Il 31 luglio 1954 alcuni alpinisti italiani conquistarono per la prima volta la vetta del K2. In seguito alla spedizione, emerse una controversia destinata a durare più di cinquant’anni. Di questa vicenda, il documentario K2 – La grande controversia fornisce un’originale rilettura grazie alla regia del grande alpinista Reinhold Messner, che narra una storia di profonda umanità in tutte le sue sfaccettature.
Domenica 26 ottobre il Teatro Manzoni di Milano ha ospitato la prima nazionale del film documentario K2 – La grande controversia. L’evento, organizzato in collaborazione con il Club Alpino Italiano (CAI), ha visto la partecipazione del regista e celebre alpinista Reinhold Messner. Quest’ultimo è stato intervistato in conferenza stampa e ha successivamente preso parte a un dialogo pubblico con il presidente del CAI Antonio Montani.
Il film, con la sua durata relativamente contenuta di 67 minuti, non indugia nella retorica ma, attraverso immagini d’archivio, ricostruzioni e la voce narrante dello stesso Messner, riporta alla luce una delle pagine più discusse dell’alpinismo italiano: la conquista del K2 da parte del gruppo guidato da Ardito Desio nel 1954 e la controversia relativa alla spedizione che, ad oggi, si è forse conclusa definitivamente.
Oltre il mito della conquista
Protagonisti principali della scalata furono Achille Compagnoni e Lino Lacedelli, i due alpinisti che il 31 luglio 1954 raggiunsero la vetta della seconda montagna più alta del mondo. La spedizione, tuttavia, vide la partecipazione e il prezioso contributo di altri undici alpinisti italiani, tra cui Walter Bonatti, vittima della polemica. Soprannominato da Messner “il bocia”, il giovanissimo e promettente alpinista contribuì in modo decisivo al successo dell’impresa, ma venne escluso dai riconoscimenti ufficiali e incriminato di false accuse.
Oggi, Messner riapre il caso ponendosi non come giudice, bensì come narratore. L’alpinismo tradizionale, infatti, come ha dichiarato in conferenza stampa, è azione ma anche narrazione. Una narrazione che, tuttavia, può essere fatta solo da «chi ha vissuto lassù, chi ha sofferto e ha conosciuto la paura e la grandezza della montagna». Come ha dichiarato anche in un’intervista fatta per Lo Scarpone CAI, è «il racconto non solo di ciò che è successo, ma delle emozioni vissute. Non delle quote, dei campi o dei numeri, ma della paura, della fiducia, della solidarietà tra esseri umani».
L’arte di sopravvivere
Significativa, nell’ottica dell’alpinismo tradizionale, è la scelta di aprire il film con un flashforward incentrato sulla notte in cui Bonatti e il portatore Amir Mahdi furono costretti a bivaccare all’aperto a oltre 8.100 metri, senza tenda né ossigeno supplementare. Messner, sottolinea l’eroismo che ha caratterizzato ambedue gli alpinisti, che si ritrovarono lì per motivi diversi: Bonatti per puro altruismo, in quanto stava cercando di portare le bombole di ossigeno a Compagnoni e Lacedelli, invece Mahdi aspirava a essere il primo pakistano a raggiungere la vetta del K2. Il regista riesce a restituire la vicendanarrandola nella sua più totale crudezza.
Si tratta, infatti, di una scena quasi muta, fatta di respiro, buio e gelo, in cui il silenzio è interrotto solo dalla ripetizione di una frase che fa raggelare anche gli spettatori: «non voglio morire». Questo, ha dichiarato Messner in conferenza stampa, è il momento più intenso ed emozionante di tutto il film, in cui l’alpinismo diventa arte di sopravvivere, consapevolezza del limite, possibilità della morte.
A intensificare ulteriormente la potenza di questo momento al limite tra la vita e la morte è la dichiarazione di Bonatti su quella notte, fatta in un’intervista riportata nel film: «Non c’è mai venuto da pregare, perché siamo noi a fare i miracoli di noi stessi».
Un film che racconta senza spettacolarizzare
Pur concentrandosi prevalentemente sulla figura di Bonatti, K2 – La grande controversia mette al centrol’esperienza umana dei protagonisti, sottolineando come tra i tredici alpinisti scelti da Desio per la spedizione «ciascuno aveva il suo compito».
Messner costruisce, così, un racconto sobrio e coerente, che evita la tentazione del sensazionalismo per restituire la verità dei fatti e delle emozioni, alternando materiali d’archivio, interviste e ricostruzioni visive di grande rigore. Le immagini delle tende battute dal vento, dei volti scavati dal freddo e delle mani che sistemano le corde non servono a impressionare, ma amostrare laquotidianità della fatica, l’organizzazione meticolosa della spedizione e il fragile equilibrio dei rapporti umani in alta quota.
La voce di Messner, ferma e priva di retorica, accompagna il racconto con una partecipazione che è insieme emotiva e analitica.
Il film non cerca di risolvere definitivamente la controversia, ma di comprenderla, mostrando come dietro a ogni impresa ci siano scelte, errori, silenzi, e soprattutto persone.
La dimensione narrativa dell’alpinismo
In un tempo in cui l’alpinismo è sempre più spettacolo, fatto di difficoltà estreme e velocità sovrumane, Messner riporta l’attenzione sull’essenza di questa pratica: l’incontro con il limite, la fragilità, la paura. Il film diventa un racconto sull’etica dell’alpinismo e sulle responsabilità del narratore, che deve restituire la verità senza cedere al mito.
Il film ricorda che ogni impresa, anche la più straordinaria, è fatta di uomini prima che di eroi. È proprio questa dimensione che K2 – La grande controversia porta in scena, facendo della montagna non solo un traguardo fisico, ma anche un’esperienza di culture, legami e coraggio, ma anche fatiche, conflitti e paura: un’esperienza, in una sola parola, umana, che merita di essere raccontata.
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