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La visita di Trump in Inghilterra è finita. Ripercorriamo i punti salienti
Davanti a una vasta platea di rappresentanti del business, a Chequers, si è svolta la conferenza stampa tra il presidente americano Donald Trump e il primo ministro inglese Keir Starmer. I due hanno discusso di temi fondamentali quali il legame che unisce i due Stati da decenni, la guerra in Ucraina, il riconoscimento della Palestina, il comportamento di Vladimir Putin e l’immigrazione.
Dopo aver elogiato la ormai secolare alleanza e amicizia tra il Regno Unito e gli Stati Uniti, ricordando i momenti più significativi del legame fra le due potenze. Starmer ricorda le varie tappe storiche di questa relazione, tra cui lo sbarco in Normandia e la creazione della Nato. È stato ribadito il proposito di lottare fianco a fianco sia nella guerra in Ucraina sia nella corsa alla supremazia nel campo dell’intelligenza artificiale.
Nel pomeriggio, i due hanno provveduto alla firma di un pacchetto di accordi economici del valore di 31 miliardi di sterline, accompagnato da un investimenti reciproci per un totale di 250 miliardi di sterline in investimenti reciproci, nell’ambito del Tech Prosperity Deal, incentrato sull’innovazione tecnologica. Questo accordo consolida intese commerciali in ambito tecnologico, energetico, sulla difesa e l’intelligenza artificiale e rappresenta un record di investimenti tra le due sponde dell’Atlantico. I partecipanti all’accordo intendono istituire programmi congiunti di ricerca faro tra agenzie scientifiche degli Stati Uniti e del Regno Unito, come dipartimenti per l’energia e agenzie di ricerca sulla salute, sondare aree di collaborazione nella creazione di infrastrutture di intelligenza artificiale sicure, potenziare la forza lavoro connessa a questo settore. Sul fronte dell’energia nucleare, l’accordo ha gli obiettivi di intensificare la collaborazione sui programmi di non proliferazione e sicurezza e di raggiungere la piena indipendenza dal combustibile nucleare russo entro la fine del 2028.
Secondo il primo ministro, infatti, l’accordo è “il segnale di un impegno condiviso per vincere questa sfida insieme e di garantire benefici reali in termini occupazionali, di crescita, di reddito mettendo i soldi duramente guadagnati nelle tasche della gente alla fine del mese”. Si prevede che il patto generi 15.000 posti di lavoro altamente qualificati nel settore all’avanguardia in Gran Bretagna.
Anche in questa occasione, Trump ha colto l’occasione per utilizzare una formula retorica da lui consueta, ricordando che se ci fosse stato Biden al suo posto tutto questo non sarebbe stato possibile.
È seguito poi il question time: la prima domanda riguardava il riconoscimento dello Stato palestinese. I due leader, però, non hanno trovato un punto di incontro riguardo a uno dei temi più divisivi degli ultimi anni. In precedenza, Starmer aveva dichiarato che il Regno Unito avrebbe riconosciuto lo Stato palestinese entro il mese, qualora Israele non avesse messo in atto misure come il cessate il fuoco e l’avvio di un percorso verso la soluzione dei due Stati. La Gran Bretagna non è l’unico stato a voler riconoscere la Palestina: la Francia è il secondo grande paese europeo a farlo. A differenza del Regno Unito, però, la Francia non pone alcuna condizione al riconoscimento, ma attenderà il rilascio degli ostaggi prima di aprire un’ambasciata nei territori palestinesi. Durante la conferenza, ha ribadito quanto sia necessario affrontare con attenzione il tema del riconoscimento e garantire l’ingresso degli aiuti umanitari a Gaza.
Donald Trump, invece, si è concentrato sulla questione degli ostaggi, affermando che il suo obiettivo primario è liberarli da Hamas il prima possibile. Si è detto scioccato dai racconti dei sopravvissuti e ha ricordato il 7 ottobre come uno dei peggiori e più violenti giorni nella storia dell’umanità.
Per quanto riguarda l’altro fronte di guerra molto discusso, l’Ucraina, Trump ha espresso delusione per il comportamento di Vladimir Putin, affermando che la Russia sta perdendo più soldati rispetto a quanti ne stia uccidendo. Dai dati emerge che le vittime russe sono maggiori rispetto a quelle ucraine, ma i russi superano gli ucraini sul campo di battaglia. Inoltre la Russia ha una popolazione più numerosa da cui può ricostruire i propri ranghi. Secondo il presidente americano, il conflitto russo-ucraino non influisce realmente sugli Stati Uniti; Trump ha inoltre elencato altri conflitti, da lui definiti “irrisolvibili” fino al suo arrivo, come la guerra tra l’India e il Pakistan. Alcuni esperti hanno verificato la veridicità delle dichiarazioni di Trump sul tema e ne hanno convenuto che, se pur gli Stati Uniti hanno avuto un ruolo in questi conflitti, esso è stato parziale o contestato dai governi dei paesi coinvolti.
Il premier britannico, invece, ha sottolineato la necessità di aumentare la pressione su Putin, ricordando l’iniziativa della cosiddetta Coalizione dei Volenterosi guidata da inglesi e francesi.
La conferenza ha affrontato infine anche il tema dell’immigrazione. Un problema particolarmente sentito nel Regno Unito, come dimostra la manifestazione anti-immigrazione del 13 settembre a Londra, a cui hanno partecipato più di 110.000 persone.
Trump ha consigliato al primo ministro di fermare l’immigrazione “con ogni mezzo”, anche ricorrendo alla forza armata, sostenendo che un flusso incontrollato porterebbe alla distruzione dello Stato dall’interno. Secondo il tycoon, tra le persone migranti ci sarebbero membri di gang e pazienti di istituti psichiatrici, alcuni provenienti dal Congo, alcuni dal Sud America. Starmer ha risposto dicendo che il governo inglese ha preso questo problema molto seriamente, stringendo vari accordi con altri Paesi per smantellare quella rete di organizzazioni criminali che permetterebbe gli ingressi illegali nel Regno Unito.
Trump contro la libertà di espressione: la svolta autoritaria e l’arma della censura
Il presidente Trump sembra poco disposto a ricevere contestazioni rispetto all’operato della sua amministrazione e ultimamente il clima politico statunitense sembra segnato da una crescente stretta autoritaria, di cui i media sono i primi a risentire.
L’ultima vicenda è quella relativa al programma condotto da Jimmy Kimmel, un comico che presenta da lungo tempo il late night show dell’emittente ABC, appartenente al gruppo della Walt Disney Company. A seguito di alcuni commenti del direttore televisivo l’emittente ha annunciato una sospensione del programma. Durante il monologo iniziale dello show Kimmel aveva parlato dell’omicidio di Charlie Kirk accusando Trump e i suoi seguaci, definendoli una “gang”, di aver approfittato dell’accaduto per attaccare i democratici a spada tratta.
La risposta alle frasi del presentatore è stata immediata: Brendan Carr, nominato sempre da Donald Trump a capo della FCC, ovvero la Federal Communications Commission, ha minacciato di imporre sanzioni contro chiunque diffondesse le parole del presentatore , riferendosi direttamente all’emittente. Poche ore dopo il programma Jimmy Kimmel Live! è stato interrotto a tempo indeterminato.
Dopo l’interruzione alcuni attori, sceneggiatori e conduttori della Walt Disney Company hanno preso parte a una campagna di boicottaggio per protestare contro la sospensione del programma.Una settimana dopo l’accaduto la Walt Disney Company ha annunciato il ritorno in onda del late show ma continuando a difendere la propria scelta di sospendere il programma per evitare di infiammare ulteriormente la tensione nel paese.
L’operato di Trump e della FCC sembra dirigersi per una strada ben precisa: limitare e silenziare tutto ciò può criticare l’operato dell’amministrazione. La FCC si avvale proprio della legge che prevede che questa possa dare delle concessioni alle reti private che rispettino degli “standard di pubblico interesse”.
Un altro episodio che ha destato scandalo è la causa per diffamazione nei confronti del New York Times per 15 milioni di dollari. Il 16 settembre il presidente ha denunciato il giornale con l’accusa di essere un portavoce del partito democratico, uno tra i “ peggiori e più degeneranti”.
La crociata di Trump non si ferma solo ai giornali e ai media: l’arresto dello studente palestinese Mahmoud Khalil, leader delle proteste pro-Palestina ha suscitato una forte preoccupazione da parte di molti gruppi per i diritti civili in merito al rispetto del primo emendamento e della libertà di espressione. L’arresto è stato eseguito a marzo dall’ICE, agenzia per il controllo della sicurezza delle frontiere e dell’immigrazione, sotto ordine esecutivo del presidente per “combattere l’antisemitismo”.
L’arma utilizzata nei confronti di Khalid è stata quella di ritirare la green card cosicché potesse essere deportato in quanto “sostenitore di Hamas”.
Al momento dell’arresto, il presidente ha commentato con la frase “ il primo di molti”, constatazione molto simile a quella fatta da Brendan Carr a seguito dell’interruzione del programma di Jimmy Kimmel: “non sarà l’ultimo a cadere”.
Stiamo parlando di una cancel culture di destra? L’amministrazione Trump ha sempre marciato su l’accusa nei confronti della sinistra di limitare la libertà di espressione, considerando la libertà di parola “ sotto attacco”. Uno dei primi ordinamenti esecutivi del secondo mandato del presidente è stato proprio quello relativo al ripristino della libertà di parola a seguito dell’amministrazione Biden.
La pressione sulle testate giornalistiche è lampante e non è solo direttamente eseguita dal presidente Trump. Il 21 settembre la giornalista Karen Attiah del Washington Post è stata licenziata per aver condiviso dei commenti sulla morte di Kirk sui suoi profili social personali. Il giornale, di proprietà di Jeff Bezos dal 2014, è un grande esempio di riposizionamento editoriale: l’imprenditore aveva già riallineato l’originale linea del giornale rifiutando l’endorsement, ovvero il sostegno di un candidato, durante le elezioni presidenziali. Una scelta che ha fatto molto discutere in quanto il giornale sostiene candidati democratici da decenni.
È piuttosto contraddittorio che la giustificazione di questa svolta autoritaria sia spesso la tutela della memoria di Charlie Kirk. Dopo l’omicidio dell’esponente politico, sostenitore del free speech e del dibattito libero, l’amministrazione non ha fatto altro che silenziare i commenti “scomodi” sull’accaduto. Le critiche arrivano anche da personaggi del mondo repubblicano: Tucker Carlson, giornalista e conduttore statunitense, sostenitore del presidente, durante il suo programma ha direttamente accusato l’amministrazione di strumentalizzare l’omicidio per calpestare il primo emendamento.
“Sono in corso le revoche dei visti. Se siete qui con un visto e state applaudendo all’assassinio pubblico di un personaggio politico, preparatevi ad essere espulsi”, sono le parole del segretario di stato americano Marco Rubio in un’intervista a Fox News, che minaccia di ricorrere nuovamente all’arma usata su Khalil.
Il comizio trumpiano alle Nazioni Unite
In tre quarti d’ora di discorso all’ONU, il presidente Trump è riuscito a conquistare i riflettori del Palazzo di Vetro: negazionismo climatico, requisitorie riguardo l’inutilità delle Nazioni Unite e retorica sull’immigrazione; poco sulla guerra e qualche minuto di efferata critica all’Europa.
Trasformando l’Assemblea Generale in un palco da comizio, le principali tesi dell’ideologia MAGA sono state quindi riconfermate; a subire una radicale svolta sono invece le attese del presidente nei confronti dell’Ucraina che, considerata spacciata fino a pochi mesi fa, avrebbe ora delle chiare possibilità di vincere la guerra.
I rapporti fra Washington e Kyiv si erano deteriorati a causa del bilaterale fra i due presidenti nello Studio Ovale, tenutosi lo scorso 28 febbraio. Tralasciando i toni maleducati e sprezzanti di Trump, in quell’occasione emerse chiaramente la volontà di isolare l’Ucraina per avvicinarsi diplomaticamente alla Russia, in modo da poter discutere direttamente con Putin un’eventuale risoluzione del conflitto.
Gli ultimi mesi hanno visto una situazione incerta ed in continua evoluzione: l’incontro fra Trump e Zelenskij al funerale di Papa, il fallimentare vertice con Putin in Alaska e l’intensificarsi dei bombardamenti russi nonostante alcune dichiarazioni del Cremlino su un’eventuale tregua. I continui tentennamenti hanno probabilmente indotto l’amministrazione americana a ripensare la propria posizione e considerare un ritorno a rapporti amichevoli con Kyiv ma, a quanto pare, senza invio di aiuti economici o militari.
Il Presidente ha continuato il discorso annunciando la disponibilità a promulgare nuove sanzioni nei confronti della Russia. In tal caso, l’Europa “dovrà adattarsi”, anche in merito all’acquisto di gas da Mosca, pratica che Trump ha definito “imbarazzante”.
Altrettanto duro è stato il commento sulla decisione di riconoscere uno Stato di Palestina da parte di alcuni Paesi europei, ritenuta un grave errore dato che a trarne beneficio non sarebbe il popolo palestinese, bensì Hamas.
È possibile che sulla questione vi saranno delle frizioni fra Stati Uniti e governo italiano, data la diversa posizione della premier Meloni che, principale alleata di Trump in Europa, apre al riconoscimento della Palestina a due condizioni: rilascio degli ostaggi e nessun ruolo della milizia terroristica nel governo.
Si può concludere affermando che le Nazioni Unite siano state una verifica per il trumpismo che, se riguardo alcuni temi è rimasto intatto, su quello della guerra in Ucraina ha dovuto fare dei passi indietro, data l’impossibilità di fermare il conflitto tramite un accordo con Putin.
