un Certain Regard, incantando il pubblico, per poi proseguire il suo percorso nei maggiori festival internazionali, raccogliendo consensi e vincendo importanti riconoscimenti.

Inaspettata meraviglia animata dell’anno, Flow ha conquistato anche la critica per la sua poesia visiva e la sua innovativa realizzazione tecnica e ha confermato il talento del regista lettone Gints Zilbalodis.

La pellicola presenta la storia di un gattino nero che, in un mondo sommerso dall’acqua dopo un’inondazione e dove la vita umana sembra essere scomparsa, trova rifugio su una barca insieme a un gruppo di animali di specie diverse. La convivenza forzata tra esseri così differenti porta a tensioni, ma anche a momenti di collaborazione e crescita.

Oltre a essere una storia di resistenza e solidarietà, Flow porta con sé anche un potente messaggio ambientale: la sua ambientazione richiama inevitabilmente le conseguenze del cambiamento climatico e dell’innalzamento del livello del mare, trasformandolo in una riflessione sulla fragilità del nostro pianeta. Senza mai risultare didascalico, il film invita lo spettatore a interrogarsi sul futuro della Terra e sulle responsabilità dell’uomo, mentre i protagonisti affrontano una vera e propria odissea, spinti solo dall’istinto di sopravvivenza e dal desiderio di trovare salvezza. 

Privo di dialoghi, il film si affida interamente alla forza evocativa delle immagini e alla colonna sonora, regalando un’esperienza immersiva ipnotica e profondamente toccante che amplifica l’impatto emotivo della narrazione. Il racconto si sviluppa attraverso un approccio visivo essenziale ma potentissimo. Ogni inquadratura è costruita con uno stile suggestivo e minimalista, capace di trasportare lo spettatore in un viaggio sospeso tra speranza e smarrimento solo con il movimento e il suono. Il silenzio, invece, non è mai vuoto, ma carico di tensione e meraviglia, mentre la musica accompagna il flusso degli eventi, scandendo i momenti di difficoltà e scoperta.

Ciò che rende Flow ancora più straordinario è la sua realizzazione: sviluppato con software open source e un motore grafico simile all’Unreal Engine, il film rappresenta un punto di svolta nell’animazione. 

Inoltre, avvicinandosi più all’estetica e alle tecniche di sviluppo dei videogiochi che al tradizionale cinema d’animazione, è riuscito a stabilire un doppio primato: è il primo film d’animazione lettone a trionfare agli Oscar e il primo realizzato con questa tecnologia a ottenere un apprezzamento così prestigioso. Tanto è vero che ha prevalso su concorrenti del calibro di Inside Out 2 della Pixar e, per quanto non sia stato possibile verificarlo, forse avrebbe potuto contendere l’Oscar anche a Il ragazzo e l’airone – che durante la scorsa edizione ha riportato la magia di Miyazaki – dimostrando come l’industria dell’animazione stia cambiando rapidamente, dando spazio anche a produzioni indipendenti e a nuovi linguaggi espressivi. Un traguardo che conferma Flow come un’opera rivoluzionaria, capace non solo di ridefinire i confini del cinema d’animazione, ma anche di aprire nuove prospettive per il futuro del settore, lasciando spazio all’interpretazione e stimolando un coinvolgimento sensoriale raro nel genere.

Grande attesa anche per la categoria Miglior film internazionale, nella quale il film favorito sembrava essere Emilia Pérez, del regista francese Jacques Audiard. La statuetta è andata invece al brasiliano Ainda Estou Aqui – Io sono ancora qui, del regista Walter Salles. Basato sul romanzo di Marcelo Rubens Paiva, il film racconta la storia del rapimento di Rubens Paiva, suo padre, ex deputato del partito laburista brasiliano, un desaparecido negli anni della dittatura brasiliana, scomparso nel 1971. Una pellicola cruda e molto emozionante, che racconta con grande onestà l’epoca dittatoriale e mette a nudo una famiglia molto unita, ma completamente spaesata a causa di questa sparizione. Degna di essere menzionata è la performance di Fernanda Torres, interprete di Eunice Facciolla Paiva, la moglie dell’ex deputato, donna forte e determinata a scoprire tutta la verità su ciò che è successo al marito. 

Candidata come Miglior Attrice Protagonista, Torres è diventata la prima attrice brasiliana a vincere un Golden Globe come Migliore attrice protagonista in un film drammatico e la seconda attrice brasiliana a essere nominata per un Premio Oscar in questa categoria. La prima è stata sua madre, l’attrice brasiliana Fernanda Montenegro, nel 1998.

The Substance, rispetto ad altre occasioni, vince meno statuette (si nota soprattutto la protagonista Demi Moore, ma la comprimaria Margaret Qualley non è neanche stata candidata). Il film della regista francese Fargeat, infatti, vince solo nella sezione dei Migliori trucco e acconciatura – categoria consustanziale a una pellicola che vuole inscriversi nel body horror e il cui trucco prostetico ha causato, a detta di Qualley, un lungo periodo di acne.

Scarso successo anche per Wicked, che nonostante gli altissimi incassi negli Stati Uniti e nomination in categorie importanti, tra cui Miglior film e Miglior attrice protagonista e non protagonista, porta a casa solo due statuette per Miglior scenografia e Migliori costumi. Era stata notata la sua grande assenza nelle nomination per Miglior canzone originale, a discapito delle performance, molto amate di Cynthia Erivo e Ariana Grande.

Altro film molto penalizzato a questi premi Oscar è Dune – Parte due, del quale non è stata riconosciuta nemmeno la nomination a Miglior regista per Denis Villeneuve. Colleziona solo due premi, uno per Migliori effetti visivi e uno per Miglior sonoro. Andrà meglio con Dune – Messiah?

Concludiamo con uno dei premi più ignorati, ma che rappresenta uno dei mestieri più importanti del set: l’Oscar alla miglior fotografia, vinto da Lol Crawley (The Brutalist).

Dopo una carriera – cominciata agli inizi degli anni ‘10 – tra film indipendenti e videoclip musicali, instaura un lungo sodalizio con Brady Corbet già da quando l’ex attore passa dietro la macchina da presa con The Childhood of a Leader nel 2015; dando così vita a un lungo sodalizio che culmina dieci anni dopo nel Dolby Theatre.

Con i suoi colori che spaziano dal bianco del cemento al bianco del marmo, dal nero del catrame nei cantieri di Filadelfia alla verde collina di Doylestown, Crawley conquista la giuria dell’Academy, che la sera del 2 marzo gli conferisce il premio.

Come continuerà la carriera artistica di questo duo dopo tutti questi trionfi? Siamo al vertice della parabola o solo all’inizio?

Come in ogni edizioni l’Academy ha voluto ricordare chi ha reso possibile la realizzazione di pellicole che sono entrate nella cultura cinematografica, che sono deceduti nell’ultimo anno, tra cui Maggie Smith, Donald Sutherland e Shelley Duval


Il ricordo più toccante, però, è stato quello di Morgan Freeman per l’amico Gene Hackman. I due attori hanno condiviso il set di diversi film tra cui Under Suspicion Gli spietati. “Abbiamo perso un gigante ed io un grande amico”, queste sono state le commosse parole dell’attore sul palco dell’Academy. Infine, quest’ultima ha riservato le cinque inquadrature finali degli Oscar 2025 all’attore, morto all’età di 95 anni in circostanze ancora sospette.

Elisa Basilico
Cristina Bianchi
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