
Circa tre mesi fa il regime di Bashar al-Assad è caduto a seguito di una campagna durata poco più di una settimana. Indagare il sorprendente collasso dell’Esercito Arabo Siriano (SAA), superiore per numero e per mezzi rispetto ai cosiddetti “ribelli”, e che in passato aveva dimostrato la sua efficacia militare, sarà lo scopo di questo articolo, attraverso una ricostruzione della campagna e una successiva analisi degli elementi noti.
Il 27 novembre 2024, alcuni gruppi di ribelli siriani capeggiati dalla formazione islamista Hay’at Tahrir al-Sham (HTS) lanciano un’offensiva dalla provincia di Idlib, rompendo la tregua stabilita nel 2020 che aveva ridotto di molto l’intensità e la portata degli scontri. Le forze ribelli catturano alcuni villaggi fortificati in direzione di Aleppo, strappandoli alla 30ª Divisione della Guardia Repubblicana. Il giorno successivo, gli sforzi sono concentrati a sud-ovest di Aleppo, dove l’opposizione riesce a interrompere i collegamenti tra la città e il resto del paese passanti attraverso l’autostrada M5, recisa in prossimità di Zerbeh e tenuta sotto tiro a sud di Saraqib; nonostante ciò, rinforzi del SAA costituiti dalla 25ª Divisione e da elementi della 4ª Divisione Corazzata raggiungono Aleppo lo stesso giorno.
Il 29 novembre, i ribelli penetrano ad Aleppo, e le unità del regime che la difendevano fuggono in rotta o cessano di esistere, lasciando solo alcune sacche di resistenza isolate; anche a sud-ovest il fronte si sposta senza incontrare opposizione degna di nota, e Saraqib cade.
L’ultimo giorno di novembre, il successo dell’opposizione non si arresta: essa avanza su tutto l’asse sudorientale, e invade il governatorato di Hama, importante città siriana e centro nevralgico sulla M5. Nello stesso giorno, probabilmente a seguito di un accordo con HTS, alcune forze curde (SDF) avanzano su posizioni abbandonate dal regime e iniziano a scontrarsi con l’Esercito Nazionale Siriano (SNA), altra componente dell’opposizione “ribelle” che però è strettamente legata alla Turchia e che si è unita all’avanzata con HTS; questi combattimenti proseguono tutt’ora. Il 1° dicembre, Aleppo viene ulteriormente consolidata attraverso la cattura di Al-Safirah e Khanaser, situate a sud-est della città; ora tutte le vie d’accesso alla città sono controllate dall’opposizione.

L’esercito siriano tenta di stabilizzare il fronte nella campagna antistante Hama, stabilendo posizioni a Tayyibat al Imam, Soran e Muhradah, richiamando rinforzi e mobilitando le milizie locali. HTS e le altre fazioni iniziano l’assedio di Hama, conquistando le cittadine nominate precedentemente tra il 2 e il 3 dicembre, ed estendendo le loro linee lungo i fianchi di Hama per accerchiarla.
Tentativi di contrattacco dell’esercito verso il nord della città, specie nella zona del monte di Jabal Zayn al-Abidin, accanto alla M5, sono riportati fino al 4 del mese; tuttavia, il giorno successivo la città cade in mano ai ribelli, che ora sono liberi di marciare su Homs, terza città della Siria.
Questa sconfitta segna la fine del SAA, che perde il controllo sul resto del paese senza combattere; le sue unità si ritirano verso Damasco o si dissolvono. L’8 dicembre, Bashar al-Assad fugge in Russia; termina così il regime creato nel 1971 da suo padre.

Gli elementi che hanno portato a questo risultato sono diversi; prima saranno analizzati quelli interni al SAA per poi esplorare il (non) ruolo degli alleati di Damasco. Sulla carta, l’esercito siriano disponeva di circa 130.000 uomini, insieme ad altri 100.000 inquadrati in svariate formazioni paramilitari, e di un’ampia superiorità in mezzi corazzati e artiglieria. Tuttavia, le frequenti diserzioni, la qualità insufficiente dell’addestramento e, soprattutto, l’incerta fedeltà verso il regime (cospicua era la presenza di ex-ribelli nell’esercito) restringeva la qualifica di forze fedeli e capaci solo ad alcune unità selezionate. HTS e affiliati schieravano invece circa 10-15.000 effettivi, mentre l’Esercito Nazionale Siriano, l’altro pilastro dell’opposizione “ribelle”, contava fino a 70.000 uomini divisi tra numerose milizie; tuttavia, quest’ultimo ha giocato un ruolo secondario nella campagna.
I problemi sofferti dall’esercito siriano si sono manifestati sin dal primo giorno: la 30ª Divisione, che teneva le posizioni a ovest di Aleppo, soffriva di una seria carenza di effettivi.
Ciò era dovuto alla concussione presente nell’unità, dove gli ufficiali costringevano i soldati a pagare per aver accesso a periodi di congedo, permettendo di prolungarli irregolarmente in cambio di altro denaro.
Ulteriori difficoltà erano causate dalla presenza di personale corrotto dedito al contrabbando di forniture militari (anche con i ribelli stessi), e dai numerosi abusi denunciati dalla truppa, che avevano provocato ulteriori diserzioni e trascinato il morale a terra; pertanto, il 27 novembre, tre reggimenti della trentesima non hanno retto l’urto iniziale, collassando.
A ciò si aggiunge l’assenza di una reazione degli alti livelli di comando (battaglioni, reggimenti e brigate), che hanno lasciato le unità alle loro dipendenze (compagnie e plotoni) il compito di prendere le loro decisioni indipendentemente, incarico che i comandanti di basso rango del SAA non erano preparati a svolgere, impedendo qualsiasi risposta coordinata. Questa assenza è probabilmente dovuta a riforme introdotte nell’esercito siriano su consiglio dei russi a partire dal 2018, che ha spostato i comandanti di alto rango nelle retrovie; prima, questi erano soliti guidare le loro unità in prossimità del fronte, ma tale pratica aveva dissanguato il corpo ufficiali nei primi anni della guerra civile. Il crollo dello schieramento del SAA ad Aleppo e la successiva fuga disordinata, nonostante l’arrivo di rinforzi provenienti dalla 25a e dalla 4a (due delle divisioni meglio preparate), è stato probabilmente causato dalla minaccia di rimanere accerchiati in Aleppo a seguito dell’interruzione della M5 da parte dei ribelli; le forze meno disciplinate sono state le prime a scappare, condannando anche le altre. Lo sfacelo dell’esercito è divenuto ancor più evidente nella battaglia di Hama, dove milizie e reparti dell’intelligence militare costituivano buona parte delle forze a disposizione del regime. La stragrande maggioranza delle unità che hanno preso parte ai combattimenti erano composte e comandate da personale alawita o appartenente ad altre minoranze (cristiani e sciiti) fedeli al regime; il resto delle unità del SAA non è stato nemmeno trasferito verso il fronte, probabilmente a causa della loro dubbia fedeltà, o, meno probabilmente, a causa di valutazioni errate da parte di Damasco.
Alle carenze dell’esercito siriano si è aggiunta l’assenza degli alleati del regime: Russia, Iran ed Hezbollah.
Negli anni precedenti, il loro sostegno era stato fondamentale per colmare le lacune in ambito di addestramento, armamenti e uomini; in particolare, l’aviazione russa aveva avuto un ruolo primario nel garantire la superiorità aerea e nel sostenere le operazioni a terra colpendo le posizioni e le linee di rifornimento dei ribelli, rendendo impossibile il successo di offensive di ampio respiro che li allontanavano dalle loro basi. Con la guerra in Ucraina, questa ha dovuto ridurre la sua presenza in Siria; delle sortite contro i ribelli sono state effettuate, ma si sono verificate inefficaci. Hezbollah il giorno stesso dell’inizio dell’offensiva aderiva alla tregua con Israele; privata dei suoi comandanti e indebolita, non ha potuto reagire. Teheran si trovava in una situazione simile, distratta da Tel Aviv; per di più, qualsiasi tentativo di assistere tempestivamente Damasco per via aerea sarebbe divenuto preda dell’aviazione israeliana.
Quelli presentati sono gli elementi noti, ma restano ancora molti interrogativi da spiegare, in particolare gli effetti della smobilitazione di parte del SAA a partire dal 2020 e quali fossero le aspettative e le ambizioni dei ribelli prima di lanciare l’offensiva.
Articolo di Paolo Bassanelli