
Sono cinque mesi ormai che alle porte dell’UE si svolge una delle proteste più grandi della storia. Da novembre 2023 in Serbia gli studenti occupano le università e i civili bloccano le strade. La grandezza delle manifestazioni ottiene persino le dimissioni del primo ministro Miloš Vučević a fine gennaio 2025. Autoritarismo e corruzione: questi sono i due avversari dei manifestanti che hanno adottato come simbolo le mani sporche di sangue.
Questo articolo, tuttavia, non sarà un’analisi geopolitica della situazione, ma una testimonianza diretta di chi sta effettivamente lottando in questi mesi per il proprio paese.
Emilija Milenković studia Scienze Politiche all’Università di Belgrado e da anni ha l’obiettivo, come attivista, di stabilire in Serbia un ordine democratico con elezioni libere e giuste e ottenere un miglioramento della condizione giovanile. È una delle organizzatrici delle proteste avvenute dopo il furto elettorale del 17 dicembre 2023. La sua carriera da attivista inizia durante le scuole superiori, dove fonda un’associazione giovanile nella sua città natale, Vranje, nel sud della Serbia. Da allora lotta, attraverso diverse organizzazioni giovanili, in particolare attraverso l’Organizzazione Nazionale della Gioventù della Serbia di cui è membro del Consiglio di Amministrazione, per migliorare la situazione dei giovani in Serbia, specialmente nelle comunità piccole e svantaggiate. Per Milenković, inoltre, il femminismo e la lotta per la parità di condizione delle donne sono parti importanti della sua formazione da attivista. Dopo la tragedia di Novi Sad avvia nel 2024 con altre due colleghe l’occupazione della Facoltà di Scienze Politiche di Belgrado.
Dunque, com’è cominciato tutto e come si è sviluppata la situazione iniziale?
Quindi, dopo la tragedia di Novi Sad, siamo scesi in piazza per una protesta che di solito consisteva in 15 minuti di silenzio. Non ci sono state proteste di grandi dimensioni, ma non c’era ancora l’occupazione della facoltà. E in una protesta, durante i 15 minuti di silenzio per le vittime della tragedia, davanti alla Facoltà di Arti Drammatiche, alcuni colleghi sono stati aggrediti da persone che sappiamo essere in posizioni di potere e appartenenti al partito serbo di destra [il Partito Progressista Serbo (СНС), ndr]. Dopo quell’attacco, i colleghi della Facoltà di Arti Drammatiche hanno iniziato l’occupazione.
Dato che ti occupavi di attivismo anche prima di questo periodo di blocchi, quale cambiamento hai notato nei confronti degli studenti? Hai notato un aumento dell’interesse per la politica che magari prima non esisteva o non era così evidente?
Assolutamente sì. Penso che, da quando ho iniziato a occuparmi di attivismo e a organizzare proteste, ogni manifestazione sia stata sempre più partecipata. È stato un lungo processo che ha portato naturalmente a questa grande mobilitazione degli studenti. Purtroppo, la goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata la tragedia di Novi Sad, e da allora gli studenti hanno capito che era necessario mobilitarsi e prendere in mano la situazione, iniziando proprio dalle proprie università. Il cambiamento è evidente: gli studenti, pur restando distanti dai partiti politici o da altre organizzazioni politiche, hanno riconosciuto l’importanza di questo tipo di attivismo attraverso i blocchi e le proteste. Ed è proprio grazie a questa forma di lotta che sono state ottenute le più grandi e inedite conquiste in Serbia fino ad ora.
Qui in Italia si dice che uno dei motivi principali delle proteste sia la corruzione. In che modo la corruzione ha portato a questa situazione in Serbia?
Sì, anche da noi, e i media stranieri parlano molto di come tutto questo sia una conseguenza della corruzione. Il miglior esempio è il nostro primo obiettivo: ottenere la documentazione sui lavori di ricostruzione della stazione ferroviaria di Novi Sad. Tuttavia, quattro mesi dopo, ancora non abbiamo ricevuto tutta la documentazione. Possiamo solo immaginare cosa ci sia dietro e cosa verrebbe rivelato se potessimo accedere a quei documenti. Guardando l’intera gestione del paese da parte del CHC, la corruzione è ovunque. Purtroppo, ha avuto il suo impatto più tragico proprio a Novi Sad e tutti hanno finalmente compreso che se non combattiamo la corruzione ora, ci saranno sempre più tragedie causate da essa.
Noi in Serbia consideriamo questa tragedia un vero e proprio omicidio, perché questi errori sono stati commessi consapevolmente. La corruzione è un atto deliberato e ha portato direttamente a questa tragedia. Resta da vedere, quando otterremo la documentazione completa e avremo una magistratura e un sistema giudiziario indipendenti, fino a che punto la corruzione ha influito e chi è davvero responsabile.
Perché il simbolo delle mani insanguinate?
Il simbolo delle mani insanguinate è nato spontaneamente. Il Regime afferma che è un simbolo preso da altre «rivoluzioni colorate» all’estero, ma non è così. È nato autonomamente, perché le persone hanno riconosciuto che il sangue è sulle mani di questo governo e dei funzionari del CHC. È proprio a causa della corruzione che è avvenuta questa tragedia e questo è il simbolo più forte che possiamo mostrare per dire che non tollereremo più il sangue sulle loro mani e che non permetteremo che continuino a commettere crimini contro i cittadini. Vogliamo prendere in mano la situazione noi stessi.
Come sperate che l’importanza delle proteste studentesche si diffonda oltre la Serbia?
Le proteste studentesche si sono già diffuse oltre la Serbia, specialmente nei Balcani. Prima ci sono state proteste studentesche in Montenegro e ora anche in Macedonia del Nord, a seguito della tragedia avvenuta in una discoteca. È stato davvero orribile. Spero che gli studenti in Macedonia del Nord, organizzandosi autonomamente, riescano a ottenere ciò per cui stanno lottando. Abbiamo visto proteste in tutto il mondo, ovunque ci siano serbi, e questo è stato incredibilmente bello e solidale.
Spero che questa forma di lotta si estenda anche ad altri studenti fuori dai Balcani e che possano adottare il metodo del blocco per affrontare i loro problemi. Il messaggio principale è che la solidarietà, l’empatia e l’unità sono la chiave per proteste efficaci e per ottenere risultati concreti.
Nenadić (OBC Transeuropa) dice: «Gli studenti non solo sono riusciti ad arrivare in quelle aree del Paese che erano rimaste impenetrabili e incomprensibili per la maggior parte – compresa l’opposizione che non comunica direttamente con i cittadini – ma hanno anche incoraggiato la popolazione locale a denunciare la situazione in cui si trova la società serba a causa di un sistema fallito e della diffusione della corruzione di cui “fino a ieri” nessuno osava parlare». Sei d’accordo con questa visione della situazione pre-proteste? Era veramente questa la situazione?
Sì, io sono una di quelle persone che ha marciato da Vranje a Niš e ho attraversato quelle zone del sud della Serbia che sono tra le più povere del paese. Lì le persone hanno meno accesso alle informazioni libere e ai media indipendenti. Quando sono passata per quelle zone, mi sono scontrata con una realtà che conoscevo solo dai dati o dai racconti.
Le persone che vivono lì sono davvero in condizioni terribili. Tuttavia, ci hanno accolto calorosamente durante la nostra marcia. Ricordo, quando siamo arrivati a Grdelica, un piccolo villaggio nel sud della Serbia, che gli abitanti ci hanno portato così tanto cibo che non sapevamo nemmeno dove metterlo. Abbiamo detto loro: «Per favore, date questo cibo a chi ne ha più bisogno, ai più poveri». E una donna ci ha risposto: «Siamo tutti poveri qui. Non c’è nessuno che abbia di più. Vi abbiamo dato tutto ciò che avevamo».È stato incredibile vedere quanta speranza abbiano riposto in noi e quanto credano che possiamo portare un cambiamento. Prima delle proteste, le persone erano rassegnate. Non credevano più a niente, non avevano nessuno in cui riporre la loro fiducia, pensavano che tutti fossero uguali, che non ci fosse nessuno per cui valesse la pena votare e che in Serbia non sarebbe mai cambiato nulla. Pensavano che Vučić sarebbe rimasto al potere per sempre.
Ma noi siamo arrivati come giovani pieni di speranza, energia ed entusiasmo. Abbiamo parlato con loro, abbiamo spiegato le nostre richieste e la nostra lotta. E per loro questo ha significato così tanto che hanno voluto aiutarci in ogni modo possibile, anche donandoci quel poco che avevano, nonostante la loro povertà.
Quanto tempo ci è voluto per organizzare tutto?
In realtà, il processo è ancora in corso. Abbiamo una struttura, un plenum, gruppi di lavoro, e tutti i dipartimenti universitari della Serbia sono connessi tra loro. Siamo in costante comunicazione e coordinazione per organizzare le proteste. Abbiamo già tenuto grandi manifestazioni a Niš, Novi Sad, Kragujevac e Belgrado.
Gli studenti sono la colonna portante di queste proteste e questi blocchi, ma sosteniamo anche i sindacati e altre associazioni di lavoratori. Abbiamo lanciato un appello per lo sciopero generale e appoggiamo chiunque lotti contro il regime.
Avete dei legami internazionali?
Sì, in parte, specialmente con il Montenegro e la Macedonia del Nord. Ma alla fine, siamo tutti impegnati nella stessa battaglia con lo stesso obiettivo.
A Belgrado, più di 300.000 persone sono scese in piazza per protestare. Ogni persona in Serbia, che è sinceramente contro questo regime e vuole che le richieste degli studenti vengano soddisfatte, sta partecipando in qualche forma alla rivolta.
Ogni giorno, alle 19:30, in tutta Belgrado si sentono fischietti e il rumore delle pentole sbattute dai balconi. Le persone protestano in ogni modo possibile. In questo momento, tutta la Serbia è in protesta, ogni singolo giorno.
Si ribadisce, sotto volontà dell’intervistata, che Milenković non risponde a nome del plenum studentesco o degli studenti in generale, che non hanno leader o rappresentanti ufficiali. Nelle proteste studentesche sono tutti uguali. Milenković ci sta donando la sua testimonianza e la sua esperienza da attivista e studente che sta partecipando ai blocchi, non in qualità di portavoce ufficiale degli studenti.
Si ringraziano Emilija Milenković, Mila Dommarco e Mila Grujovic per la realizzazione di questo articolo d’intervista.