Del: 6 Aprile 2025 Di: Alice Pozzoli Commenti: 0
Yasmina Pani. Il femminismo è davvero entrato in crisi?

Durante lo scorso mese, in occasione della Festa della Donna, ha suscitato scalpore un articolo pubblicato da Fondazione Feltrinelli all’interno del quale la divulgatrice linguistica e insegnante sarda Yasmina Pani critica con durezza l’ipocrisia della celebrazione dell’8 marzo. Nel commento l’insegnante puntualizza le numerose contraddizioni del femminismo moderno, da lei definito ormai come una pratica di facciata e ricca di contraddizioni interne (come le classi sociali, la lotta ai centri antiviolenza maschili, i bias di genere).

Nelle sue parole invoca infatti un femminismo dallo sguardo più globale e cosciente dei problemi di classe: non vittima del fenomeno pop, che lo vuole come prodotto per vendere contenuti accattivanti, ma orientato verso problematiche più profonde. Pani sulla sua piattaforma Youtube è nota per produrre e divulgare contenuti di letteratura e linguistica, aree di sua specializzazione. Tuttavia, più volte ha dichiarato di volersi dissociare da questo movimento, a causa di condotte da lei definite grottesche, come ad esempio la lotta per un linguaggio inclusivo, analizzato nel suo nel saggio Schwa, una soluzione senza problema, scienza e bufale sul linguaggio inclusivo.

A partire dalla pubblicazione dell’articolo, la docente è stata sommersa da critiche distruttive, tra chi chiedeva a gran voce l’eliminazione da parte di Feltrinelli dell’articolo con annesse scuse ufficiali, e chi la accusava di maschilismo.

Il discorso di Pani seppur divisivo, è pungente e scomodo. Desta da un torpore ormai presente nell’ambiente da diversi anni, dove il femminismo spiccio è diventato la regola, soprattutto sui social, dove il tempo è sempre più ridotto e l’attenzione sempre in calo.

Negli ultimi decenni il femminismo ha trovato terreno fertile soprattutto sui social, attraverso canali di informazioni che spesso si propongono di divulgare conoscenze ed esperienze attraverso contenuti sì accattivanti, ma spesso riduttivi.  Accade infatti che le informazioni veicolate siano ridotte a graziose grafiche, e che temi importanti come ad esempio le microaggressioni, non siano analizzate con precisione, ma fraintese come un tentativo di vittimizzarsi. Basti pensare alla bufera mediatica scatenata dal creator Damiano Er Faina, al secolo Damiano Coccia, nel 2020, dove in un video Instagram ridicolizzava il fenomeno del catcalling sostenendo con veemenza che non si trattasse di una vera e proprio atto di violenza ma solamente di un complimento.

Inoltre, attraverso il canale di espressione social si ha spesso l’impressione che il movimento, come già precisato prima, presenti delle fratture interne, dovute a una eccessiva caratterizzazione dei soggetti e al conseguente privilegiare tematiche individuali. Ogni persona che lo desideri oggi ha la possibilità di portare la propria esperienza creando un profilo social e portando dei contenuti a tema.

La rappresentazione totalizzante della problematica scelta e la sua ripetizione in diversi contenuti può condurre l’utente a identificare il creator con la problematica stessa, e dà l’impressione che non ci sia altro di cui interessarsi, svalutando l’individuo e il messaggio da lui veicolato.

Un’altra grande questione è rappresentata dal tentativo odierno di rendere il femminismo materia di ampio respiro, riducendo però l’attenzione mediatica e non, verso problemi storici e strutturali del movimento, come menzionato da Pani. Diverse tematiche sembrano essere completamente dimenticate da chi negli ultimi decenni si occupa di divulgazione: sono sempre di più le voci che si occupano di femminismo, ma le questioni rimangono quasi sempre le stesse, alcune delle quali più ideologiche tra cui pronomi, genere neutro, norme comportamentali e di costume. Ne risulta un femminismo non per tutti, ma solo per chi ha mezzi e spazio per poter trascurare temi come il gender pay gap o l’accesso a un’interruzione di gravidanza sicura.

Anziché una lotta il femminismo diventa una performance, teatro di norme dove la femminista perfetta deve avere determinate caratteristiche, comportarsi in un certo modo e vestirsi secondo certe tendenze. In sostanza un femminismo che intrappola le donne, ma che piace e raccoglie follower.

Alice Pozzoli

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