Sotto le luci del Teatro Menotti di Milano, sabato 18 Ottobre 2025, la compagnia PoEM (Potenziali Evocati Multimediali) ha messo in scena Antigone, chiudendo così “Il Trittico della Guerra”, diretto da Gabriele Vacis.
Per il gruppo nato nel Dicembre 2021, dall’esperienza della Scuola per Attori del Teatro Stabile di Torino, si tratta della prima volta a Milano. Sul loro profilo Instagram scrivono:
Da quando PoEM è nata abbiamo attraversato grandi città e piccoli paesi, teatri antichi e oratori. Tante volte in Veneto, in Sicilia, più di una volta in Lombardia: Bergamo, Como, ma Milano sembrava irraggiungibile. Questa settimana abbiamo rimediato con sei serate fantastiche: al Teatro Menotti è andato in scena il Trittico della guerra. La nostra prima volta a Milano è stata bellissima ed è merito vostro che ci avete accolti. Perché avete scommesso su di noi, perché ogni sera eravate di più, perché vi abbiamo visti tornare. Ci vediamo presto!
Lo spettacolo del 18 Ottobre fonde le tragedie Le Fenicie di Euripide e Antigone di Sofocle. Ha inizio con la figura di Giocasta, che rievoca la maledizione dei Labdacidi, segue il culmine della tragedia: la guerra fratricida tra Eteocle e Polinice e il tentativo disperato della madre di mediare. Infine vi è Antigone nella ribellione contro l’editto dello zio Creonte, che proibisce la sepoltura del fratello Polinice.
Il palco si mostra povero, nessuna scenografia, nessun costume, l’attenzione è tutta sul corpo, sulle espressioni, negli sguardi. Le voci degli attori, che si intrecciano l’una con l’altra, prendono così il posto di qualunque allestimento. Quello che si offre agli spettatori non è una narrazione mitica lontana più di duemila anni, ma piuttosto un grido moderno, in grado di evocare la coscienza civile.
Lo spettacolo, anche attraverso riferimenti contemporanei, come l’interpretazione vocale di Sweet Child o’ Mine, vuole ridare alla tragedia la sua missione originale: essere lo specchio della società, concedere un momento per interrogarsi, in un mondo che rende attuale il concetto di guerra.
In questo intento riesce perfettamente uno dei momenti salienti dello spettacolo, quando gli attori guardano fissi verso il pubblico e vengono sollevati interrogativi diretti: “c’è qualcosa per cui sareste disposti a morire? Per che cosa vale la pena vivere?”
Un teatro così condotto, libero dai vincoli della tradizione, mostra che non serve una forma prestabilita per esprimere la sua essenza: riesce ad andare oltre al semplice intrattenimento e a parlare direttamente al cuore di chi ascolta.
Alla fine dello spettacolo a rimanere sul palco è l’aria spessa, carica ancora delle parole degli attori. Riecheggiano domande irrisolte: la sensazione che i problemi che il teatro del V secolo a.C. fa emergere, siano in realtà i nostri, che le stesse domande e inquietudini attraversano gli uomini in ogni tempo, uniti dal semplice fatto di essere umani.
Articolo di Joel Cangemi




