
Il 5 di ogni mese, 5 libri per tutti i gusti: BookAdvisor è la rubrica dove vi consigliamo ciò che ci è piaciuto di recente, tra novità e qualche riscoperta.
La catastrofica visita allo zoo, Joël Dicker (La Nave di Teseo) – recensione di Matilde Elisa Sala

Chi l’avrebbe mai detto che una gita scolastica allo zoo della città avrebbe causato una catastrofe? Di sicuro non se l’aspettava la giovane Joséphine, men che meno i suoi compagni di classe e fidati amici Otto, Giovanni, Thomas, Artie e Yoshi. Nel ripercorrere gli eventi per cercare di spiegarsi con i propri genitori, Joséphine fa capire però che l’incidente è solo l’esito di una serie di catastrofi nelle quali sia lei che gli amici sono stati coinvolti. Non un romanzo che ci si aspetterebbe da Dicker, ma pur sempre un giallo coinvolgente, ricco di colpi di scena, nel quale si riconosce la penna dello scrittore. Non ci si deve stupire se non si trova un grande delitto: lo stesso Dicker ha più volte spiegato che questa volta voleva creare una storia che potesse essere letta da persone di ogni fascia d’età, che potesse diventare una lettura e che avvicinasse più lettori possibili. L’obiettivo è la riscoperta del piacere che i libri e la lettura possono regalare, del loro potere di aggregazione e creazione di piccole comunità. Poco importa se si è grandi lettori oppure no, probabilmente non si è ancora trovato il libro giusto. Che sia questo magari?
Tra poche ore è buio, Giovanni Pizzigoni (Mondadori) – recensione di Jessica Rodenghi

Hai presente quei thriller che ti fanno perdere il sonno? Tra poche ore è buio è uno di quei romanzi che ti travolgono, ti rendono parte della missione e ad un certo punto sarai tu stesso a non dormire, chiedendoti se, forse, avete appena scoperto chi ha ucciso Ettore Visconti.È il 1995 e sull’isola di San Giorgio, nel sud della Sardegna, il più importante progettista della SERIN è stato ucciso, poi il suo corpo è stato inchiodato in una cala e la sua testa, recisa su una pietra, mostra un sorriso deforme. Questa immagine tormenterà uno dei protagonisti, Tommaso Rovi, un giovane reporter milanese, che affiancherà il tenente del ROS Paride Rinaldi, reduce dalla guerra in Bosnia. Le indagini prenderanno forme sempre nuove e sempre più contorte, in un labirinto di strade che sembrano portare a mille soluzioni diverse. Nonostante questo, l’autore riesce a delineare profili psicologici estremamente precisi, andando a fondo di emozioni vive o represse che tormentano i protagonisti. Anche i personaggi secondari sono tridimensionali, lasciando trasparire una cura per i dettagli non indifferente. Per chi conosce l’autore dai video youtube ricorderà la precisione con cui Gio Pizzi parla di armamenti, eserciti e tattiche militari, mostrando una conoscenza ampia e puntuale degli argomenti che tratta. Se stai cercando un testo che ti tenga incollato alle pagine o allo schermo, i romanzi di Pizzigoni fanno al caso tuo. Credo sinceramente che sia uno degli autori italiani migliori in circolazione.
Juno ama Gambelunghe, Karl Geary (Playground Editore) – recensione di Alice Villa

Dublino, anni 80. Circondati da povertà e desolazione, Juno e il ragazzo da lei soprannominato Gambelunghe, si incontrano a scuola. A unirli è la loro inadeguatezza rispetto al mondo in cui si trovano: misero, bigotto, intransigente. Il romanzo segue la loro crescita attraverso famiglie disfunzionali, segnate profondamente dall’ambiente da cui provengono, e crudeli e intolleranti anni in scuole cattoliche, il loro perdersi e ritrovarsi e come, in un mondo in cui ognuno cerca di salvare sé stesso, riescano ad essere un’ancora di salvezza l’uno per l’altra. Incantevole nel suo essere lacerante, poetico nel suo essere semplice, Juno ama Gambelunghe è un libro commovente e brutalmente onesto che dipinge una chiara immagine morale senza mai esprimere giudizi e trasporta completamente nella sua atmosfera. È un’esperienza ancora più speciale leggerlo in lingua originale per immergersi completamente nell’atmosfera degli anni ‘80 e delle parlate ed espressioni unicamente irlandesi che la contraddistinguono.
E ho smesso di chiamarti papà, Caroline Darian (UTET) – recensione di Jessica Rodenghi

Un diario spiazzante, crudo e oscuro come la vicenda di Gisèle Pelicot, donna il cui ex marito ha fatto violentare (e violentato) da più di settanta uomini, attraverso la sottomissione chimica. Il racconto viene dalla figlia dei due, Caroline Darian, cognome che ha inventato unendo i nomi di battesimo dei fratelli David e Florian. Si ripercorre la vicenda sin dall’inizio, dal primo arresto di Dominique Pelicot, quando era stato sorpreso a filmare sotto le gonne di tre donne in un centro commerciale. Da lì in poi una spirale di eventi sempre più oscuri attraversa la famiglia e si porta dietro la serenità di tutti, compresi i nipoti, a cui bisogna spiegare come mai il nonno sia in carcere.L’autrice evidenzia il ruolo spesso trascurato delle famiglie delle vittime, che vengono travolte dagli eventi tremendi e devono trovare la forza per superarli. Allo stesso modo sottolinea come sua madre non sia stata assistita fin da subito nel modo adeguato: prima dell’arresto dell’ex marito aveva fatto molte visite sia per le perdite di memoria che per i disturbi ginecologici di cui non si capivano le cause. In nessuno di questi casi ci sono stati esami tossicologici, in genere non sono previsti, ma l’autrice spiega che dovrebbero entrare nella prassi e il reato di sottomissione chimica dovrebbe essere più conosciuto anche dai professionisti della salute. Un racconto duro, ma importante per andare fino in fondo in una vicenda che ha scosso il mondo intero. Lo dobbiamo a Giséle Pelicot e a tutte le vittime di violenza.
La città che non c’è, Yu Hua (Feltrinelli) – recensione di Vittoria Menga

Cina, città di Xizhen, primi anni del Novecento. Un uomo avanza nel gelo dell’inverno pensando solo a proteggere un marsupio di pelle rossa, saldamente ancorato al suo petto. Da quel marsupio spuntano due minuscoli pugni e il respiro impercettibile di una neonata. La storia di Lin Xiangfu e di sua figlia, Lin Baijia, comincia però a scorrere prima della ricerca della “città che non c’è”, sin da quando la madre della bambina, Xiaomei, scompare nel nulla lasciando il futuro sposo con null’altro che un qipao di seta e un nome dall’eco inafferrabile: Wencheng. È quest’ultimo nome la chimera che tiene sospeso Lin Xiangfu (e noi lettori), durante tutto il corso del romanzo. L’opera di Yu Hua coinvolge al suo interno decine di personaggi, tutti di primaria importanza e nessuno secondario, dato l’intreccio inscindibile che si crea fra ciascuno di loro: un bandito dal cuore gentile, una prostituta timida e servizievole, un esercito di ex ostaggi con l’orecchio mozzato. Sono alcune delle figure che popolano la famosa “Terra di Mezzo”, la Cina come probabilmente noi occidentali non l’abbiamo mai conosciuta. Yu Hua descrive in modo nitido, spesso crudo e senza filtri, i numerosi problemi che hanno afflitto il paese agli inizi del secolo scorso, dal brigantaggio fino alla caduta dell’ultimo imperatore. La scrittura è sincera, senza fronzoli o inutili arricchimenti ampollosi; sfogliare le pagine di questo libro è quasi paragonabile ad avere una conversazione con i personaggi, ai quali lentamente ci si affeziona e dai quali soprattutto si apprende. Apprendere cosa, però? Il valore della lealtà, l’importanza della famiglia e soprattutto l’arte di vivere. Perché La città che non c’è insegna che nonostante l’assenza di un posto, concreta o astratta che sia, l’assenza di una persona, o i traumi subiti in differente misura, l’unica scelta da prendere è continuare a vivere. Se non per sé stessi, almeno per coloro a cui dobbiamo la nostra fedeltà.