Posted on: 26 Giugno 2025 Posted by: Federica Corsaro Comments: 0

Anno dopo anno, la crisi climatica provoca sempre più disastri. Non si tratta solo di una sensazione, i dati confermano un riscaldamento sempre più rapido del pianeta, segno tangibile dell’accelerazione della crisi climatica.

Secondo l’Organizzazione Meteorologica Mondiale (WMO), il 2024 è stato l’anno più caldo mai registrato, e c’è un’elevata probabilità che nei prossimi cinque anni la temperatura media globale superi il limite di 1,5°C rispetto ai livelli preindustriali, soglia fissata dall’Accordo di Parigi.

Il futuro sembra riservare siccità ricorrenti, precipitazioni estreme, scioglimento dei ghiacciai e innalzamento del livello dei mari, ma in molte aree del mondo gli eventi estremi sono già realtà. Milioni di persone hanno visto le loro comunità distrutte, hanno perso la casa e ogni mezzo di sussistenza, e sono state costrette a spostarsi.

Nel 2024, circa 17,2 milioni di persone sono migrate a causa della crisi climatica.

Secondo il rapporto Groundswell della Banca Mondiale, entro il 2050 questo numero potrebbe salire a 216 milioni se la crisi non verrà contrastata da misure adeguate. I flussi migratori si concentrano nelle zone maggiormente soggette al cambiamento climatico.

In Africa subsahariana si registra una grave siccità, in Medio Oriente la scarsità d’acqua riduce le terre coltivabili, mentre nelle isole del Pacifico e dei Caraibi l’innalzamento dei mari fa scomparire porzioni di territorio. Le comunità rurali fondate su agricoltura e pesca si trovano sempre più in difficoltà per la mancanza di risorse.

Il quadro è ancora più allarmante se si considera che le regioni più colpite dagli eventi climatici estremi sono quelle in via di sviluppo. In più, quando gli eventi climatici estremi si sommano a conflitti e tensioni sociali già esistenti, il rischio di instabilità e violenza cresce, poiché la scarsità di risorse può intensificare le tensioni.

Uno dei Paesi più vulnerabili al cambiamento climatico è il Bangladesh.

Nel 2023, i cittadini bengalesi sono risultati la quarta nazionalità più rappresentata tra le persone migranti sbarcate in Italia. Molti di loro sono fuggiti dopo aver perso tutto a causa di disastri naturali, spinti dalla povertà e dalla mancanza di sostegno statale.

Nonostante le difficoltà, alle persone costrette a fuggire da disastri climatici non è riconosciuto lo status di rifugiato per un vuoto normativo nel diritto internazionale. La definizione contenuta nella Convenzione sui rifugiati di Ginevra del 1951, infatti, fa riferimento solo a chi fugge da persecuzioni legate a razza, religione, nazionalità, appartenenza a un gruppo sociale o opinioni politiche.

Nel 1998, la giurisprudenza italiana ha introdotto forme di protezione per le persone costrette a migrare a causa di disastri ambientali e, nel tempo, ha riconosciuto tutti gli status previsti dall’ordinamento per questi casi.

Sebbene il nostro ordinamento giuridico nazionale abbia fatto dei passi in avanti, non si può ignorare la necessità di un intervento da parte della comunità internazionale che garantisca a chi fugge dai disastri climatici una protezione adeguata.

Federica Corsaro
Laureata in Mediazione Linguistica e ora studentessa di Comunicazione. Mi interessa sempre ciò che succede nel mondo e conoscere le diverse culture che lo abitano.

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