Posted on: 11 Giugno 2025 Posted by: Giulia Camuffo Comments: 0
Fleabag. La sofferenza femminile

Partiamo dal nome: Fleabag. Il dizionario inglese Cambridge porta a due possibili traduzioni: «una persona trasandata, sporca» o «un hotel scadente, fatiscente». Ma ne esiste una terza. Fleabag è anche il soprannome della sceneggiatrice britannica Phoebe Waller Bridge, da cui prende il nome l’omonima serie tv, scritta e interpretata da lei e trasmessa per la prima volta nel 2016 dalla BBC in collaborazione con Amazon Prime Studios.

In un’intervista rilasciata al Los Angeles Times, Waller Bridge ha raccontato che, una volta iniziata la stesura del copione, ebbe una terribile realizzazione: E il titolo? Da Phoebe, si trasformò nel nomignolo con cui la chiamava sua madre: Fleabag.

Originariamente Fleabag era stato pensato come un monologo della durata di dieci minuti in cui la protagonista femminile, attraverso battute scomode e irriverenti, sessualizzava qualsiasi oggetto e persona; un monologo esilarante, forse, ma grottesco, soprattutto.

«Cosa nasconde una donna del genere?» si è chiesta Waller Bridge, mentre scriveva. In quel momento nacque la serie tv che con sole due stagioni vinse 3 Emmy Awards e 2 Golden Globes.

«Sono una donna avida, cinica, perversa, apatica, moralmente corrotta che non può avere neanche il coraggio di definirsi femminista», sono le parole che Fleabag rivolge a suo padre, dopo essersi presentata a casa sua senza nessun preavviso, in una delle prime puntate della serie. Questa è anche la scena che ha fatto comprendere all’autrice di star costruendo qualcosa di più di un irriverente monologo di qualche minuto. Aveva ragione Waller Bridge: Fleabag, di oscurità, ne nascondeva tanta.

Un’oscurità e una sofferenza che, soprattutto nella prima stagione, l’autrice ci tiene a mascherare, perlopiù attraverso numerose scene di sesso.

Va ricordato che «Ho un orifizio smisuratamente allargato?» è la prima frase che le si sente pronunciare nella serie.

La vediamo spogliarsi per errore di fronte a un bancario a cui avrebbe dovuto chiedere un prestito, la vediamo andare a letto e presentare alla sua famiglia un uomo inquietante conosciuto sui mezzi pubblici, la vediamo rubare, la vediamo tradire e la vediamo ubriaca (innumerevoli volte). Tutto questo fa percepire la protagonista come una donna alla deriva, menefreghista, piena di odio: insomma, una donna che non sa portare avanti la sua vita. Ma Fleabag si evolve e il pubblico con lei. Si passa da una brutale raffigurazione di una protagonista che sembra agire senza nessuna cognizione di causa a quello che si rivelerà essere uno dei ritratti femminili più complessi degli ultimi anni. Quello che contraddistingue Fleabag come personaggio, infatti, non è l’essere una “cattiva ragazza” e non l’essere politicamente scorretta, ma la sua profonda e inesorabile ricerca di un significato. Fleabag non ha nulla di speciale: gestisce una caffetteria, comprata inizialmente con la sua migliore amica. Non rispecchia l’immagine stereotipata della donna in carriera, ma neanche quella della ragazza ingenua, alla perenne ricerca dell’amore. Fleabag cerca sé stessa.

E proprio perché la ricerca del sé, come parte più profonda di sé stessi e della propria psiche, è una delle ricerche più complesse (secondo alcuni quasi inarrivabile), la vediamo inciampare, piangere, tormentarsi e tormentare chi le sta attorno. É una delle poche rappresentazioni televisive in cui non si vede una donna alla ricerca di qualcosa (o qualcuno) ma alla ricerca di un perché.

Emblematico è il monologo che lei pronuncia nella seconda stagione ad Andrew Scott, il prete di cui si innamorerà:

«Voglio qualcuno che mi dica cosa mangiare, cosa amare, cosa odiare, per cosa arrabbiarmi, cosa ascoltare (…) su cosa scherzare, su cosa non scherzare. Voglio che qualcuno mi dica in cosa credere, per chi votare, chi amare e come dirglielo. Io voglio che qualcuno mi dica come devo vivere la mia vita, padre, perché finora penso di aver sbagliato tutto (…) E anche se non credo alle tue stronzate, e so che scientificamente niente di ciò che farò, farà la differenza, ho paura lo stesso. Perché ho paura lo stesso?»

La potenza della sceneggiatura sta proprio nell’aver saputo descrivere in modo crudo e realistico la sofferenza femminile del non essere viste. Waller Bridge – Fleabag, dalla prima all’ultima puntata, rompe la cosiddetta quarta parete, quel confine immaginario che divide chi guarda e chi recita, per rivolgersi a noi, il pubblico, andando a instaurare un rapporto intimo e privato, quasi a tu per tu: questo svolgersi della cinepresa nella nostra direzione rappresenta il suo io più profondo, che gli altri non possono o non vogliono vedere. La seguiamo commentare qualsiasi cosa: dal travagliato rapporto con la sorella e con il padre, all’indecisione sulla marca di assorbenti da comprare. Il momento di svolta nella trama giunge proprio quando incontra Andrew Scott, il giovane prete, chiamato a officiare le nozze di suo padre e della sua matrigna, che si accorge del fastidioso “tic” della protagonista: «Con chi stai parlando?» le chiede lui quando Fleabag si volge verso il pubblico per una delle sue solite battute.

La seconda stagione, però, non dà il via a una storia d’amore come ci si poteva immaginare, piuttosto a una storia sull’amore. Infatti, essendo Fleabag non alla ricerca di qualcuno, ma di sé stessa, l’autrice (e attrice) riserva un finale ancora più doloroso, fatto dallo scambio di due sole battute, a una fermata dell’autobus: un «ti amo» detto da Fleabag, seguito da un «Passerà», detto dal prete. È la brutale verità di questo scambio a lasciare insoddisfatti. Ma la serie non ha e non avrà mai una terza stagione. In fondo, è la giusta conclusione della parabola di una donna piena di sofferenza, con tanti vuoti da colmare che arriva, con fatica, a trovare la serenità, per poi giungere, infine, alla consapevolezza di poter essere amata. A Fleabag basta questo; da sola, a quella fermata del bus, accetta che la sua vita, varrà sempre la pena di essere vissuta e non per il significato da raggiungere, ma per il percorso che si compie.

Quindi, se ti mai sentita come Fleabag, non preoccuparti: passerà.

Giulia Camuffo
Studentessa di Scienze Internazionali, appassionata di storia, in relazione al presente. La scrittura semplifica ciò che semplice non è.

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