L’intervista rilasciata da Giuseppe Salvatore Riina, figlio del boss di Cosa Nostra Totò Riina, a “Lo Sperone Podcast” ha suscitato aspre polemiche per le dichiarazioni ritenute revisioniste e provocatorie.
Salvatore “Totò” Riina, detto “U’ Curtu” data la sua bassa statura, è stato uno dei boss più sanguinari di Cosa Nostra. Tra gli altri omicidi da lui commissionati spiccano quelli dei giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Dopo la sua cattura, avvenuta il 15 gennaio 1993, gli furono comminati un totale di 26 ergastoli. Giuseppe Salvatore, classe 1977, è, invece, il secondo figlio di Totò Riina e Ninetta Bagarella, sorella del famigerato boss Leoluca Bagarella. Giuseppe, Arrestato nel 2002 e condannato a una pena pari a 8 anni e 10 mesi per associazione mafiosa, dopo il carcere – e un periodo di sorveglianza speciale – ha potuto tornare a vivere a Corleone.
Il passaggio più contestato delle dichiarazioni del secondo genito di Riina riguarda la difesa della figura paterna. Riina junior ha negato, nonostante le condanne definitive, che suo padre avesse ordinato l’omicidio del piccolo Giuseppe Di Matteo, vittima simbolo della stagione stragista. Ha inoltre descritto Totò Riina come un padre affettuoso, distante dall’immagine di boss sanguinario: «Non l’ho mai visto compiere un atto di violenza o tornare a casa con una pistola in mano e sporco di sangue».
L’infanzia in latitanza, il paragone con i bimbi palestinesi e le dichiarazioni su stragi, antimafia e il tesoro del padre
Giuseppe Riina, parlando della sua infanzia trascorsa da latitante, l’ha paragonata alla condizione dei bambini palestinesi, spiegando di aver vissuto «in perenne emergenza». Ha però raccontato con leggerezza alcuni episodi: «Quando dovevamo scappare da un rifugio all’altro con papà, per me era come una festa». Ha voluto inoltre sottolineare le contraddizioni della latitanza del padre: «Sono pure nato nella clinica Noto, la più famosa di Palermo, col nome e cognome di mio padre. E tutti lo sapevano».
Uno dei punti più delicati dell’intervista è la rilettura delle stragi di Capaci e via D’Amelio. Riina junior ha sostenuto che Giovanni Falcone, al momento della sua uccisione, non desse più fastidio alla mafia o a Totò Riina, ma ad altri dietro le quinte. Ha collegato questa visione anche agli arresti dei grandi capi mafiosi, interpretati come un disegno di poteri occulti: «sono stati presi perché non servivano più a quelli che detenevano veramente il denaro della mafia», riferisce il figlio de “Il capo dei capi”.
Infine, giudizi sprezzanti sono stati rivolti al movimento antimafia, definito «un carrozzone composto da gente che ha bisogno di stare sotto i riflettori». Soprattutto quest’ultima affermazione ha fatto storcere il naso a molti, a causa del ruolo rilevante che tutt’oggi l’antimafia ricopre. Sul cosiddetto “tesoro” del padre, Riina junior ha respinto qualsiasi responsabilità o conoscenza: «Lo hanno arrestato quando avevo 14 anni e non parlava con me di queste cose… Io non ne so nulla». Ancora una volta, Giuseppe Riina si discosta dalla natura del padre, quasi a volerne minimizzare la portata storica in relazione al contesto in cui viveva.
Le reazioni sdegnate di magistrati e società civile non si sono fatte attendere
Le affermazioni hanno immediatamente scatenato un’ondata di indignazione: il presidente della commissione regionale Antimafia, Antonello Cracolici, ha dichiarato: «Non sentivamo il bisogno di ascoltare le opinioni del figlio di Totò Riina, convinto di spiegarci che uomo buono era suo padre. Non offenda la nostra terra». Sulla stessa linea il deputato regionale Ismaele La Vardera che ha parlato di «totale sudditanza degli intervistatori» e ha chiesto la rimozione del video perché fortemente diseducativo.
L’intervista ha riaperto una ferita profonda nella memoria collettiva siciliana e italiana. Le parole di Giuseppe Riina, tra negazioni e reinterpretazioni, hanno messo in luce il rischio che la narrazione mafiosa tenti di riscrivere la storia, contrapponendosi alla verità sancita dalle sentenze e al ricordo delle vittime. Le reazioni istituzionali dimostrano quanto il tema resti sensibile e quanto forte sia la necessità di contrastare ogni tentativo di revisionismo, anche a fronte di un chiaro affronto alla memoria delle vittime di mafia, insieme alla dignità dei loro parenti, i quali tutt’oggi combattono per avere piena giustizia e verità sulle diverse stragi mafiose.
Articolo di Nicholas Ninno
Foto Ansa




