Posted on: 5 Giugno 2025 Posted by: Matilde Elisa Sala Comments: 0
BookAdvisor, consigli di lettura di giugno

Il 5 di ogni mese, 5 libri per tutti i gusti: BookAdvisor è la rubrica dove vi consigliamo ciò che ci è piaciuto di recente, tra novità e qualche riscoperta.


La faccio breve, Davide Di Lorenzo (ACCENTO) – recensione di Matilde Elisa Sala

Diviso tra Budapest e Udine, e una breve parentesi bolognese per gli studi, Davide non sa che fare. Ha ventiquattro anni, metà napoletano e metà ungherese, il suo sogno è diventare un regista. Se il soggiorno a Berlino non è stato portatore di grandi novità o di svolte positive, l’occasione di cambiamento arriva quando viene ammesso a una scuola di cinema a Roma. Storie familiari toccanti e coinquilini decisamente fuori dalle righe, la vita di Davide è un continuo scendere e salire, con picchi di positività e paura di lasciarsi andare. Ma forse bisogna solo seguire il flusso e lasciarsi trasportare, arrivi quel che arrivi. Chi l’avrebbe mai detto che la vita romana sarebbe stata resa entusiasmante dalla costante presenza di un uovo sulle scale di casa?

Per farla breve: che paura il futuro. Con un linguaggio ironico, ma terribilmente sincero, Davide Di Lorenzo racconta la bellezza della crescita e il timore in cui si trovano la maggior parte dei ragazzi divisi tra i venti e i trent’anni, che conservano la leggerezza e anche le malinconie della gioventù, proiettati verso una strada più adulta. Ma che bello scoprirsi e continuare a mettersi in gioco.


Il pensiero bianco, Lilian Thuram, (Add editore) – recensione di Jessica Rodenghi

“Come vi immaginate Dio?”

“Un uomo bianco con la barba.”

 Questo dialogo tra Lilian Thuram e i suoi figli, raccontato nel libro Il pensiero bianco, sintetizza con forza il cuore del saggio: quanto la costruzione culturale della supremazia bianca invada gli ambiti delle vite. Anche bambini neri cresciuti in famiglie consapevoli finiscono per interiorizzare l’idea di un Dio bianco, riflesso di secoli di dominio coloniale e religioso. Le rappresentazioni di Gesù e dei santi con la pelle bianchissima, le immagini nei libri per bambini, i film e i cartoni animati, tutto porta a far apparire la bianchezza come norma universale. 

Thuram scrive: “Non si nasce bianchi, lo si diventa”, per spiegare il processo di sbiancamento culturale che inizia fin dai primi anni di vita. Ai bambini bianchi si mostra un mondo fatto su misura per loro; nelle famiglie bianche raramente si parla di razzismo e si cresce con l’idea che sia un problema superato o distante. Nelle famiglie nere, invece, il razzismo è una realtà quotidiana: si insegna a non attirare l’attenzione sbagliata, a essere sempre impeccabili per evitare equivoci potenzialmente pericolosi. È un’educazione alla sopravvivenza che i bianchi non devono imparare.

Il pensiero bianco è un libro necessario per chi vuole comprendere davvero cosa significhi vivere in un mondo strutturato su gerarchie invisibili ma profondamente radicate nelle società, bianche e non. È uno strumento per chi vuole cambiare lo sguardo, ampliare la propria prospettiva o ritrovare nelle parole dell’autore un’esperienza condivisa.


Mia sconosciuta, Marco Albino Ferrari (Ponte alle Grazie) – recensione di Nina Fresia

Marco Albino Ferrari, con Mia sconosciuta, ci conduce in un viaggio intimo e profondo alla scoperta di sua madre, una donna ribelle, anticonformista e complessa, la cui vita si intreccia con la montagna e la storia del Novecento italiano. Il libro, che oscilla tra memoir e romanzo, racconta con delicatezza e lucidità la relazione tra madre e figlio, fatta di amore, incomprensioni e un legame che sfida i ruoli tradizionali. Cresciuta nella borghesia milanese ma sempre in fuga dalle convenzioni sociali, la madre di Ferrari trova nei ghiacciai di Courmayeur e nella natura selvaggia un rifugio e una forma di libertà. Il figlio racconta la sua adolescenza negli anni della Resistenza, del grande e incompiuto amore della sua vita e della sua passione viscerale per la musica. Ma dipinge anche una maternità, pur fortemente voluta, difficile e intensa.

La figura della madre rimane in parte misteriosa, anche per lo stesso autore, che solo dopo la sua morte riesce a ricomporre frammenti di memoria e verità. La montagna diventa così un simbolo potente, luogo fisico e metaforico dove si custodiscono ricordi, emozioni e la storia di un amore unico nel suo genere. Ferrari è capace di trasmettere la fragilità e la forza di una donna che ha scelto di vivere fuori dagli schemi, e di un figlio che tenta di comprenderla fino in fondo, riconoscendo la complessità del loro rapporto.

Tema fondamentale del libro è il lutto: la madre di Ferrari ha rifiutato per tutta la vita i rituali sociali e religiosi, così come lo stesso autore ha fatto, vivendo un rapporto con la morte che sfugge alle convenzioni. Tuttavia, è proprio attraverso un rituale che Ferrari riesce finalmente a comprendere e a sentire pienamente il legame con sua madre. Questo gesto simbolico diventa un momento di passaggio, un modo per accettare la perdita e trasformarla in una nuova forma di presenza, un rituale laico che permette di elaborare il lutto e di rinascere in una nuova consapevolezza.


Come sfamare un dittatore, Witold Szablowski (Keller Editore) – recensione di Nina Fresia

Da Saddam Hussein a Pol Pot, da Fidel Castro a Enver Hoxha: in Come sfamare un dittatore, Witold Szablowski ci porta in un viaggio inedito e affascinante dentro le cucine dei tiranni più spietati del Novecento. Ma non si tratta solo di piatti e ricette: è la storia di come il cibo può diventare uno strumento di potere, paura e sopravvivenza.

Szablowski racconta con grande sensibilità non solo cosa mangiavano questi uomini temuti (tra chi sceglieva grandi banchetti e chi optava per pasti più spartani), ma anche come vivevano le persone comuni sotto i loro regimi. Un esempio emblematico è la “cotoletta di anguria” che i cubani preparavano per fingersi di mangiare carne sotto il regime di Fidel Castro.

Tra questi aneddoti emerge ancora di più il contrasto con lo sfarzo dei dittatori. Come nel caso di Saddam Hussein: nelle sue case venivano preparati pasti finti per confondere chi voleva catturarlo, ma il cibo destinato a lui non poteva essere condiviso con nessuno. Quando il dittatore non era presente, intere cene venivano buttate via.

Ma a volte un piatto ben dosato ha addirittura potuto salvare vite: Enver Hoxha, diabetico, prendeva decisioni più clementi nei giorni in cui il suo chef preparava piatti che ricordavano nel gusto la dolcezza dello zucchero.

Come sfamare un dittatore è molto più di un libro di cucina o di storia. È un reportage che tocca i diversi continenti e i loro drammi con una prospettiva originale che ci fa riflettere su quanto il cibo possa essere legato al potere o alla sua totale mancanza. 


La dialogicità nei testi scritti. Tracce e segnali dell’interazione tra autore e lettore, Emilia Calaresu (Pacini Editore) – recensione di Matilde Elisa Sala

Ogni testo è in sé dialogico, che sia scritto oppure parlato. Quando si cerca di comunicare lo si fa avendo sempre in mente un ipotetico destinatario, che sia un lettore, che magari tra cinquant’anni troverà proprio quel tuo testo, o che sia qualcuno con cui si vuole portare avanti una conversazione sincrona. Magari invece quei destinatari si è proprio sé stessi: a chi non è mai capitato di parlare ad alta voce per sé? 

Portando in superficie un aspetto che non sempre viene considerato appieno, Calaresu riformula le nozioni di testo e discorso, all’interno dei quali operano sempre diversi gradi di dialogicità, alcuni più espliciti e altri meno evidenti. Al centro della riflessione di Calaresu emerge proprio l’individuo, da intendere in chiave pragmatica, come un soggetto che si appropria di un linguaggio e lo fa suo per poter dialogare con qualcuno. Fondamentale, per poter scrivere cercando di comunicare qualcosa, ma anche per comprendere appieno un testo, è tener presente i contesti comunicativi e sociali in cui avviene lo scambio dialogico. Questioni forse già conosciute, ma che è sempre bene ribadire per garantire maggiore chiarezza.

Matilde Elisa Sala
Studio Lettere, mentre aspetto ancora la mia lettera per Hogwarts. Osservo il mondo con occhi curiosi e un pizzico di ironia, perdendomi spesso tra le pagine di un buon libro o le scene di un film. Scrivo, perché credo che le parole siano lo strumento più potente che abbiamo.

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