Del: 8 Marzo 2025 Di: Michele Cacciapuoti Commenti: 0
Speciale 8 marzo: conquiste, stereotipi e nuove sfide

Con tutto il rumore mediatico che ogni anno accompagna la Giornata Internazionale della Donna, è fondamentale non perdere di vista il vero significato di questa ricorrenza.

L’8 marzo non è solo un’occasione per celebrare le conquiste sociali, politiche ed economiche delle donne, ma anche per riflettere sui progressi significativi compiuti in vari ambiti, come quelli istituzionali e culturali dalle donne di tutto il mondo. È un momento per porre l’accento sulle discriminazioni, sugli stereotipi e sulla violenza di genere che le donne continuano a subire in molte parti del mondo – oltre che sulle sfide legate ai diritti riproduttivi e all’accesso a risorse fondamentali come istruzione e salute – e per rinnovare l’impegno verso la parità di genere e il rispetto dei diritti delle donne in ogni settore della società.

Noi di Vulcano Statale, nel nostro piccolo, vogliamo contribuire a questa riflessione, portando la nostra voce e mettendo in luce alcuni aspetti della vita quotidiana che, troppo spesso, vengono dati per scontati. Le sfide restano in forma sottile e pervasiva: le donne continuano a essere vittime di dinamiche invisibili, che purtroppo permangono in molti aspetti della loro vita, sia nei rapporti familiari che sul posto di lavoro, e persino nel modo in cui la cultura – dalla letteratura al cinema – rappresenta e spesso sottovaluta il ruolo della donna.


Sono femminista ma… – di Michele Cacciapuoti

«Sono femminista ma fino alla seconda ondata», ossia fino alle rivendicazioni e ai risultati conseguiti fra anni Sessanta e Ottanta (inclusi) nelle società occidentali – non più solo il suffragio universale, ma anche questioni inerenti i diritti riproduttivi e il diritto di famiglia.

Si tratta sicuramente di una posizione più progressista rispetto a chi condanna il Sessantotto, non solo come provocazione di stampo cronologico (come Roberto Vannacci), ma rinnegandone esplicitamente o meno le conquiste, come il diritto all’aborto.

Eppure questa frase, mentre salva la seconda ondata femminista, esclude le successive. Del resto, è con questo tipo di affermazioni (che implicitamente negano qualcos’altro) che si autodefiniscono le identità, fra cui quelle politiche, marcando un confine.

Dunque, a che cosa si sta rinunciando?

La terza ondata, a cavallo fra anni Novanta e Duemila, vide protagonisti i membri della Generazione X (quella dei nostri genitori, bene o male) e fu caratterizzato anche dal fenomeno delle Riot grrrl.

Fra i tratti principali di questo movimento c’è la critica postmoderna alle precedenti categorie concettuali di genere o potere e, soprattutto, l’intersezionalità: secondo questo tipo di approccio, le identità dei diversi segmenti sociali (ad esempio il genere, l’etnia e l’orientamento sessuale) si intersecano, creando diverse combinazioni di possibili privilegi e discriminazioni.

Di conseguenza, molte branche di questo movimento rappresentano un’intersezione con altri movimenti progressisti, fra tutti l’ecofemminismo e il transfemminismo.

Dallo scorso decennio è emersa una quarta ondata, ancor più radicata su Internet ma sostanzialmente in continuità con i presupposti intersezionali dell’ondata precedente: da essa discendono concetti oggi molto attuali come il body-shaming e la cultura dello stupro.

Questi movimenti, in quanto tali, non sono perfettamente omogenei al proprio interno e non è necessario concordare con tutte le teorie e dottrine esposte al loro interno per essere femministi. La stessa intersezionalità viene talvolta interpretata in modo distorto: non come una griglia che permetta di riconoscere i punti in comune anche quando vi siano elementi di disaccordo; bensì come filtro purista, sulla cui base magari bollare chi non condivide certi presupposti (ad esempio economici) come femminista performativo o commodity feminist.

Il punto è capire che cosa si sta attivamente contrastando, però, quando si rigettano la terza e quarta ondata in toto: una prospettiva di complessificazione dell’analisi e il riconoscimento dei fattori economici nella disparità di genere, o una moderna concezione dell’identità di genere (disconosciuta dal movimento TERFtrans-exclusionary radical feminism).

Quasi a dire che le donne debbano accontentarsi di poter votare, divorziare e non essere impunemente uccise, che altro si può volere?


L’importanza dell’infanzia per la parità di genere – di Nicolò Bianconi

Correvano gli anni ‘70 quando la sociologa Elena Gianini Belotti scrisse un libro che segnò la storia del femminismo italiano. Con l’accattivante titolo Dalla parte delle bambine, la prolifica autrice raccoglieva le sue osservazioni su come le donne di domani venivano cresciute e condizionate verso certi comportamenti. Osservazioni che, a mezzo secolo di distanza, rimangono in gran parte attualissime.

Possiamo iniziare con una di queste riflessioni, che fortunatamente è legata a un miglioramento sostanziale.

Durante la fase dell’allattamento, le femmine venivano solitamente private del latte materno molto prima dei bambini, sia in termini di età che di tempo dedicato al nutrimento. Questo avveniva per preconcetti culturali, che consideravano la foga nel succhiare dei maschi come naturale, segno di un figlio che si faceva forte e che si sarebbe fatto valere.

Al contrario, la gioia di nutrirsi delle neonate veniva vista con una luce ben diversa. «[A fare così] diventerà una grassona» affermava una madre ascoltata dall’autrice; «È così ingorda, mi fa un po’ senso» confidava un’altra.Queste doppie misure portano a conseguenze sullo sviluppo emotivo dei due sessi. Mentre i maschi potevano tendenzialmente contare sul raggiungimento della soddisfazione, le lattanti ne venivano solitamente private, senza capirne la ragione e sentendosi così tradite dalla figura da cui dipendevano per sopravvivere. Una differenza che portava a importanti ripercussioni, dato che il rapporto con la madre è il primo modello attraverso cui apprendiamo a relazionarci con gli altri.

Per fortuna però, oggi le sopracitate differenze si sono ridotte di molto.

Questo netto miglioramento non è avvenuto per un altro aspetto: le spinte estroverse delle femmine più vivaci vengono tuttora molto più spesso ostacolate rispetto a quelle dei maschi, al punto che si può parlare di un fenomeno sistemico. Come osservato dalla sociologa, tale repressione porta tendenzialmente a bambine più passive, meno propense ad attirare attenzioni e quindi più ansiose e malinconiche. Questi processi di inquadramento riguardano principalmente i due-quattro anni, ma non si fermano qui. Essi continuano negli anni successivi ed è in questa fase che la vivacità rimasta solitamente subisce un duro colpo, a causa della vergogna delle bambine di essere etichettate come “maschiacci”.

Un ultimo tema, caro alla scrittrice e ancora attualissimo, riguarda la scelta dei giochi, i quali possono essere visti come strumenti con cui impariamo aspetti del mondo divertendoci.

Alcune di queste attività ludiche possono essere svolte in gruppo, tipo calcio o nascondino. Da esse i piccoli imparano le basi della socialità, come il rispetto delle regole e del lavoro di squadra. Altre, — su cui ci soffermeremo, — vengono fatte principalmente da soli e rimangono rigidamente divise per genere. Bambole, ruspe, set da cucina e macchinine sono solo alcuni esempi. Molti genitori affermano che i figli sono naturalmente attratti dai passatempi legati al loro sesso, ma è davvero così?

In realtà i bimbi non sanno davvero quali giocattoli “appartengono” a quale identità di genere, ma lo apprendono molto velocemente.

Questo portando i prodotti per l’infanzia da loro adocchiati ai genitori, che con una certa frequenza li bocceranno. Tale rifiuto può essere dovuto a tanti motivi, ma l’aver scelto un gioco dal target sessuale sbagliato è spesso, almeno all’inizio, tra le ragioni principali.

Dunque i bambini imparano a chiedere giocattoli più affini ai desideri dei genitori.

Così da avere più probabilità che questi vengano acquistati e avvicinano man mano i propri gusti a quelli dello stereotipo di genere.

Il mondo del marketing ha poi esacerbato le differenze preesistenti, offrendosi di aiutare i piccoli a individuare gli articoli “da femmina” e “da maschio”, tradizionalmente adoperando il rosa e l’azzurro.

Su questo tema è infine importante riprendere il discorso iniziale: i giochi servono a insegnare qualcosa. Se alle bambine si danno bambole, scope e lavatrici giocattolo, mentre ai maschi sono spesso proibiti, è così strano che i lavori domestici vengano ancora svolti in gran parte da donne? Questa discriminazione contribuisce inoltre a rafforzare l’idea che le donne siano meno capaci e libere di scegliere. Invece gli uomini, dopo essere stati presi in giro per aver chiesto un articolo “da femmina”, tendono a interiorizzare una visione svalutante di ciò che è considerato femminile.

Come osservato da Gianini Belotti nel secolo scorso, per raggiungere la parità dei sessi è fondamentale non dimenticarsi dell’infanzia. In quegli anni si forma la nostra personalità, in buona parte come risultato dei condizionamenti di genere. Superandoli, potremmo ambire a una società migliore. Del resto, se queste differenze comportamentali fossero davvero naturali, ci sarebbe forse il bisogno di inculcarle?


La Voce delle Donne nella Letteratura in un Mondo Patriarcale – di Viviana Genovese

Se c’è un luogo in cui il patriarcato ha sempre cercato di imporsi, è quello della parola scritta.

Per secoli, la letteratura è stata dominio maschile, negando alle donne lo spazio per raccontarsi. 

Alcune hanno sfidato le regole, pagando un prezzo alto, ma lasciando un segno indelebile.

La scrittura è stata un potente strumento di emancipazione e critica sociale per le donne, permettendo loro di dare voce alle esperienze femminili, ridefinire il ruolo delle donne nella realtà e nella letteratura e conquistare uno spazio di libertà in cui mettere in discussione il sistema patriarcale. Molte autrici hanno dovuto lottare per affermarsi in un mondo letterario dominato dagli uomini, subendo critiche e sminuimenti legati più sul genere che sul valore delle loro opere, ma le loro storie riflettono battaglie che, sotto diverse forme, continuano ancora.

Autrici come Grazia Deledda, unica donna italiana a vincere nel 1926 il Premio Nobel per la Letteratura, ne sono un esempio. Nonostante il riconoscimento internazionale, la sua vittoria fu accolta con scetticismo da molti intellettuali dell’epoca, tra cui Luigi Pirandello che, pur essendo un grande scrittore, faticava ad accettare che una donna avesse ottenuto un riconoscimento simile prima di lui e la considerava comunque inferiore agli scrittori uomini

O ancora, spesso alcune scrittrici hanno dovuto combattere per ottenere riconoscimento pubblicando sotto pseudonimi maschili. È il caso di George Eliot, nome con cui Mary Ann Evans firmò le sue opere per evitare i pregiudizi riservati alle autrici donne nell’Inghilterra dell’Ottocento. Con romanzi come Middlemarch, Eliot dimostrò una straordinaria profondità psicologica e sociale, sfidando le convenzioni del suo tempo e affermandosi come una delle più grandi scrittrici della letteratura inglese. Il suo successo dimostrò che il talento non ha genere, anche se per essere riconosciuto, a volte, ha dovuto nascondersi dietro un nome maschile.

Tutt’ora la letteratura continua a essere un terreno di battaglia per la rappresentazione delle donne, offrendo nuove narrazioni che sfidano gli stereotipi e propongono modelli alternativi, nonostante il canone letterario sia ancora dominato da autori maschi, con poche eccezioni.

Al giorno d’oggi, ci sono tante scrittrici che stanno ridisegnando la figura della donna nei loro libri. Autrici come Chimamanda Ngozi Adichie, che con Americanah esplora la complessità delle esperienze delle donne nere, o Elena Ferrante, che ha creato un mondo tutto femminile ne L’amica geniale. L’autrice, inoltre, sebbene avvolta nell’anonimato, è una delle scrittrici più influenti al mondo: la sua scelta di non mostrarsi è un atto di libertà e resistenza contro un sistema che spesso giudica le autrici più per la loro immagine che per le loro opere. Con la saga de L’amica geniale, infatti, Ferrante ha raccontato l’amicizia femminile con una profondità rara, mettendo in luce il peso delle aspettative sociali sulle donne, le violenze domestiche e il rapporto con il potere. Questi personaggi non sono solo coraggiosi o vulnerabili, ma sono completi, complessi, reali.

Nella letteratura esistono anche diversi personaggi femminili che sfidano le convenzioni.

Parliamo di personaggi come Emma Bovary, che cerca di sfuggire alla monotonia della sua vita ma viene punita per la sua ribellione, o Anna Karenina, che sceglie l’amore al di fuori del matrimonio pagando un prezzo altissimo. Entrambe, sebbene affrontino il giudizio sociale e incontrano un destino tragico, riflettendo le limitazioni imposte alle donne nelle loro epoche, sono comunque simboli di una lotta per la libertà. Non sono perfette, ma sono vere, e nei loro desideri, ribellioni e tragedie.

Si può, quindi, affermare con certezza che la storia di queste scrittrici e delle loro protagoniste dimostra che la battaglia per l’uguaglianza non si gioca solo nelle leggi e nei diritti, ma anche nelle parole.

Perché chi racconta le storie, e come le racconta, ha il potere di cambiare la nostra percezione del mondo.

Riconoscere la vera essenza delle donne nella cultura non è solo una questione di numeri o di parità, ma di sostanza. Si tratta di capire che le storie delle donne sono ricche e meritevoli di essere raccontate con lo stesso rispetto e la stessa profondità degli uomini.

Ci sono ancora molte barriere da abbattere, ma il fatto che sempre più registi, scrittori e spettatori stiano chiedendo una rappresentazione autentica delle donne è un segno che qualcosa sta cambiando. Le donne non sono solo un ornamento nelle storie; sono il cuore, l’anima, e a volte la chiave per capire meglio il mondo che ci circonda.


Le donne sono la vittima perfetta per il capitalismo – di Jessica Rodenghi

«Fai tu la lista della spesa, sai sempre quello che serve»

«Sei più brava tu a ricordarti le date»

Emotional labor: tutto quel lavoro di background che riguarda l’organizzazione della vita in senso pratico e sociale di un gruppo di persone con cui si è relazionate.

Molto spesso ricade sulle donne, con la scusa che siano semplicemente più portate a farlo, ma è una sottile forma di diseguaglianza che fatichiamo a riconoscere.

Questo può accadere sia nel nucleo familiare, ma anche sui luoghi di lavoro. Quando si entra in un ufficio, ad esempio, ci si aspetta che le lavoratrici siano più ordinate, mentre pare normale che i lavoratori lasciano sporco e non si interessino di ordine e pulizia, ad esempio. 

Con l’emotional labor si presuppone anche che si manipolino le proprie emozioni per influenzare positivamente l’esperienza di un cliente o di un collega. 

Facciamo un esempio. Il giorno in cui ti sei svegliata male, non hai dormito, ti è successo qualcosa di negativo, ti presenti al lavoro e non sei esattamente piena di energie come al solito: se sei una donna è una colpa maggiore, perché si presuppone che tu debba mantenere alto l’umore del gruppo. Una forma di supporto emotivo che ci si aspetta tu abbia, un sorriso forzato che devi sempre avere, anche se non è espressamente richiesto dalla tua posizione lavorativa. 

Sulla carta lavoratori e lavoratrici con lo stesso lavoro dovrebbero svolgere le stesse mansioni (in teoria dietro un adeguato e pari compenso), ma le implicazioni emotive sono date per scontate per le donne, mentre quando si tratta di un uomo, che ad esempio decide di preparare il caffé per colleghi e colleghe, si esalta la sua gentilezza come a sottolineare che sia un elemento fuori dal comune

Questo tipo di lavoro è estremamente stancante, ma se sei una donna viene dato per scontato che tu lo faccia e non ti lamenti.

In fondo sin dalla prima educazione, viene insegnato alle bambine che il loro è un ruolo di cura.

Quando le donne entrano nel mondo del lavoro, dunque, sulle spalle hanno già anni di carico emotivo altrui (che non hanno richiesto) e di cui sono state forzatamente portatrici. Una volta firmato il primo contratto inizia un gioco di non-detto, per cui esistono dei compiti che si presuppone una donna compirà, anche se non hanno nulla a che fare con la propria mansione o con le proprie competenze. 

Nel mentre, non dimentichiamoci di scrivere la lista della spesa, perché in fondo sappiamo che «le donne sanno meglio ciò che serve in casa». 

Se vogliamo che la liberazione delle donne continui, dobbiamo riconoscere che anche le piccole cose contano. E non sono poi così piccole, se ogni donna ne fa esperienza quotidianamente e se, in ogni ambito della sua vita, c’è sempre qualcuno pronto a ricordarle qual è – secondo lui – il suo ruolo di cura.

Michele Cacciapuoti
Laureato in Lettere, sono passato a Storia. Quando non sto guardando film e serie od osservando eventi politici, scrivo di film, serie ed eventi politici.
Nicolò Bianconi
Sono uno studente di Scienze internazionali al terzo anno. Ho una generale curiosità per il mondo, che mi porta ad avere molte passioni e innumerevoli interessi. Tra questi la scrittura occupa un posto speciale.
Viviana Genovese
Studentessa di Lettere Moderne e chiacchierona per natura. La curiosità mi guida verso ciò che mi circonda, e la parola scritta è lo strumento di espressione che preferisco.
Nutro uno smisurato amore per i viaggi, il mare e l'arte in tutte le sue forme; ma amo anche esplorare nuovi mondi attraverso letture e film di ogni tipo, immergendomi in diverse realtà e vivendo più vite.
Jessica Rodenghi
Jessica, attiva nel mondo e nelle società, per fare buona informazione dedicata a tutti e tutte.

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