Del: 12 Aprile 2025 Di: Redazione Commenti: 0
Da rileggere per la prima volta. Le confessioni d'un italiano

L’Italia degli anni Quaranta ha conosciuto una generazione di scrittori che hanno fatto la Guerra e la Resistenza. Agli albori della Repubblica Italiana, i romanzi sono stati scritti da giovani che avevano combattuto e che spesso erano stati oppositori del Regime Fascista. Il risultato fu una letteratura schietta, priva di preziosismi e votata al solo fine di testimoniare una fase drammatica della nostra storia.

Non v’era spazio per l’invenzione dei personaggi e la finzione letteraria, ma solo la necessità impellente di raccontare ciò che si era visto con i propri occhi e fatto con le proprie mani. Si segnava una netta cesura con i grandi del secolo precedente.

Verga e Manzoni erano signori distinti e autori celebri, che mettevano a punto numerosi personaggi per poi calarli nelle vicende romanzesche e farli interagire tra di loro all’interno di una cornice letteraria finzionale inserita in un periodo storico-sociale ben preciso. Lo sguardo verista era inevitabilmente filtrato anche dalla distanza di ceto con i protagonisti delle proprie opere.

Un solo titolo, nell’800 italiano, anticipava lo stretto rapporto tra vita e letteratura tipico del secolo successivo: nel 1867 veniva pubblicato postumo Le confessioni d’un italiano. Il suo autore, il padovano Ippolito Nievo, era il numero 690 della spedizione dei mille quando morì a soli 29 anni.

La sua storia e quella del suo romanzo sono tra le più appassionanti che la letteratura italiana abbia da offrire.

Le confessioni d’un italiano è l’autobiografia fittizia di Carlo Altoviti, un ottantenne che, all’alba dell’unità d’Italia, decide di stendere le proprie memorie di uomo e di patriota.

Io nacqui veneziano al 18 ottobre del 1775, giorno dell’evangelista San Luca; e morrò per la grazia di Dio italiano quando lo vorrà quella Provvidenza che governa misteriosamente il mondo. Ecco la morale della mia vita.

Le confessioni d’un italiano, pag.5 (edizione BUR)

La narrazione si snoda lungo gli eventi politici e le guerre che, dagli echi della rivoluzione francese, giungono alle porte dell’Unità d’Italia. Carlo è orfano e cresce come membro della servitù nel castello della famiglia materna, nei pressi di Portogruaro. All’età di diciotto anni viene mandato a Padova a studiare Giurisprudenza ed entra in contatto con le idee repubblicane portate dalla Rivoluzione.

Da qui in poi Le confessioni raccontano una vita piena e burrascosa, che vede il protagonista attore e spettatore dei continui rivolgimenti politici dell’epoca. Il tema politico è centrale, tuttavia il romanzo non reggerebbe se non fosse per il personaggio della Pisana.

L’intero romanzo è infatti scandito dalle imprevedibili apparizioni della cugina nobile di Carlo, compagna di avventure sin dall’infanzia.

I due, solo apparentemente separati dal ceto, non smetteranno mai di intrecciare le proprie vite, prima sullo sfondo della nobiltà veneziana decadente e poi su quello dei moti d’insurrezione.

La Pisana era una bimba vispa, irrequieta, permalosetta, dai begli occhioni castani e dai lunghissimi capelli, che a tre anni conosceva già certe sue arti da donnetta per invaghire di sè, e avrebbe dato ragione a coloro che sostengono le donne non esser mai bambine, ma nascer donne belle e fatte, col germe in corpo di tutti i vezzi e tutte le malizie possibili. 

Le confessioni d’un italiano, pag.41 (edizione BUR)

Ѐ solo attraverso gli occhi del protagonista che conosciamo questo personaggio, la cui psiche rimane volutamente un mistero.

Nonostante questo, non v’è alcuna idealizzazione: Carlo non sa mai cosa aspettarsi dall’indole dispettosa e umorale della Pisana, ma si limita ad accettarne l’imprevedibilità. Lo stesso conviene fare al lettore, che altrimenti potrebbe rimanere deluso dai suoi comportamenti indecifrabili.

Dice Livio Garzanti in un’intervista per la Rai: “Non si leggono 30 pagine del romanzo senza che sbuchi da qualche parte la Pisana”.

L’amore di Carlo è dichiarato fin da subito ed è l’unica certezza in un arco di tempo che va dalla Rivoluzione francese all’Unità d’Italia. Dapprima il sentimento viene messo a dura prova dalle stranezze e dai dispetti della Pisana, che amministra le proprie attenzioni in modo civettuolo tra i vari pretendenti, determinando alti e bassi nella relazione con il cugino.

Superata questa fase, un affetto più maturo rimpiazzerà le gelosie e la disperazione della gioventù, ma l’unica cosa stabile rimarrà ancora una volta la devozione di Carletto. Sempre Garzanti infatti dice: “C’è la straordinaria invenzione di un amore che connette tutto il romanzo”. E ancora sulla Pisana: “Questa presenza e questo temperamento infantile che dai tre anni fino alla morte matura, cambia ma rimane sempre in una continuità naturale accompagnando Carlo Altoviti mi sembra il miracolo e la fortuna straordinaria, unica al mondo di questo romanzo, che poteva riuscire solo a un giovane innamorato”.

Dal punto di vista letterario, la peculiarità di questo libro è l’ibridazione dei generi autobiografia e romanzo storico. L’autore ha vissuto solo l’ultima parte delle vicende politiche e belliche che racconta, ma crea un alter ego di cinquant’anni più vecchio per poter raccontare in prima persona anche la storia precedente.

Si forma così una finzione per cui le vicende centrali del romanzo sono ricostruite sulla base di documenti e ricordi di famiglia, mentre i moti e le battaglie ai quali l’autore ha realmente partecipato sono relegati nella parte finale, narrati da un protagonista ormai anziano. Solitamente i romanzi storici raccontano una fase, un’epoca o un episodio significativo del passato, ma comunicano meno con il presente, se non attraverso l’allegoria e il parallelismo.

Il romanzo di Nievo, al contrario, comincia ottant’anni nel passato per approdare al presente, e le vicende non sono narrate a scopo allegorico, ma fanno parte di una sola grande storia. La lunga vita di Carlo Altoviti misura la stagione che dal crollo del feudalesimo si estende fino ai moti e alla prima guerra d’indipendenza. All’eccitazione democratica portata dai Francesi segue il dramma di Campoformio e il passaggio in mano austriaca. Dopo la fuga dal Veneto, Carlo va a cercare la libertà altrove, e così si trova a Milano quando viene proclamata la Repubblica Cisalpina e a Napoli quando scoppia la rivoluzione nel 1799.

È in questi continui spostamenti comincia a fermentare il desiderio di un paese unito. Il titolo Le confessioni d’un italiano è significativo, perché Nievo vuole riconoscere alle generazioni precedenti i primi passi di ciò che la sua era pronta a portare a termine. Come se, prima di salpare con i Mille, volesse rendere omaggio a chi, come Carlo, aveva sognato una simile impresa.

In effetti, l’autore è talmente coinvolto nella storia che racconta, che sarebbe sbagliato parlare di romanzo storico se non fosse per la metodica ricerca e la precisa attività di ricostruzione.

Proprio per questo coinvolgimento nelle vicende narrate Livio Garzanti, nella già citata intervista Rai, faceva un paragone tra la propria generazione e quella di Nievo, ricordato come l’ultimo scrittore ragazzo prima del ‘900. La vitalità di questo autore, contrapposta alla penna misurata dei grandi vecchi del suo secolo, viene presentata come un valore. Come sostiene Garzanti, è “un libro che come mai nella nostra letteratura mostra un rapporto tra vita e arte”.

Le confessioni d’un italiano è un romanzo di 800 pagine, scritto di getto in soli otto mesi. Il manoscritto non fu mai corretto dall’autore perché Nievo, dopo essersi distinto nella battaglia di Calatafimi, morì in mare assieme al resto dell’equipaggio dell’Ercole.

Come sostenuto diffusamente dalla critica, l’imperfezione di un’opera pubblicata postuma e senza interventi ha contribuito alla grandezza dell’autore; forse perché quel manoscritto grezzo e copioso riflette tutt’oggi l’animo di un giovane che alternava la penna al moschetto. Come scrive Emilio Cecchi nella prefazione dell’edizione Einaudi del romanzo:

Molte mende sarebbero certamente cadute se, dopo la campagna di Sicilia, il Nievo avesse potuto riprendere il suo manoscritto. Ma è da temere che, nella rielaborazione dell’insieme, e sotto il minuzioso lavoro della lima, in parte avrebbe finito anche col perdersi qualcosa di essenziale: quell’ineffabile trepidità, quell’arcana lievitazione, quel senso di entusiasmo che fanno delle Confessioni, incomparabilmente, il più bel poema di giovinezza della letteratura italiana.

Per ironia della sorte, Nievo non ce l’ha fatta a morire italiano: il naufragio in circostanze poco chiare del suo piroscafo avvenne nella notte tra il 4 e il 5 marzo 1861, ovvero tra i 13 e i 12 giorni dalla proclamazione del Regno d’Italia. Quanto a Carlo Altoviti, l’ottantenne protagonista delle Confessioni, ci è riuscito e il racconto della sua vita è un prezioso ricordo di ciò che siamo stati.

Articolo di Ettore Campana

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